Avrebbe dovuto essere il luogo più sicuro del mondo il presidio di San Didero, di fronte al fortino militarizzato per difendere la costruzione del nuovo autoporto, collegato con la linea ferroviaria Torino-Lione, dopo la distruzione del vecchio, costruito negli anni Ottanta (agli occhi di tutti uno spreco scandaloso, mai entrato in funzione). Eppure, di fronte a fari puntati, blindati sempre presenti, telecamere, il 4 gennaio il presidio di San Didero è stato dato alle fiamme. Come tutti i martedì, c’era stata l’apericena, diventata un’abitudine per trovarsi e fare il punto della situazione. Così come il giovedì, quando un gruppo di pensionati si trova per pranzare insieme. Il presidio è “vivo” e monitorato anche dalla presenza di molti giovani no Tav. L’ampio spazio (di proprietà di alcuni militanti no Tav) ha permesso iniziative molto partecipate, compresi balli occitani (puntualmente filmati dalla Digos per la loro bellezza coreografica…) e appuntamenti gastronomici in grado di raccogliere fondi per il Rifugio Fraternità Massi di Oulx, una risposta alla rotta dei migranti verso la Francia. L’ultima manifestazione no Tav dell’8 dicembre si era conclusa proprio in quello spazio e molte persone avevano attraversato la statale per andare ad appendere palline di Natale alle reti del fortino. Per rinforzare gli auguri verso sera si erano visti in cielo fuochi d’artificio anche se, non essendo stato colto lo spirito natalizio, la risposta era stata al solito con gli idranti… Poi, pochi giorni dopo, l’incendio: partito dalla roulotte che staziona sul posto, nessun attacco elettrico, un’unica bombola di gas portata via durante l’intervento dei vigili.
La data del 4 gennaio 2022 va ad aggiungersi all’elenco delle provocazioni.
Era rimasta la stufa, il 24 gennaio 2010, al centro del presidio di Borgone distrutto da un incendio doloso. Sembrava smagrita nella sua forma bombata, generosa di ferraglia, ma ancora riconoscibile. Per cinque anni aveva riscaldato quel luogo, a volte infeltrendo il bordo di giacche di chi per cercare il caldo l’abbracciava un po’ troppo. Erano trascorsi cinque anni dal 22 giugno 2005, primo tentativo (respinto) di prendere possesso di quel terreno per poi trivellarlo per un sondaggio. Il giorno dopo la stessa scena si era ripetuta a Bruzolo e poi a Venaus. Tre luoghi simbolo dove erano nati tre presidi, all’inizio gazebo veloci, poi vere casette di legno, con cucina e tende alle finestre. Tutto era servito a fare comunità, a stare bene insieme, a continuare a discutere, a leggere i giornali, a incazzarsi. “Montanari imbizzarriti” erano stati chiamati i valsusini da politici torinesi che per giorni avevano lanciato una campagna stampa a dir poco aggressiva, violenta. Intanto il presidio di Borgone era stato raso al suolo.
Qualche giorno prima, il 16 gennaio, ci avevano provato con il presidio di Bruzolo, più o meno all’ora di cena. Troppo presto, qualcuno che transitava sulla strada aveva dato l’allarme ed erano arrivati i vigili del fuoco. Ma il 1 febbraio l’operazione era stata portata a termine e anche quel presidio era stato raso al suolo ed erano rimasti solo alcuni spuntoni di ferro anneriti verso il cielo. I presidianti di Bruzolo avevano partecipato alla manifestazione con uno striscione con su scritto “Brucia più a voi che a noi”, che ben sintetizzava il clima della valle sempre più determinato a resistere e a ricostruire i presìdi. Nelle stesse giornate alcuni monumenti dedicati ai partigiani della valle erano stati imbrattati con scritte Sì Tav. E su Facebook un gruppo Sì Tav aveva postato un video con i presìdi in fiamme e minacce a quelli in Val Sangone e a Rivoli con la scritta “A fuoco”.
Qualche anno dopo, il 1 novembre 2013, era stata la volta del presidio Picapere a Vaie, anche questo raso al suolo dal fuoco. Una manifestazione aveva messo insieme, ancora una volta, “cuore e rabbia”. A denti stretti anche i giornali avevano ammesso che i partecipanti non erano comparse e che la valle in effetti non era pacificata. Il presidio in poco tempo era stato ricostruito ancora più bello. Tuttavia una riflessione il movimento lo stava facendo e, dovendosi occupare di un nuovo spazio nella valletta della Maddalena di Chiomonte, aveva pronta un’alternativa. Era stata costruita una casetta sugli alberi. Un castagneto secolare aveva ospitato il nuovo presidio. I piedi per terra erano stati mantenuti dando l’incarico di vigilanza, il 14 maggio 2011, a un pilone votivo dedicato alla Madonna del Rocciamelone, a San Michele Arcangelo, a San Francesco. Poi, volendo esagerare, era stata posata una statua di Padre Pio, di cui si era notato che i militari di turno al cantiere riconoscevano l’autorità.
Ma l’abitudine di appiccare il fuoco per togliere di mezzo chi infastidisce si era riproposta nella notte fra il 2 e 3 gennaio del 2018. Le fiamme avevano divorato lo spazio sociale VisRabbia di Avigliana frequentato da molti giovani.
In questi trent’anni di mobilitazione e lotta i presidi sparsi su tutto il territorio della valle sono sempre stati luoghi di benessere sociale. Il giorno della Befana a San Didero è stata organizzata una bella polentata per rispondere al detto «se le cose vanno male il corpo non deve patire». E ognuno si è portato piatto e bicchiere. Come al solito.
Chiara Sasso ha recentemente pubblicato il volume “A Testa Alta Emilio Scalzo” (Edizioni IntraMoenia), racconto sulla vicenda umana e politica dell’attivista NoTav da poco più di un mese imprigionato in Francia alla Maison d’arrêt d’Aix Luynes