di Angelo Baracca

Commentando la risoluzione del Consiglio di Sicurezza sul disarmo nucleare (si veda l’articolo pubblicato su Pressenza il 25 settembre scorso, n.d.r.), avevo sottolineato il fatto che Sarkozy avesse preteso che il testo venisse ammorbidito, limitandosi a parlare di “creare le condizioni” per il disarmo nucleare: e si fosse poi precipitato a precisare, insieme a Gordon Brown, che il problema principale è l’Iran. È bastato un giorno perché la rivelazione di un secondo progetto di impianto di arricchimento dell’uranio di Tehran scoprisse il gioco: finché l’Iran non rinuncerà all’arricchimento dell’uranio non ci saranno le “condizioni” per il disarmo! Basta ricordare una cosa che purtroppo pochi sanno, e cioè che questa condizione non valeva (come sempre due pesi e due misure) per il Brasile, che quel processo lo ha realizzato senza che si levasse nessuna protesta (ma con tantissime analogie con il comportamento dell’Iran, ad esempio sottraendosi anche al Protocollo aggiuntivo della Aiea! Si veda la nota allegata).

La mossa di Sarkozy rischia di essere vincente: Obama è incastrato, sia sulla strada del disarmo poiché la risoluzione risulta svuotata, vuote parole, sia su quella delle sanzioni all’Iran, per le quali i sostenitori avranno una carta in più.

Come stanno veramente le cose? È importante discuterlo se si vogliono avere le idee chiare sull’obiettivo dell’eliminazione delle armi nucleari.

Non si tratta di prendere le parti di Ahmadi Nejad, e nessuno ovviamente vuole che l’Iran (e nessun altro paese!) costruisca la bomba.

Nello specifico va detto che è sicuramente possibile che Tehran stia facendo un gioco sporco. Ma secondo l’ordinamento internazionale, di cui il regime di non proliferazione nucleare è uno dei pilastri, sta alla Aiea, e non ai governi, stabilirlo. Solo se la Aiea rilevasse inadempienze o violazioni, deve informare il Consiglio di Sicurezza, e la palla passa ai politici: ma per ora non lo ha fatto, ed anzi dichiara di non avere rilevato irregolarità (il che ben inteso non significa che non possano esserci).

Ma la rivelazione dell’Iran scopre il gioco ben più sporco delle vere potenze nucleari, che da 39 anni violano senza ombra di dubbio l’art. 6 del Trattato di non proliferazione, che impegnava ad avviare trattative in buona fede per realizzare il disarmo nucleare.

Ma supponiamo per un momento che l’Iran costituisca davvero un tale pericolo per il mondo. Sono necessarie per contrastarlo le nuove classi di sommergibili nucleari che stanno realizzando, con spese miliardarie, proprio la Gran Bretagna e la Francia? Sono necessarie 300 testate strategiche della Francia, 160 della Gran Bretagna? Sono necessarie 23.000 testate ancora esistenti nel mondo? Sono necessari nuovi programmi nucleari? Sono necessarie le difese antimissile che gli Usa, e ormai tanti altri paesi, stanno realizzando, e sicuramente continueranno a realizzare?

Se l’Iran fosse il diavolo, gli altri non sono certo angioletti! Fin da quando eravamo bambini ci spiegavano con la favola del lupo e dell’agnello che il più forte è colui che porta la maggiore responsabilità: ma come sempre, tra il dire e il fare . . .

Ribadisco, all’Iran, come a qualsiasi altro paese, va sicuramente impedito si realizzare l’atomica. Ma proviamo per un momento ad immaginare che cosa farebbe Tehran di, poniamo, 10 testate nucleari, per capire dove sta davvero il problema. Basta riflettere un momento per capire che non potrebbe mai lanciarle verso un altro paese, perché verrebbe immediatamente cancellato dalla carta geografica (basti pensare che Israele ha cinque sommergibili, dotati di capacità nucleare, che sopravviverebbero anche se il suo territorio venisse raso al suolo). Il punto fondamentale è che, una volta che avesse la bomba, l’Iran non potrebbe più venire attaccato impunemente, proprio perché a sua volta sarebbe capace di una risposta nucleare devastante. Del resto, la storia della Corea del Nord conferma questa analisi: i negoziati ristagnavano da anni, ma si sbloccarono immediatamente quando nel 2006 esplose il suo test nucleare (sarebbe poi da approfondire lo sviluppo successivo, ma non è questa la sede): va sottolineato, semmai, che la Corea non ha violato formalmente le leggi internazionali, in quanto è legittimamente uscita dal TNP con i regolamentari tre mesi di preavviso, utilizzando quindi quella scappatoia che furbescamente le potenze nucleari si erano lasciata negoziando il trattato!

Se l’analisi precedente è vera, è facile dedurre quale sia il vero pericolo nucleare all’origine dei rischi di proliferazione: l’arsenale di Israele, che costituisce la più pesante ipoteca e minaccia sui paesi dell’intera regione (ed è anche un macigno sulla strada del disarmo nucleare): ma su questo l’omertà dei potenti della Terra è totale!

Senza contare il Pakistan – che ebbe appoggi sotterranei e complicità da tutti i paesi, e che oggi è a rischio di implosione con le testate controllate direttamente dai militari – e l’India, con la quale gli Usa vogliono commerciare tecnologia nucleare.

NOTA

Inquietanti analogie fra Iran e Brasile

Pochi sanno – perché sia a livello politico che sugli organi di informazioni è stato accuratamente occultato – che il Brasile negli anni passati ha non solo perseguito, ma completamente realizzato il processo di arricchimento dell’uranio che viene contestato all’Iran. Vi sono inoltre inquietanti analogie tra i due casi. Forse con una differenza importante: che la giunta militare del Brasile ebbe realmente fino alla sua caduta un programma militare per realizzare la bomba atomica, e che probabilmente questo programma arrivò vicino al risultato!

Negli anni ’70 e ’80, parallelamente ad un programma nucleare civile, il governo militare brasiliano sviluppò un programma militare segreto, basato sul processo di arricchimento dell’uranio per centrifugazione nell’impianto pilota di Aramar (il cui progetto si sospetta essersi basato sull’europeo Urenco, durante una controversa cooperazione con la Germania Federale: L. Palmer e G. Milhollin, “Brazil’s Nuclear Puzzle,” Science, October 22, 2004, p. 617: http://www.wisconsinproject.org/pubs/articles/2004/BrazilsNuclearPuzzle.html) e giunse probabilmente a progettare due testate atomiche [Un’ottima rassegna è fornita da Y. Feldman, Brazil: http://www.firstwatchint.org/docs/060711_brazil_nuclear_program.pdf]. Il programma militare venne interrotto con la fine del governo militare: negli anni ’80 il Brasile ha sviluppato un programma di cooperazione nucleare con l’Argentina, nel 1994 ha ratificato il Trattato di Tlatelolco (Nuclear Free Zone in America Latina), nel 1996 ha aderito al Nuclear Suppliers Group, ed infine nel 1998 ha ratificato il TNP, ma si è sempre rifiutato di firmare l’Additional Protocol.

Il Brasile ha poi sviluppato il processo di arricchimento per centrifugazione nell’impianto di Resende, le cui centrifughe si pensa siano basate su un miglioramento di quelle di Aramar (e quindi, forse, dalla Germania): ma il governo non ha concesso ad estranei di vedere le unità, nemmeno agli ispettori della Iaea, sostenendo che esse sono basate su tecnologia propria. Il Brasile ha infatti rifiutato di firmare l’Additional Protocol per ispezioni più approfondite, lamentando che queste sono troppo rigide e si applicano senza motivo ai centri universitari e di ricerca, e possono facilitare la pirateria tecnologica. Vi sono state altre mosse ambigue. L’impianto di Resende avrebbe dovuto entrare in funzione nel gennaio 2006, ma il Presidente Lula intervenne per posticipare l’avvio ufficiale, per la concomitanza con l’aggravamento della questione iraniana: il primo modulo è entrato in funzione nell’aprile 2006.

Ufficialmente il Brasile intende arricchire l’uranio al 3,5 %, come richiesto dalle sue centrali (Angra 2, e Angra 3 in costruzione), ma non è chiara, come per l’Iran, la giustificazione commerciale per la realizzazione di un processo così costoso e complesso: tanto più da quando, nel marzo 2006, il Presidente Lula da Silva ha sospeso la decisione di procedere alla costruzione di nuove centrali nucleari, dichiarando che “non sono una priorità per il governo”, che intende sviluppare fonti di energia non nucleare. Se il mercato nucleare civile internazionale si espanderà, la giustificazione commerciale del processo messo a punto dal Brasile potrebbe cambiare. Gli Usa hanno fatto in questo senso una scelta chiara, il cui contrasto con le posizioni verso l’Iran appare evidente, includendo il Brasile nella lista del Nuclear Suppliers Group dei paesi che hanno impianti di arricchimento e riprocessamento completi. Il Brasile ha votato unitamente agli Usa e all’Europa per rinviare il caso dell’Iran al Consiglio di Sicurezza.

In conclusione, anche se il Brasile “sembra avere solide credenziali di non proliferazione dopo la rivelazione del suo programma militare parallelo, alcune sue posizioni e decisioni sollevano preoccupazioni sulla proliferazione potenziale del suo programma. […] Il programma nucleare del Brasile sarà sempre inquinato dal coinvolgimento dei militari e potrebbe suscitare interrogativi per l’ininterrotto livello di tale coinvolgimento. […] Non è chiaro se, e quali salvaguardie verranno poste sulle [sue] esportazioni di uranio” [Y. Feldman, citato, p. 11]. È certo che il Brasile è tra i threshold states, poiché possiede le conoscenze tecniche, le strutture e i materiali di base per realizzare bombe nucleari qualora il panorama interno o internazionale cambiasse.