[Ieri] l’alba è spuntata sopra un presidio vuoto. Non c’è fuoco ad attenuare il gelo del primo mattino. Oltre le recinzioni non si affaccia Emilio ad offrirci il caffè.
Sono venuti a prenderlo ieri per riportarlo in carcere a Torino. In cento per un sol uomo.
Hanno scavalcato il cancello come le teste di cuoio di uno squallido telefilm. Sono entrati nella casa di Emilio e Marinella, che ormai è anche un po’ nostra, seguiti dagli sguardi attoniti dei cagnolini stesi a godere il sole del meriggio.
I compagni presenti lanciano l’allarme dai telefonini, ma il quartiere è irraggiungibile: cordoni di agenti in assetto antisommossa e mezzi blindati bloccano ogni accesso, perfino i sentieri che, dalla campagna intorno, si insinuano tra le case, lungo le reti degli orti.
L’operazione dura poche decine di minuti. Emilio esce scortato da un nugolo di armati. E’ a testa alta, sereno, come chi è in pace con se stesso.
Sulla porta di casa l’ultimo abbraccio a Marinella che, silenziosa, lo guarda andar via. Poi un saluto a noi, arrampicati sul muretto della recinzione. L’auto che lo porta via parte sgommando. L’esercito di robocop indietreggia verso i furgoni, tra le proteste e gli slogan dalla piccola folla che intanto si è raggruppata sulla strada.
L’avvocato raggiunto al telefono ci legge le motivazioni per cui la corte d’appello ha aggravato da domiciliari a carcere le misure nei confronti di Emilio, preventive alla sua estradizione in Francia:”….la presenza costante, dinnanzi all’abitazione dello Scalzo, di un presidio di attivisti del Movimento NO TAV che potrebbe ostacolare l’esecuzione della consegna generando allarme per la pubblica incolumità”.
Orrore e disgusto. L’intollerabile cinismo di un sistema che capovolge la realtà per fare il vuoto intorno ad una lotta nata e vissuta per amore. Un avvertimento a chi, al presente e per il futuro, con la forza della solidarietà oserà sfidare il potere. Ma anche il segno che la resistenza collettiva degli oppressi fa paura agli oppressori. Siamo sulla strada giusta e su di essa continueremo.
Nella notte gelida di una città rattrappita siamo scesi in tanti a Torino sotto il carcere, con voci, musica e bandiere NO TAV. Nell’immenso prato addossato alle mura domina l’oscurità rotta dal baluginare di caschi e blindati. Le finestrelle dei blocchi di detenzione sono illuminate, lasciano intravedere figurine in ascolto. L’impianto portato a braccia al centro del prato spara messaggi di saluto e di solidarietà ed Emilio e a tutti i detenuti insieme a canzoni che dicono la rabbia, l’ amore, l’ irriducibilità e la bellezza delle lotte.
Il gelo dell’inverno che indurisce il fango di questa periferia incassata tra discariche, autostrade e galera non durerà per sempre: già parla della primavera che verrà.