Recensione al libro
Guillermo Alejandro Sullings
Oltre il capitalismo, economia mista
Multimage 2014
Finalmente un libro che riporta la nostra attenzione sulla necessità di ripensare il sistema economico. Da quando si è affermato il neoliberismo ed è caduto il muro di Berlino seppellendo qualsiasi pretesa di alternativa economica, ci siamo tutti adattati all’idea che l’unico sistema possibile è il capitalismo selvaggio, violento, oppressivo, iniquo, nel quale viviamo. La globalizzazione, concepita come il punto di approdo di un processo di modernizzazione inevitabile, è diventata la bandiera di quella parte politica che un tempo si chiamava sinistra e che oggi si è fatta serva dell’oligarchia economica e finanziaria. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Salari e diritti corrono sempre più giù in una pericolosa concorrenza fra poveri che pur di avere uno straccio di lavoro salariato si fanno la guerra fra loro. Il sistema di sicurezza sociale, faticosamente costruito con anni di lotte, si sta sgretolando per fare posto ad uno stato interventista alla rovescia: nega sostegno ai deboli e lo fornisce a banche e imprese. In nome del debito lo stato è spogliato di ogni servizio e proprietà pubblica per arricchire i privati. Il libro di Guglielmo Sullings “Oltre il capitalismo, economia mista” (Multimage 2014) condanna questa impostazione e ci offre la visione di un altro sistema che pur mantenendo i connotati del capitalismo è costretto a venire a patti con le esigenze della persona e dell’ambiente.
Punto centrale della proposta di Sullings è la riappropriazione di un ruolo chiave da parte dello stato sotto tre grandi profili. Il primo come gestore dei beni comuni e di servizi fondamentali quali acqua, energia, istruzione, sanità, difesa dei beni comuni. In una parola di tutti quei bisogni fondamentali che elenchiamo sotto la categoria dei diritti perché vanno garantiti a tutti in maniera gratuita. Il secondo come regolatore del sistema produttivo e finanziario tramite la leva legislativa e la leva fiscale. Il terzo come gestore della moneta e del credito in una logica di gratuità e sovranità monetaria al servizio della piena occupazione e di orientamento del sistema produttivo. Un tema, quest’ultimo, di grande attualità in un’Europa che ha affidato il governo dell’euro al sistema bancario privato al fine di poter lucrare non solo sulle necessità dei privati ma degli stessi governi che in nome del debito travasano miliardi di euro prelevati ai cittadini nelle casse di banche, assicurazioni, fondi speculativi.
Fra le novità prospettate da Sullings c’è anche la compartecipazione dei lavoratori alla proprietà, alle decisioni e agli utili d’impresa. Proposta che personalmente accolgo con qualche perplessità. Se da una parte accrescerebbe la democrazia economica e l’equità distributiva, dall’altra potrebbe stimolare un’accettazione acritica del paradigma mercantilista.
Tuttavia la lacuna principale che trovo nella proposta di Sullings è una insufficiente riflessione sulle trasformazioni che dovremmo introdurre per coniugare diritti, piena inclusione lavorativa e necessità di frenare la produzione a causa dei limiti imposti dal pianeta. Abbiamo la tendenza a pensare che la questione ambientale sollevi solo problematiche di carattere tecnologico e tutt’al più di stili di vita. Invece è l’elemento che più di tutti gli altri ci obbliga a ripensare la struttura del sistema economico. Innanzi tutto quando le risorse si fanno scarse bisogna passare dall’ iniziativa privata spontanea alla programmazione collettiva. Ma soprattutto se cadono le prospettive di crescita entrano in crisi due grandi questioni sociali: l’occupazione e i diritti. L’occupazione entra in crisi perché in un sistema di mercato il lavoro salariato è fortemente dipendente dall’andamento dei consumi. I diritti entrano in crisi perché l’attuale modo di fare funzionare l’economia pubblica attraverso la fiscalità fa dipendere l’erogazione dei servizi pubblici dalla crescita del resto dell’economia. Ecco perché la costruzione di un’economia al servizio della persona in un’ottica di solidarietà e sostenibilità, esige non solo l’ampliamento dell’economia pubblica, ma soprattutto un ripensamento sul modo di farla funzionare affinché sia finalmente affrancata dalla schiavitù della crescita. In proposito ho alcune idee che sono sommariamente esposte nel libretto “L’altra via”.
In ogni caso in questo momento storico il problema distributivo è quello che si sta imponendo con maggior forza perché sta determinando non solo la situazione sociale, ma le stesse scelte della politica. Ed è proprio la scelta di prostituzione fatta da tutte le forze politiche verso il potere economico e finanziario che oggi sta disorientando i cittadini che sentendosi abbandonati da tutti stanno optando per l’astensionismo. Ed allora ecco la necessità di tornare a dire forte e chiaro che fare politica significa stabilire da che parte si sta e come si vuole organizzare l’economia affinché trionfino gli interessi della parte prescelta. La politica dominante ha scelto di stare dalla parte del capitalismo finanziario facendoci credere che così facendo fa il nostro interesse. Sullings afferma di stare dalla parte della persona, intendendo con questa espressione i diritti di tutti, in particolare i più deboli. Da qui dovremmo ripartire per costruire un’altra economia, che in nome della persona sappia tracciare nuovi percorsi politici a partire da un altro modo di gestire il debito, un altro modo di gestire la fiscalità, un altro modo di gestire i servizi e i beni comuni, un altro modo di rapportarsi alla questione ecologica. La strada è lunga, ma possiamo farcela.