La situazione di Patrick Zaki è così disperata che quando (due settimane fa come oggi) un’udienza termina non con una condanna ma con un rinvio viene quasi da tirare un sospiro di sollievo.
L’avvocata Nasrallah è stata costretta a chiedere un rinvio perché non è ancora in possesso di tutti gli atti processuali: una costante di questi 19 mesi, dato che nel periodo di detenzione preventiva non ebbe mai a sapere di cosa esattamente Patrick fosse accusato.
Il giudice ha accolto la richiesta, ma con un provvedimento punitivo: un rinvio di 70 giorni, che Patrick trascorrerà nella sua cella della prigione di Tora, al Cairo.
Ognuno si prenderà la responsabilità di cosa fare in questi 70 giorni: l’avvocata, se sarà messa nelle condizioni, preparerà una strategia difensiva; la campagna #FreePatrickZaki da quello straordinario epicentro che è Bologna continuerà a organizzare iniziative, i mezzi d’informazione proseguiranno a tenere alta l’attenzione.
La domanda che rimane è: cosa faranno le istituzioni del nostro paese in quel periodo? Il Parlamento incalzerà il governo sul tema della cittadinanza italiana? Il governo prenderà un’iniziativa nei confronti del Cairo? O si lascerà trascorrere ancora una volta invano questo periodo, arrivando al 7 dicembre a mani politicamente vuote?
A proposito del 7 dicembre: la prossima udienza si terrà a 22 mesi esatti dall’arresto di Patrick. Ventidue mesi di crudeltà e sofferenza inflitte allo studente di Bologna, ma anche di sua straordinaria resistenza.