“Luzifer”, del regista austriaco Peter Brunner, è ispirato ad una storia vera di esorcismo. Johannes, giovane adulto ma con una mente e un vissuto emotivo e psicologico da bambino, vive isolato con la madre in una cascina in mezzo alle Alpi e alleva volatili, con alcuni dei quali ha stabilito un forte legame. La quotidianità è scandita da preghiere e riti religiosi fortemente intrecciati con la natura e con il ricordo del padre defunto da tempo, fino a quando nella loro vita non irrompe la modernità attraverso una società che vuole costruire in quel sito una struttura turistica, distruggendo il loro paradiso e risvegliando il demonio. Demonio che avrebbe costituito la sua dimora in una caverna dalla quale escono i droni inviati dalla società turistica a spiare e a disturbare madre e figlio. “Il coraggio di Susanne Jensen, una pastora (ndr. una religiosa) e una sopravvissuta a un abuso, nell’affrontare il suo difficile passato attraverso questo ruolo (ndr. interpreta la madre) è stata una delle esperienze più appassionanti delle riprese” ha dichiarato il regista. In effetti l’interpretazione è veramente magistrale. L’attrice ha così commentato il suo ruolo: “Luzifer è una figura mistica della fantasia. Le persone spesso hanno bisogno di una personificazione del diavolo, come in questo caso, per non sentirsi alla mercè di forze terribili. La madre nel film ha costruito un proprio mondo di credenze. Coloro che minacciano il suo paradiso diventano ai suoi occhi il diavolo.”
Un film complesso, non scontato. Il confine tra il bene e il male in realtà è tracciato in modo meno netto di quello che potrebbe apparire a una visione superficiale o dalla lettura di un riassunto di poche righe. Quello che agli occhi della coppia madre e figlio appare come un Paradiso, mostra in modo evidente le sue tremende contraddizioni e i sentimenti degli spettatori viaggiano a corrente alternata durante la proiezione. Se la modernità è rappresentata in negativo, l’integrazione essere umano/natura appare come un’operazione meno semplice di quanto si pensi e costellata di non poche trappole.
I film di Piazza Grande
Tra i film presentati nel fantastico scenario di Piazza Grande uno in particolare ha attirato la mia attenzione e presto arriverà nei cinema italiani.
“100 Minutes – Sto minut iz zhizni Ivana Denisovicha” (Cento minuti della vita di Ivan Denisovich) è un’opera del regista russo Gleb Panfilov, presente a Locarno a oltre cinquant’anni di distanza da quando nel 1969 vinse, senza poterlo ritirare, il Pardo d’Oro per la miglior opera seconda con “No Path Through Fire – Nessun orizzonte oltre il fuoco”, Anche in quel caso la protagonista era Inna Churikova che, presente anche in “100 Minutes” e in tutti i suoi film, divenne sua moglie. Tratto dal romanzo di Aleksandr Solženicyn “Una giornata di Ivan Denisovič”, racconta la storia di migliaia di soldati sovietici che, dopo essere stati catturati dai nazisti, riuscirono a tornare in patria; sospettati dal sistema staliniano di aver ottenuto la libertà diventando delle spie naziste furono rinchiusi nei lager siberiani.
Uno stile estremamente realista, un’approfondita descrizione dei personaggi e delle loro relazioni, a cominciare da quei fili di solidarietà umana che resistono tra i prigionieri. Il dramma umano di chi, fervente sostenitore della rivoluzione e del sistema socialista, si ritrova da questo condannato senza ragione a una durissima pena, non è enfatizzato, né politicamente strumentalizzato, ma lasciato alle scarne parole presenti nei dialoghi della quotidianità detentiva. Il regista ha spiegato di essersi preso alcune significative libertà narrative nella trasposizione dal libro al film, ad esempio sul rapporto con la moglie e le figlie e sulle modalità con le quali è stata possibile la fuga; particolari che rendono più stringente la narrazione cinematografica.