di Karlos Zurutuza
31 ottobre 2014
Non c’è stato mai nulla di particolarmente notevole riguardo a questa piccola città settentrionale di 25.000 abitanti e, tuttavia, oggi è diventata il laboratorio di uno degli esperimenti politici più pioneristici mai intrapresi nell’intera regione medio-orientale. Situata a 700 km. a nord-est di Damasco, Amuda ospita il quartiere generale del cosiddetto “Autogoverno democratico del distretto di Jazeera”. Insieme ad Afrin e a Kobani che è sotto assedio, Jazeera è una delle tre enclave sotto controllo curdo, sebbene questa affermazione non sia del tutto esatta.
All’entrata dell’edificio del governo, la vicepresidente Elizabeth Gawrie saluta l’IPS (Inter Press service) con shlomo che significa pace nella sua lingua siriaca. “Abbiamo deciso di trasferirci qui nel gennaio di quest’anno per motivi di sicurezza perché Bashar Afez al-Assad è ancora presente a Qamishli – la capitale provinciale, a 25 km. a est di Amuda,’ osserva la ex insegnante di matematica prima che venga servito il tè.
Dopo lo scoppio della guerra civile nel marzo del 2011, i curdi nel nord del paese hanno optato per una neutralità che li ha costretti a scontrarsi sia con il governo che con le forze di opposizione. Questa cosiddetta “terza via” ha attirato dei settori tra le altre comunità locali, come arabi e siriaci, iniziando una collaborazione che alla fine si concretizzerbbe in un Contratto Sociale, una specie di ‘costituzione’ che si applica alle tre enclave di Jazeera, Afrin e Kobani.
“Ogni cantone (distretto) ha il suo proprio governo con un proprio presidente, due vicepresidenti e diversi ministri: Economia, donne, commercio, diritti umani… per un totale di 22,” spiega Gawrie. Aggiunge che tra i ministri a Jazeera ci sono 4 arabi, 3 cristiani e 1 ceceno; la Siria ospita un’importante comunità caucasica fin dalla fine del 19° secolo.
“Viviamo insieme da secoli e non c’è alcun motivo per cui questo debba cambiare,” sostiene la vicepresidente del cantone, assicurando che l’Autogoverno Democratico è “un modello di coesistenza pacifica che funzionerebbe anche per l’intera Siria. “
Mentre non c’è stata persecuzione religiosa sotto gli Assad, padre e figlio – coloro che hanno difeso un’identità nazionale diversa da quella araba, come nel caso dei [cristiani] sirici e dei curdi, sono stati duramente repressi. Gawrie dice che molti membri della sua coalizione – il Partito di Unità Siriaca – sono spariti o sono ancora in prigione.
Neanche i dissidenti arabi si sono senti molto più a loro agio sotto gli Assad. Hussein Taza Al Azam, un arabo di Qamishili, è il co-vicepresidente del cantone insieme a Gawrie. Dalla sala per le riunioni dove i 25 funzionari governativi tengono i loro incontri, riassume le difficoltà che i dissidenti politici come lui hanno dovuto affrontare in Siria negli scorsi 50 anni.
Fin da quando il Partito Baath è arrivato al potere nel 1963, la Siria era uno stato con un solo partito. Non c’’era libertà di parola, i diritti umani venivano sistematicamente violati… Era un paese completamente sotto il controllo dei servizi segreti,” spiega Azam, che ha completato il suo dottorato in economia in Romania dopo aver trascorso vari anni in prigione per il suo dissenso politico.
Ferite del recente passato devono ancora guarire, ma per il momento l’Articolo 3 del Contratto Sociale descrive Jazeera come “etnicamente e religiosamente varia”, mentre nel cantone vengono riconosciute tre lingue ufficiali: curdo, arabo e siriaco. “Tutte le comunità hanno il diritto di insegnare e di essere istruite nella loro lingua nativa,” secondo l’articolo 9.
Ma non è soltanto dei diritti linguistici che Azam è fiero. “Le tre regioni con l’autogestione democratica sono una parte integrante della Siria,” dice, ma anche un modello per un sistema decentralizzato di governo.
I membri del governo a Jazeera sono o indipendenti o appartengono a 11 partiti politici. Dal momento che le comunità locali hanno preso il controllo delle tre enclave nel luglio 2012, settori dell’opposizione locale appoggiati da Masoud Barzani, presidente della confinante regione Kurdistan dell’Iraq, hanno accusato il Partito di Unione Democratica – il partito più importante tra i siriani curdi, di svolgere un ruolo dominante.
Il co-presidente del PYD; Salih Muslim nega seccamente queste affermazioni. Da parte del PYD sosteniamo l’auto-determinazione diretta, chiamata anche ‘democrazia radicale’” dice.
“Fondamentalmente miriamo a decentralizzare il potere in modo che la gente sia in grado di prendere e attuare le loro decisioni. E’ una versione più sofisticata del concetto di democrazia, è questo è pienamente in armonia con molti vari movimenti sociali in tutta Europa,” ha detto all’IPS il leader politico.
Il giornalista spagnolo ed esperto di Medio Oriente, descrive il concetto di autogoverno democratico come un “esperimento innovativo nella regione” che riconcilia un grado elevato di autogoverno con l’esistenza degli stati.
Potrà non essere il concetto di indipendenza come lo intendiamo noi, ma il punto cruciale della faccenda è che davvero si stanno governando da soli,” ha detto Martorelli all’IPS.
Akram Hesso, presidente del cantone di Jazeera, è uno dei membri indipendenti del governo locale. Finora la guerra in corso ha costituito un ostacolo importante per lo svolgimento delle elezioni, quindi si sente costretto a spiegare in che modo ha ottenuto il suo posto 8 mesi fa.
“Abbiamo fatto vari incontri, finché è organizzato un comitato di 98 membri rappresentanti le diverse comunità. Erano responsabili dell’elezione di 25 di noi che oggi costituiscono il governo,” ha detto all’IPS questo avvocato vicino ai 40 anni.
Il 15 ottobre, il parlamento nella Regione del Kurdistan iracheno, ha approvato una mozione che chiedeva al Governo Federale del Kurdistan di riconoscere e migliorare i collegamenti con le amministrazioni di Afrin, Kobani e Jazeera.
E mentre Hesso etichetta la mossa come “un importante passo avanti”, non dimentica che cosa sta permettendo all’autogoverno democratico di mettere radici.
Non molto lontano c’è un fronte aperto dove la nostra gente sta morendo per proteggerci,” osserva l’ufficiale, riferendosi a Kobani, ma anche agli altri fronti aperti a Jazeera e ad Afrin.
Tuttavia, aggiunge, “non si tratta soltanto di difendere il territorio, ma anche di restare attaccati all’idea di vivere insieme.”
(Redatto da Phil Harris)