Un’affluenza forse inaspettata quella che si è registrata domenica mattina, 12 dicembre, in piazza della Rotonda (Pantheon) a Roma, per protestare contro la decisione dell’Alta Corte britannica di rendere attuabile – rovesciando la sentenza del Tribunale – l’estradizione di Julian Assange nei penitenziari degli Stati Uniti.
Il presidio è stato indetto dal Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea, ma ha trovato subito l’adesione di numerosi soggetti singoli e collettivi. Dal gruppo “Italiani per Assange”, a Vincenzo Vita, per l’Associazione Rinnovamento della sinistra, ai parlamentari di Alternativa, ai Giuristi Democratici, a Transform Italia, fino al PCI, a Risorgimento Socialista, alla comunità equadoregna in Italia, a testate come Left, giornaliste come Stefania Maurizi e Francesca Fornario ed altre/i.
Un momento molto partecipato di interventi sul caso dell’ormai noto giornalista che rischia una pena di 175 anni di carcere per aver diffuso notizie che mettono a rischio la “sicurezza nazionale Usa”, avendo ovvero denunciato con prove i crimini commessi dall’esercito statunitense in un’infinità di episodi soprattutto ai danni di civili.
“Anche le vostre guerre sono terrorismo, #Free Assange” sintetizzava lo striscione davanti a cui si sono succeduti gli interventi. Ha iniziato in collegamento Stefania Maurizi, che da tanti anni segue la vicenda del fondatore di Wikileaks ed è l’autrice del durissimo ma necessario libro “Il potere segreto”. La giornalista ha voluto anche parlare delle condizioni odierne del prigioniero Assange e del suo precario stato di salute: la sua vita è a rischio e non può essere estradato. Ha ricordato come la sua e anche la nostra posizione non siano contro il popolo statunitense nel suo complesso, ma contro i governanti che si sono succeduti in questi 11 anni in cui il giornalista australiano è stato perennemente prigioniero o confinato. “A persone come lui, che con le loro testimonianze hanno inchiodato i responsabili per i reati commessi, deve andare tutto il nostro appoggio”.
Pino Cabras, parlamentare di Alternativa, ha presentato una mozione per Assange che è stata respinta dal Parlamento italiano con vergognosi voti contrari e ancora più misere astensioni, quasi a non voler parlare di quello che si stava affermando riguardo al diritto di libertà di stampa e di informazione.
Numerosi interventi di politici, giornalisti e giuristi hanno considerato la vicenda Assange come un segnale pesantissimo rivolto verso chiunque non si allinei con i poteri reali del pianeta. E un segnale pessimo, da questo punto di vista, è stata l’assenza al presidio di quasi tutti gli organi di informazione del Paese, compreso il servizio pubblico. Quello che ci riempie quotidianamente di informazioni inutili, che a volte si scandalizza per le violazioni delle libertà di alcuni regimi, ma che decide di ignorare quelle che avvengono nel proprio contesto. Lo ha ricordato puntualmente Francesca Fornario, che ha amaramente finto di salutare i direttori di giornali pronti ai titoloni ogni volta che viene messa in discussione la reputazione di un potente trovato con le mani nella marmellata, ma poi assenti quando si tratta di difendere realmente la libertà del mestiere di giornalista. Non c’erano quei direttori e quelle telecamere che di solito si mobilitano ad ogni stormir di fronde, ma che si eclissano quando si tratta di toccare fili pericolosi per le proprie carriere.
Non sappiamo quali saranno le decisioni che verranno prese in Gran Bretagna – si dovrà ora riunire un’altra corte per riesaminare il caso. Potrebbero considerare valide le rassicurazioni degli Usa, secondo cui Assange non verrà condannato a una pena superiore ai 6 anni e il suo stato di salute verrà garantito, ma fidarsi è difficile, se non impossibile.
Durante la precedente amministrazione Trump è comprovato come nel 2017 fosse già pronto un piano per uccidere una voce troppo scomoda, in grado di inguaiare l’intero Pentagono, indipendentemente dal “colore” della presidenza ed in più giungono voci sullo stato di salute di Assange. Secondo la sua compagna Stella Moris, che non ha ancora potuto sposare – perché il matrimonio renderebbe più difficile un’estradizione – il giornalista australiano ha avuto infatti ieri un piccolo ictus. Sembra superato, ma indica comunque una condizione di vulnerabilità estremamente preoccupante.
La piazza di Roma non chiedeva “pietà” per Julian Assange. Chiedeva verità e giustizia, chiedeva rispetto per chi fa onestamente il proprio mestiere di “cane da guardia del potere”, denunciava un terrorismo più infido e sottile ma egualmente violento nei confronti di chi non ha abdicato ai propri doveri etici e professionali.
Ci sarà bisogno di tante altre piazze disponibili a mobilitarsi, di voci che si alzino come quella del Premio Nobel per la Pace Perez Esquivel, di cui è stato letto un forte appello, di forze politiche e di giornaliste e giornalisti disponibili a tenere diritta la schiena. Consapevoli che chi lede i diritti di Assange lede quelli di chiunque provi ad informare e di chiunque reclami di essere informato e non orientato dai dominatori del pianeta.