Pubblichiamo un’intervista a Richard Falk, professore emerito americano di diritto internazionale presso la Princeton University, analista critico del ruolo del diritto internazionale nella politica globale. Autore di oltre 20 volumi, nel 2008, il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite (UNHRC) lo ha nominato Falk per un mandato di sei anni come relatore speciale delle Nazioni Unite sulla “situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967. È stato aspramente criticato per le sue posizioni contro Israele.
Intervista a Richard Falk di Süreç Analiz
SA: Come valuta le dinamiche essenziali del conflitto israelo-palestinese? Quali forze di natura interna ed esterna hanno reso il conflitto più problematico ed enigmatico?
RF: Penso che sia importante riconoscere che il conflitto ha raggiunto una nuova fase con due importanti sviluppi. Primo, l’Approccio di Oslo basato su negoziati diretti tra Israele e l’Autorità Palestinese, con gli Stati Uniti come intermediario esclusivo, dopo più di 20 anni di futile diplomazia, ha perduto la sua importanza; secondo, entrambe le parti stanno facendo passi unilaterali per ottenere i loro obiettivi: Israele continuando ad espandere gli insediamenti e a consolidare il controllo su tutta Gerusalemme, e l’Autorità Palestinese muovendosi verso la costituzione di uno stato palestinese in Cisgiordania, con l’approvazione simbolica della comunità internazionale.
SA: Pensa che si sia perduta una grossa opportunità per la risoluzione del conflitto israelo-palestinese dato che il processo di pace di Oslo non ha avuto risultati?
RF: Israele da alcuni anni usa il processo di pace di Oslo come tattica dilatoria mentre persegue la versione massima del Progetto Sionista che, di per sé danneggia i palestinesi e aiuta gli israeliani. Il tempo non è neutrale. Israele pone richieste non realistiche che, se venissero accettate, lascerebbero i palestinesi con un Bantustan che non soddisferebbe neanche le minime richieste per l’autodeterminazione palestinese che dipende da uno stato sovrano fattibile con i confini del 1967 e da un qualche riconoscimento del diritto dei rifugiati a tornare nelle loro case.
SA: Dopo la fine del processo di pace di Oslo, vediamo che c’è maggiore influenza di Hamas sulla politica palestinese. Come spiega l’influenza crescente di Hamas sulla scena politica palestinese?
RF: L’aumento della popolarità di Hamas è in parte un riflesso dei fallimenti della diplomazia quasi collaborazionista dell’Autorità Palestinese e in parte espressione di solidarietà con Hamas a causa della loro impressionante posizione di resistenza durante gli attacchi israeliani di luglio e agosto. In realtà, la dirigenza della lotta nazionale palestinese si è mossa verso il riconoscimento di una società civile palestinese e verso la costruzione dell’appoggio alla campagna per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni (BDS)
SA: La guerra di questa estate tra Israele e Hamas è il terzo violento conflitto svoltosi tra di loro fin dal 2008. Come spiega questi cicli frequenti di violento conflitto tra Israele e Hamas?
RF: Israele ha provocato delle tensioni in relazione a ognuna di queste tre operazioni militari e ha negli scorsi 7 anni ha mantenuto un regime di punizione collettiva duratura che ha crudelmente rinchiuso la popolazione di Gaza nella zona di combattimento. Quando avvengono i massacri periodici come quelli di questa estate, anche alle donne e ai bambini viene negata l’opzione alternativa di diventare profughi o di cercare un rifugio al di fuori della zona dei combattimenti. Quando hanno trovato ricovero negli edifici dell’ONU, questi sono stati attaccati. Israele adduce come giustificazione che un’azione del genere è ’difensiva’ ma queste affermazioni trascurano il rifiuto di Israele di attenersi alle disposizioni per il cessate il fuoco o di offrire risposte alle proposte di Hamas di una coesistenza pacifica a lungo termine. Israele fa affidamento sul fatto di mantenere la sua gente in un continuo stato di paura e di proiettare in modo sproporzionato la loro forza come deterrente per altri protagonisti politici che in un tempo futuro potrebbero prendere in considerazione di lanciare un attacco.
SA: Circa il 75% delle vittime del recente conflitto erano civili, secondo i dati dell’ONU. Mentre Hamas incolpa Israele di prendere di mira i civili, Israele incolpa Hamas di usare i civili come scudi umani. Quale è la sua opinione su questo argomento?
RF: I fatti sono difficili da ottenere dato che ci sono affermazioni contrastanti. Per quanto ne so, entrambe le parti hanno fatto un certo uso di scudi umani in situazioni di combattimento, ma Israele lo ha fatto con maggiore frequenza. La proporzione delle vittime civili rispetto a quelle militari è più oggettiva e illuminante. Non soltanto il 75% delle vittime palestinesi erano civili, con oltre 500 bambini uccisi, ma tra le 70 vittime israeliane c’erano 65 soldati delle Forze di difesa Israeliane e 5 civili. Se l’essenza del terrorismo è la violenza contro i civili, allora ci si chiede perché il terrorismo israeliano di stato riceve così poca attenzione. In questo recente scontro militare le tattiche terroriste di Israele sono state di gran lunga più letali di quelle di Hamas.
SA: Dopo che si è arrivati al cessate il fuoco con la mediazione dell’Egitto, sia Israele che Hamas hanno dichiarato di essere “vittoriosi”. Chi pensa che abbia vinto la guerra e quale ritiene sia il motivo dietro al fatto che entrambe le parti dichiarino di avere vinto?
RF:Ogni parte usa misure diverse per valutare l’esito. Israele usa la sua capacità di infliggere morte e distruzione, e di impedire che Hamas lanci i missili. Hamas usa criteri più simbolici come l’opinione pubblica mondiale e la sua stessa statura politica uniti nel rifiuto di dare e ottenere un accordo per il cessate il fuoco che sembra essere favorevole alle sue rivendicazioni, ed evita le richieste di Israele per la demilitarizzazione di Hamas.
SA: Come valuta le condizioni per il cessate il fuoco?
RF: Si suppone che Israele levi il blocco e allenti le restrizioni sulla pesca al largo della costa di Gaza, e che riduca anche la zona cuscinetto sul lato del confine appartenente a Gaza. Non si sa se asseconderà queste richieste, dato che ha mancato di onorare impegni analoghi dopo il cessate il fuoco del 2012. Sembra che la politica di Israele continui a basarsi sul “falciare il prato” ogni due anni, una metafora grottesca per descrivere i massacri militari inflitti a una popolazione totalmente vulnerabile.
SA: Pensa che il governo di unità formato da Hamas e Fatah avrà successo e durerà? Perché?
RF: È difficile dirlo, Sembra che esso resista alla pressione di Israele. Un’interpretazione dell’attacco “Margine Protettivo” è che sia stata rappresaglia per il disprezzo dell’Autorità Palestinese verso l’opposizione di Israele a questo governo di unità e a tutte le mosse intese a incorporare Hamas nel processo palestinese di governo. Allo stesso tempo, la tensione persiste. La dirigenza di Hamas non si fida né accetta l’approccio di orientamento americano favorito da Ramallah, e rifiuta un atteggiamento passivo davanti alle provocazioni israeliane.
SA: Come valuta la risposta delle organizzazioni internazionali e delle nazioni arabe e musulmane verso la più recente fase del conflitto?
RF: Questo ri-allineamento del mondo arabo è problematico in base alla prospettiva palestinese. Esprime la priorità politica data dalle monarchie del Golfo e dall’Egitto, in particolare, alla distruzione della Fratellanza Musulmana in quanto forza politica. In questo senso, i paesi arabi sembra che considerino la stabilità del regime come loro priorità politica più alta rispetto alla lotta palestinese o al benessere delle entità politiche musulmane. Le monarchie, sebbene di orientamento islamico, sono profondamente contrarie all’Islam politico che basa le sue rivendicazioni sull’appoggio di base o popolare. Soltanto l’Islam dall’alto è accettabile.
SA: Pensa che possa essere raggiunta in futuro una soluzione giusta e pacifica del conflitto israelo-palestinese? Che tipo di soluzione pensa che possa essere accettata da entrambe le parti?
RF: Una soluzione politica non è attualmente visibile sull’orizzonte politico. Entrambe le parti si stanno muovendo in direzioni unilaterali e contradditorie, specialmente in relazione al territorio, con Israele che cerca di annettersi sostanziose porzioni della Cisgiordania e la Palestina che cerca di espellere Israele dalla Cisgiordania e di stabilirvi un suo stato. Forse la situazione migliore sarà modellata dall’attivismo della società civile palestinese che propende ora per la creazione di uno stato laico di due nazioni basato sull’uguaglianza dei due popoli. Ho delineato la mia convinzione che l’unica soluzione che può essere concepita deve essere preceduta da un ricalcolo di interessi da parte della dirigenza israeliana, una dinamica che è stata inaspettatamente realizzata in Sudafrica per rendere possibile una pacifica trasformazione dall’apartheid alla democrazia costituzionale. Ogni situazione è diversa, ma sembrerebbe che Israele non cederà finché il movimento di solidarietà globale insieme alla capacità di resistenza palestinese imporrà costi inaccettabili al massimalismo sionista. Infine, l’insistenza sionista su ‘uno stato ebraico’ dovrà essere abbandonata e sostituita da stati che possano ricevere ugualmente ebrei e palestinesi, dovunque essi possano trovarsi.
Traduzione di Maria Chiara Starace