Open doors è la sezione dedicata ai film prodotti in particolari regioni del mondo; dal 2019 è dedicata ai paesi del Sud-est asiatico: Laos, Thailandia, Cambogia, Vietnam, Myanmar, Indonesia, Malesia, Filippine e alla Mongolia.
“Aswang” (Fantasma), della regista filippina Alyx Ayn Arumpac, descrive la politica di esecuzioni sommarie di sospetti spacciatori, consumatori di sostanze, piccoli criminali e senza fissa dimora, da parte del presidente Rodrigo Duterte. Le storie individuali s’intrecciano con eventi storici come, ad esempio, le iniziative di protesta contro Duterte, con in prima fila i familiari delle vittime delle esecuzioni extragiudiziali che, secondo il governo sono circa 6.000, ma secondo l’opposizione sono oltre tre volte tanto. Il film illustra in modo approfondito la violenza istituzionalizzata, ma non cerca di indagare le ragioni che, secondo diverse ricerche svolte da istituzioni anche internazionali, spingono ancora settori importanti della popolazione a sostenere il presidente; non indaga il complesso rapporto tra la promessa di sicurezza, la percezione della sicurezza nei quartieri della capitale e la sua complessa relazione con il rispetto dei diritti umani. Un documentario interessante per chi non sa nulla di quanto avviene nelle Filippine, un’occasione persa per chi, informato, avrebbe voluto approfondire.
In “Manta Ray” la scena nella quale si muove il regista tailandese Phuttiphong Aroonpheng è quella di un villaggio del suo paese in riva al mare, meta di migliaia di rifugiati Rohingya, molti dei quali affogano o trovano la morte nelle foreste circostanti. Un pescatore salva Thongchai, uno dei fuggitivi, se ne prende cura e lo porta a vivere con lui nella sua casa. Quando il pescatore scompare in mare Thongchai s’impadronisce della sua vita, sostituendolo nella quotidianità e inserendosi nei suoi affetti. Un film molto delicato e avvincente, che comunica prevalentemente attraverso le immagini, con una grande potenza anche metaforica. Manta, il pesce che nuota utilizzando la luce per orientarsi e che dà il titolo al film, rimanda alla fuga dei Rohingya alla ricerca di un luogo sicuro, ma forse rimanda anche alle luminosità che appaiono nella foresta dove si aggira un uomo con un fucile che sembrerebbe dare la caccia ai fuggitivi. Il mare e la foresta sono gli ambienti dove si verificano incontri il cui significato è lasciato alla libera interpretazione dello spettatore e dove la vita e la morte svaniscono una nell’altra senza che i confini siano sempre riconoscibili. Thongchai non parla e forse questo rimanda alla difficoltà nel trovare un posto nella nuova realtà; un posto che sembra possibile occupare solo come sostituto di qualcun altro, di colui al quale deve la sua vita. La pellicola ha vinto la sezione Orizzonti nel 2018 a Venezia.
Il Vangelo al giorno d’oggi
“Das neue Evangelium” (Il nuovo Vangelo) è un film del regista svizzero Milo Rau, uscito nel 2020 ma rimasto solo pochi giorni online, a disposizione di pochi attivisti. Esplicite sono le domande che si è posto il regista: cosa avrebbe predicato Gesù nel XXI secolo? Chi sarebbero stati i suoi discepoli? Come risponderebbe la società odierna al ritorno del figlio di Dio? Quella che va in scena è una “rivolta della dignità”. Girato a Matera, capitale della cultura 2019, come le precedenti opere di Pasolini e Gibson, intreccia scene tratte da eventi reali con la fiction. Gesù è interpretato dal sindacalista africano Yvan Sagnet, prima raccoglitore di pomodori, poi organizzatore nel 2011 del primo sciopero dei migranti occupati come braccianti nelle nostre campagne e ora primo Gesù nero della Storia, schierato al fianco dei migranti in lotta per i propri diritti. Le riprese avvengono in diretta e si intrecciano in modo talmente stretto con una dura vertenza in corso in quei giorni, che uno degli organizzatori delle manifestazioni – di fronte ad alcune richieste del regista, motivate da necessità scenografiche – reagisce vivacemente spiegando che è in atto una vera lotta con delle proprie esigenze che non possono piegarsi ai desideri di una fiction.
Il film entra ed esce a ritmo serrato dalla realtà quotidiana: i protagonisti delle lotte ora appaiono mentre in diretta agiscono come attivisti e poco dopo sono inseriti nella fiction con abiti del tempo e in ruoli talvolta in sintonia (Gesù interpretato dal sindacalista Yvan Sagnet) talvolta in contrasto con la loro vita reale (il centurione romano interpretato da Gianni Fabbris, uno degli organizzatori delle lotte). I commenti delle persone presenti alle manifestazioni si intrecciano con le reazioni del popolo alla condanna di Gesù e alla sua Via Crucis; il ruolo svolto dalle autorità civili e religiose nella vicenda reale e nella fiction costituisce un continuo e suggestivo contrappasso, vincente anche nella forma narrativa. A completare il mix la decisione di inserire, a fianco dei cittadini di Matera e degli attivisti, alcuni attori professionisti: Marcello Fonte che interpreta Pilato, Enrique Irazoqui (Gesù in Il Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini) e Maia Morgenstern (già Maria in La Passione di Cristo di Mel Gibson). Un film da vedere e da far circolare, netto ed esplicito nello schierarsi, ma mai segnato da quelle venature provocatorie che talvolta relegano simili produzioni a un pubblico di attivisti già politicamente orientato.