Lunedi 4 ottobre, ai Cantieri Culturali alla Zisa di Palermo, si è tenuta un’assemblea cittadina di solidarietà all’Istituto Gramsci Siciliano; hanno partecipato numerosissime associazioni, dalla CGIL alla Camera del Lavoro, dal Centro Pio La Torre al Forum Antirazzista, Salvare Palermo, Società delle storiche, consiglieri comunali e semplici privati, che avevano già sottoscritto diversi appelli con migliaia di firme.
L’Istituto Gramsci, con la sua vastissima biblioteca ed emeroteca, ha 40 anni di vita, come sottolinea il suo presidente, Salvatore Nicosia, professore emerito di greco all’Università di Palermo. Dapprima ospitato nel palazzo delle cariatidi in corso Calatafimi alto, allora sede del PCI (come noi ragazzi del’68 ricordiamo), dal 2000 al 2009 ha stretto un rapporto di reciprocità col Comune di Palermo, che ha concesso l’uso di uno dei padiglioni della Zisa senza alcun contratto d’affitto, in cambio del servizio pubblico reso. Dal 2014, prosegue Nicosia, è stata ridotta la sovvenzione della Regione Siciliana ed è stato declassato l’Istituto, che nella graduatoria regionale si era sempre trovato in testa, senza alcuna ragione plausibile, poiché l’attività di offerta culturale e di apertura al quartiere e al territorio tutto si era, se mai, negli anni ampliata: “nel 2010, il Gramsci fu l’unico padiglione aperto ai Cantieri, unico avamposto democratico, fruibile dal lunedì al sabato mattina per 40 ore settimanali”, insiste il presidente.
Ora il Comune pretende il pagamento di un canone d’affitto arretrato di 700 euro mensili, a partire dal 2009, cifra che ammonta ad oltre 80.000 euro e continuamente si accresce, pena “lo sgombero di persone e cose”, la cui data doveva essere comunicata entro il 30 settembre, poiché “a norma di Regolamento comunale, non c’è possibilità di titolo gratuito”. Le persone che lavorano al Gramsci, sono solo due, la bibliotecaria e il segretario amministrativo, ma i libri sono 40.000, più l’emeroteca e numerosissime e preziose carte, come la bozza dello Statuto Regionale a firma di Alessi, intoccabili e non spostabili. Ma, rimarca Nicosia con amara ironia, “noi non siamo affittuari morosi, siamo occupanti abusivi”, dato che non è mai esistito alcun contratto!
Si è avviato a questo punto quello che Nicosia definisce “il calvario del Gramsci”: un contenzioso col Comune che non ha mai visto un tavolo di servizio per trovare una soluzione, ma solo un fitto e improficuo carteggio affidato a un avvocato. Eppure la soluzione ci sarebbe e non sarebbe complicata! Lo stesso Regolamento, all’art. 16 comma 4 prevede, per le associazioni di alto valore culturale, la sostituzione del canone d’affitto con un’offerta di beni comuni al territorio: si chiama “compensazione dei servizi”. E Nicosia di progetti da prospettare al sindaco Orlando ne elenca almeno tre: la custodia della memoria storica dell’associazionismo palermitano; “la stanza de L’Ora”, in cui sia possibile consultare tra l’altro tutte le carte private di Nisticò, La Torre, Cimino, Pompeo Colajanni; la biblioteca di quartiere, cosa che di fatto il Gramsci già è, e per la quale basterebbe una convenzione con l’Ufficio Patrimonio.
Come si legge nell’appello promosso da Dacia Maraini, Luciano Canfora, Gioacchino Lanza Tomasi ed altri, infatti, le attività del Gramsci sono molteplici: archivio storico, “preziosa fonte per la conoscenza della storia moderna e contemporanea della Sicilia” secondo la Sovraintendenza archivistica, con gli archivi personali di Li Causi e Finocchiaro Aprile, ad esempio; biblioteca ed emeroteca, con tutta la raccolta de L’Ora, presente anche nella ex Biblioteca Nazionale ma lì non più fruibile da cinque anni; attività di ricerca e promozione culturale, con la pubblicazione di 146 volumi; tirocini e stages per studenti medi e universitari e studiosi in genere”, “una istituzione aperta democratica gratuita”.
A questo punto, ci si interroga sulle motivazioni di tanto accanimento: mentre Nicosia parla di “sciatteria e incuria”, in molti sottolineano invece che si tratta di una sciagurata decisione politica (anche se i politici si nascondono dietro la paura di assumersi responsabilità o dietro la lentezza e l’inettitudine presunte dei dirigenti); si tratta della assenza di una politica dei beni comuni in città, dell’assenza di un’offerta di spazi per chi propone assistenza sociale e iniziativa culturale dal basso; assenza che perpetra una rottura fra amministrazione e società, fra politica istituzionale e sinistra sociale, ancor più criminale alle soglie delle difficilissime elezioni del 2022…
Tanto più che, come si legge nella lettera di Di Figlia dello scorso giugno: “l’emeroteca della Biblioteca Centrale della Regione Siciliana Alberto Bombace, che conserva un patrimonio inestimabile […] è in buona parte inconsultabile da ben cinque anni, cioè da quando un incendio ha reso inaccessibile una parte del plesso; l’emeroteca della Biblioteca Comunale di Palermo, altrettanto ricca, è invece chiusa da oltre vent’anni. […] Una rete importante di centri, come la Società Siciliana per la Storia Patria, l’Istituto di formazione politica Pedro Arrupe, il Centro Siciliano di Documentazione Giuseppe Impastato, […] altre coraggiose e ostinate esperienze, come le biblioteche Booq, Claudio Gerbino, Giufà, Le Balate” sopravvivono senza fondi pubblici. “Alcuni stati emergenziali, che per definizione, dovrebbero essere temporanei, si sono cronicizzati.”
Le proposte, al di là di una eventuale sottoscrizione (che risarcirebbe il Comune di quanto non gli compete!), dovrebbero comprendere la creazione di un soggetto collettivo solidale col Gramsci, che al contempo colleghi tutte le realtà dell’associazionismo operanti in città (Milazzo), e l’approvazione da parte del Consiglio Comunale di un Regolamento dei Beni Condivisi e Comuni, sul modello di quelli di Bologna e Trieste, che sancisca la possibilità di “patti complessi secondo il principio di sussidiarietà per lo svolgimento di attività di interesse generale e comune” esentate dal pagamento di un canone (Chinnici). È dal basso dunque che deve nascere un movimento di pressione sulle autorità!