La recente approvazione della legge che istituisce i Corpi Civili di Pace nella Repubblica di San Marino rappresenta un momento importante nel processo di ampliamento dell’area del riconoscimento e dell’impegno dei Corpi Civili di Pace come strumento della difesa popolare nonviolenta e, in particolare, alla lettura dei singoli articoli della legge, fornisce alcuni interessanti elementi di caratterizzazione riguardo al profilo, alla composizione e al mandato di questo strumento importante di prevenzione, interposizione e trasformazione positiva dei conflitti.
La legge nasce sulla base di un Progetto di legge di iniziativa legislativa popolare «per l’istituzione del Corpo Civile di Pace della Repubblica di San Marino» (qui il testo), nella cui relazione illustrativa si pongono in evidenza tre presupposti basilari per l’istituzione di tale strumento nelle modalità indicate dal testo normativo. Il primo consiste nella «lunga tradizione di pace e di neutralità» della Repubblica di San Marino. Il secondo consiste nella solidità del retroterra internazionalistico, con l’esplicito riferimento all’Agenda per la Pace del Segretario Generale delle Nazioni Unite (1992) e alla Raccomandazione del Parlamento Europeo sull’istituzione di un Corpo Civile di Pace Europeo (1999). Il terzo consiste in un impianto metodologico sostanzialmente consolidato, in virtù del quale «tali operazioni comportano … l’intervento nelle varie fasi del conflitto …: a) prima dello scoppio della violenza armata, per costruire relazioni di fiducia, sostenere chi già lavora per una soluzione nonviolenta, sensibilizzando l’opinione pubblica locale e internazionale; b) durante la fase acuta, con l’obiettivo di abbassare il livello di violenza, interponendosi e affiancandosi a chi più subisce gli effetti distruttivi della guerra; c) dopo il conflitto, per ricostruire relazioni tra le parti e creare i presupposti per il dialogo e la riconciliazione. Il metodo di intervento nei conflitti è, dunque, finalizzato alla riconciliazione operando con tutte le parti in lotta, senza schierarsi se non contro la violenza e l’ingiustizia» (qui la relazione).
Nel merito della legge (l. n. 194 del 2 dicembre 2021 recante la Istituzione del Corpo Civile di Pace della Repubblica di San Marino e disposizioni in materia di volontariato internazionale), approvata lo scorso 24 novembre 2021, si dispone l’istituzione di un Corpo Civile di Pace definito, in base all’art. 2, quale «strumento operativo privilegiato per collaborare alla costruzione e al mantenimento della pace in particolare in quei territori in cui sono presenti conflitti anche armati o possono presentarsi situazioni di violenza che, se non contenute, possono degenerare in conflitti armati». Viene specificato che si tratta di un Corpo Civile di Pace nonviolento, volontario e organizzato dallo Stato, e se ne definiscono i compiti in termini, in generale, di «azioni pianificate nonviolente» e, nello specifico, con «attività di formazione, prevenzione e trasformazione dei conflitti, monitoraggio, mediazione, accompagnamento, interposizione e riconciliazione, assistenza umanitaria, educazione alla nonviolenza, progetti di cooperazione e di assistenza tecnica internazionale». Risorse pubbliche e private concorrono al finanziamento delle missioni, e lo Stato istituisce in bilancio «nell’ambito del Dipartimento Affari Esteri, un fondo apposito, denominato Fondo speciale per il Corpo Civile di Pace, cooperazione, volontariato e assistenza internazionale» come stabilisce l’art. 16 della legge.
Quanto, in particolare, al mandato, il Corpo Civile di Pace di San Marino, istituito presso la Segreteria di Stato per gli Affari Esteri e concepito come strumento della politica estera del Paese in relazione all’ambito del mantenimento (peacekeeping) e della costruzione (peacebuilding) della pace, è operativamente realizzato anche in concorso con enti o associazioni che, in base al successivo art. 3, in particolare, non perseguano finalità di lucro e non abbiano rapporti di dipendenza da enti con finalità di lucro; siano dotati di esperienza operativa e capacità organizzativa di almeno tre anni; e abbiano come finalità istituzionali quelle corrispondenti alle finalità di intervento proprie dei CCP. Quanto alla composizione, anche questo elemento assai significativo, si specifica che il personale del Corpo Civile di Pace deve essere adeguatamente preparato e formato (in base all’art. 3 c. 2 «gli enti autorizzati sono tenuti a predisporre idonei corsi di formazione … al termine dei quali ai partecipanti, se ritenuti idonei sulla base di criteri predefiniti, è rilasciato un attestato necessario per poter prendere parte alle missioni del CCP per le quali i corsi sono finalizzati») e deve essere costituito da personale su base volontaria (art. 5), composto da cooperanti (retribuiti) e da volontari (non retribuiti) e ad entrambi la norma (art. 17) assicura «il mantenimento dell’eventuale posto di lavoro …; i diritti assicurativi e previdenziali…; la maturazione di carriera, l’iscrizione e il punteggio nelle graduatorie di avviamento al lavoro».
La norma interviene a disciplinare anche un altro ambito importante del profilo dei CCP, vale a dire la questione della legittimità dell’intervento in un contesto terzo; viene infatti esplicitato, all’art. 4, che tra i requisiti per ottenere il riconoscimento di una missione di CCP, vi deve essere, tra gli altri, «una attestazione di consenso motivato alla missione, rilasciata da un organo istituzionale ovvero da un ente privato purché senza finalità di lucro, dello Stato ospitante, oppure una attestazione di collaborazione con l’ONU o con un’agenzia specializzata dell’ONU, ovvero altre organizzazioni internazionali cui la Repubblica di San Marino aderisce». In definitiva, pur nella specificità del contesto istituzionale di riferimento (San Marino non fa parte dell’UE ed è Stato neutrale) si tratta di uno sviluppo significativo, nella prospettiva dell’intervento civile per la trasformazione dei conflitti.