Le rotte sono sempre le stesse: dal Canale di Sicilia allo Ionio, dallo Ionio all’Adriatico. Andata e ritorno con lunghe soste sempre negli stessi porti: Venezia, Brindisi, Messina, Augusta, quest’ultima la principale base navale USA-NATO nel Mediterraneo centrale. Di tanto in tanto anche l’attracco in uno scalo in Istria, Dalmazia e in Grecia. Caricano e scaricano container e scatoloni metallici, protetti da occhi indiscreti dalle pattuglie della polizia. Parliamo dei catamarani di guerra del Military Sealift Command, il comando delle forze USA che sovrintende alle operazioni di trasporto e rifornimento delle flotte navali e delle agenzie statali statunitensi che operano in ogni scenario internazionale.
Tre di essi, “gemelli” dal profilo turpe e minaccioso, sono ormai di casa nelle acque italiane. Si tratta dell’USNS Carson City, dell’USNS Yuma e dell’USNS Trenton, rispettivamente approdati alla vigilia di Natale ad Augusta, Venezia e Messina. Possono trasportare di tutto a bordo: attrezzature e mezzi pesanti, rifornimenti per le truppe, sofisticati sistemi d’arma ed esplosivi, finanche gli ultimi ritrovati infernali per le guerre disumanizzate del XXI secolo, droni e minidroni aerei, navali e subacquei.
Dai registri navali on-line è possibile ricostruire le rotte e le soste dei tre gemelli di morte negli ultimi 40-45 giorni. Il catamarano Carson City era a Messina dal 22 al 30 novembre; dal 2 al 9 dicembre a Koper in Slovenia; poi si è trasferito a Venezia sino al 14 dicembre; dal 16 al 21 era in rada a Brindisi; dal 23 dicembre ad Augusta. L’USNS Yuma si trovava ad Heraklion nell’isola di Creta il 4-9 novembre; dal 10 al 21 novembre era a Volos, in Tessaglia (Grecia); dal 3 all’8 dicembre ha fatto scalo a La Valletta, Malta; poi sino al 16 dicembre era ad Augusta e dal 24 dicembre è in porto a Venezia. Il catamarano Trenton ha trascorso la prima settimana di novembre in rada ad Augusta; il 12 novembre ha raggiunto La Valletta; da giorno 19 al 29 era a Brindisi; dal 30 novembre al 22 dicembre ha fatto una lunga sosta a Gazenica (Zadar), in Croazia; infine il 24 dicembre è approdato a Messina, a due passi da Piazza Duomo e il Palazzo municipale.
I tre catamarani del Military Sealift Command sono unità della classe Spearhead: lunghi 103 metri, sono in grado di raggiungere in mare una velocità di 45 nodi (83 Km/h) con un’autonomia di crociera sino a 1.200 miglia nautiche (2.200 km). Imbarcano di norma un equipaggio di 35 uomini (tra personale dell’US Navy Sailors e civili). Attualmente sono in servizio dodici unità Spearhead, tutte realizzate nei cantieri navali “Austral” a Mobile, Alabama. Altri due catamarani sono stati commissionati un paio di anni fa e dovrebbero essere consegnati a partire del 2025. Il loro costo unitario è di 180 milioni di dollari, ma annualmente ognuno di essi pesa sul bilancio del Pentagono per circa 25 milioni di dollari solo di spese di funzionamento.
I catamarani Spearhead sono piattaforme navali con capacità di spedizione e trasporto veloce (EPF – Expeditionary Fast Transport); possono effettuare un’ampia gamma di missioni anche se il loro ruolo primario è quello di trasportare uomini e mezzi nei vari teatri operativi a supporto dei Dipartimenti della Marina e dell’Esercito USA. A bordo ospitano un grande ponte di volo per elicotteri e una rampa di carico che sostiene sino a 100 tonnellate di peso e consente ai veicoli terrestri imbarcati di essere scaricati rapidamente.
Uno di questi tre catamarani di fissa dimora in acque italiane, l’USNS Trenton è noto a inquirenti, ONG e giornalisti d’inchiesta per una luttuosa vicenda su cui rimangono numerose zone d’ombra. Il 12 giugno 2018, il Trenton intervenne per soccorrere 41 migranti a bordo di un’imbarcazione in balia delle onde nel Mediterraneo centrale, a poche miglia dalle coste libiche. Quando i marines USA accolsero i migranti a bordo, si accorsero però che nello scafo c’erano i corpi senza vita di dodici persone. Il Trenton chiese all’Italia l’autorizzazione a sbarcare i sopravvissuti ad Augusta ma l’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini espresse un netto rifiuto e solo dopo cinque giorni fu strappato l’ok per una loro consegna alla Guardia costiera italiana (unità Diciotti).
“Durante l’operazione di salvataggio, l’equipaggio della Trenton ha visto circa dodici corpi in acqua che sembravano non rispondere e ha così dato priorità al recupero di coloro che avevano bisogno di aiuto immediato”, è riportato nel comunicato ufficiale emesso dal Comando di US Navy il 14 giugno 2018. “L’imbarcazione soccorsa aveva lasciato la Libia un paio di giorni prima con a bordo 117 migranti, la maggior parte dei quali provenienti dall’Africa sub-sahariana”. Settantasei tra morti e dispersi, dunque, l’ennesima folle tragedia delle politiche europee contro le migrazioni.
Cinque mesi dopo un’altra verità su quei maledetti giorni verrà alla luce, grazie alle inchieste giornalistiche di Repubblica e The Guardian. Secondo quanto rivelato da alcuni dei sopravvissuti al naufragio, l’unità da guerra USA avrebbe individuato perlomeno il giorno prima l’imbarcazione in avaria ma avrebbe scelto di non intervenire. “Almeno sei persone hanno dichiarato che se la Trenton non avesse ignorato le richieste di salvataggio, si potevano salvare molte vite umane”, riportò l’11 novembre 2018 Stars and Stripes, il quotidiano indipendente delle forze armate degli Stati Uniti d’America. “Gli ufficiali di US Navy affermano invece che il Trenton ha soccorso i migranti non appena i marinai si sono resi conto che erano in pericolo”, aggiunse Stars and Stripes. “Il Trenton non ha ignorato le persone in acqua in difficoltà, ha dichiarato il comandante Kyle Raines, portavoce della VI^ Flotta. Essi si sono conformati a tutte le leggi e ai doveri internazionali per dare assistenza in mare”. I magistrati di Ragusa hanno allegato agli atti d’inchiesta il video prodotto da Repubblica con le accuse dei sopravvissuti. “I migranti hanno confermato che quando hanno chiesto la prima volta aiuto, i marinai del Trenton hanno risposto che non era compito loro”, scrive The Guardian.
Nei mesi scorsi il grande catamarano è stato impiegato in alcune importanti esercitazioni aeronavali in Africa settentrionale. A metà giugno l’USNS Trenton, insieme alle unità della VI^ Flotta, ha partecipato ai war games annuali “African Lion”, congiuntamente alle navi da guerra di Marocco, Tunisia e Senegal. A conclusione di “African Lion”, il catamarano si è trasferito in acque tunisine per condurre un addestramento con due pattugliatori e una nave appoggio della Marina militare di Tunisi (28 giugno – 2 luglio), e simulare “interventi di pronto intervento a difesa delle frontiere marittime dello stato nordafricano”. Analoghe esercitazioni con la Marina tunisina erano state effettuate dal Trenton nel Canale di Sicilia dal 18 al 21 gennaio 2021.
A metà aprile il catamarano, insieme al gemello USNS Carson City, è stato sottoposte ad opere di manutenzione presso i cantieri navali “Viktor Lenac” di Rijeka, Croazia. In quell’occasione il comandante della VI^ Flotta, viceammiraglio Gene Black, si è recato in visita ufficiale nella città croata per salutare gli equipaggi statunitensi e incontrare i vertici della Marina militare nazionale.
Particolarmente indicativo è pure il curriculum vitae del Carson City, attualmente in rada nel complesso NATO di Augusta. Varato nel gennaio 2016, il catamarano fu inviato ad operare nel Mar Baltico dove in occasione dell’esercitazione aeronavale USA-NATO “Baltops 2018” fece pure da nave comando-comunicazione dei veicoli a controllo remoto Remus 100 e 60, veri e propri droni subacquei che possono raggiungere profondità sino a 100 metri.
Dal luglio all’agosto 2019, l’USNS Carson City fu trasferito dal Comando generale di US Navy nel Golfo di Guinea, dove prese parte ad alcune esercitazioni con le Marine militari di Senegal, Costa d’Avorio, Ghana, Nigeria e Capo Verde. Il 24 febbraio 2021 il catamarano è approdato a Port Sudan (Sudan) dopo aver operato nel Mar Rosso. “Si tratta della prima visita di un’imbarcazione di U.S. Navy in Sudan dalla creazione dell’U.S. Africa Command, il Comando degli Stati Uniti per gli interventi nel continente africano e ciò mette in risalto l’impegno USA per costruire una partnership con le forze armate sudanesi”, ha commentato il capitano Frank Okata, comandante del Military Sealift Command Europe and Africa.
Dopo la missione nel continente nero il Carson City si è trasferito nelle fredde acque del nord Europa. Dal 7 al 10 agosto 2021 era in porto ad Havre, Normandia; poi si è ricongiunto con quattro unità della flotta di cacciamine NATO per partecipare a un’esercitazione a largo delle coste francesi. Dal 13 al 24 settembre il catamarano navigava nell’Oceano Atlantico, a largo delle coste portoghesi, per partecipare all’esercitazione NATO “REPMUS 2021” con undici unità di superficie e sottomarini (uno di questi a capacità e propulsione nucleare) di Portogallo, Stati Uniti, Spagna, Regno Unito, Brasile e Australia. “A REPMUS 2021 erano presenti più di 900 militari e una settantina di unità navali di piccole dimensioni interamente automatizzate”, riporta il comunicato emesso dalla NATO. “Nel corso delle attività sono stati sperimentati nuovi sistemi (sensori, centri di comando-controllo e comunicazioni e droni navali), in collaborazione con la Facoltà di Ingegneria dell’Università di Porto e il NATO Centre for Maritime Research and Experimentation (CMRE) di La Spezia”.
Momento clou di “REPMUS 2021” il test effettuato a largo delle città di Troia e Sesimbra con i prototipi di robot navali (MUS) destinati a missioni anti-sottomarini, contromisure mine, “protezione porti”, intelligence, sorveglianza e riconoscimento, guerra anfibia, ecc. Tra essi c’era in particolare l’imbarcazione-drone “Madfox” (Maritime Demonstrator For Operational eXperimentation) della Marina britannica, che ha effettuato “con successo” il lancio di missili anti-nave. “Durante le prove, un piccolo drone Puma è stato lanciato dall’unità di trasporto veloce USNS Carson City per raccogliere e inviare informazioni sull’obiettivo da colpire a un centro di controllo con base a terra”, aggiunge l’ufficio stampa NATO. “Il dimostratore Madhox ha lanciato il missile dopo aver ricevuto le informazioni. Inoltre l’imbarcazione ha supportato le operazioni anfibie notturne che hanno visto Madfox osservare il target, individuarlo e fornire le immagini dal vivo grazie alle telecamere a bordo”.
Presenti all’esercitazione anche i tecnici di AeroVironment Inc., l’azienda di tecnologia navale e aeronautica con quartier generale a Monrovia (California), produttrice dei Puma 3 AE impiegati dal catamarano USA. “REPMUS 21 è stata la più grande esercitazione NATO con l’uso di sistemi navali senza pilota”, hanno dichiarato gli ingegneri di AeroVironment. “Una componente chiave delle operazioni è stata la dimostrazione dell’interoperabilità dei sistemi di controllo multipli USA-Gran Bretagna per facilitare il trasferimento dati dal drone Puma 3 AE agli assetti di controllo e operativi”.
Ancora più enfatiche le dichiarazioni di Antony Crab, comandante della Royal Navy: “Il lancio dei missili dal Madfox, il primo nella storia del Regno Unito, ha dimostrato le potenzialità delle imbarcazioni di superficie senza pilota nell’uso di cariche letali e di altre cariche utili; in modo cruciale, tutta l’operazione è stata comandata, abilitata e facilitata utilizzando le informazioni proporzionate da sistemi a controllo remoto”. L’ennesimo passo verso l’assolta affermazione militare di droni e robot, in una spirale che rischia di condurre alla totale disumanizzazione delle guerra e delle operazioni di polizia e controllo dell’ordine pubblico.