Milano rappresenta una delle tappe del lungo viaggio di migliaia di profughi, soprattutto siriani e palestinesi, verso l’Europa del nord. Metà di loro punta a chiedere asilo politico in Svezia. Alla Stazione Centrale vengono accolti dai volontari di SOS ERM (SOS Emergenza Rifugiati Milano). Carlotta Passerini, una di loro, racconta la sua esperienza.

Come e quando è nata la vostra associazione?

Siamo un gruppo di volontari che si occupano dell’accoglienza dei profughi siriani e palestinesi al loro arrivo alla Stazione Centrale. Inizialmente, a giugno, il gruppo era firmato da privati, poi per questioni assicurative il Comune ci ha proposto di iscriverci all’Albo dei Volontari per questo progetto specifico e siamo diventati veri e propri volontari del Comune di Milano.

La nostra associazione, SOS ERM (SOS Emergenza Rifugiati Milano) è nata a fine luglio da Susy Iovieno, ideatrice e promotrice di questo progetto. Abbiamo sempre raccolto donazioni alimentari in stazione, ma molte persone che non vivono a Milano ci chiedevano come fare a portare gli alimenti. Così abbiamo fondato SOSERM, soprattutto per raccogliere donazioni attraverso il nostro conto corrente.

Che cosa fate?

Il nostro compito è quello di accogliere i profughi con cibo e acqua tutte le mattine, dalle nove a mezzogiorno. In realtà non ci fermiamo a questo, ma parliamo con loro, rispondiamo alle loro domande e ascoltiamo le loro storie.

Inizialmente ci occupavamo anche dell’intrattenimento dei bambini, ora invece lo gestisce Save the Children (dalle 10 alle 17, tutti i giorni). Insieme a noi lavora anche la Cooperativa Sociale Universiis, presente in stazione da mezzogiorno alle nove di sera, che si occupa della registrazione dei profughi per portarli nei vari centri di accoglienza e della distribuzione del pranzo, fornito da Arca.

La situazione odierna è più tranquilla rispetto ai mesi estivi. Il boom è stato a luglio e a fine agosto-primi di settembre, con un picco di 1.880 profughi in una giornata. Gli arrivi sono diminuiti, ad esempio oggi abbiamo accolto circa 150 siriani.

Com’è la situazione dei profughi?

I profughi appartengono in larga parte alla classe media; molti parlano fluentemente l’inglese e quasi tutti hanno avuto accesso ad alti livelli di istruzione. Ci capita spesso di accogliere insegnanti, ingegneri, architetti, dentisti e medici.

Cosa si prova venendo a contatto con gente segnata da vicende drammatiche, eppure decisa a cercare un futuro migliore?

Il mio primo giorno in stazione è stato difficile. All’inizio venire in contatto con persone che in Siria vivevano bene, meglio di noi e che ora hanno perso tutto è stato straziante. Mi ricordo che quel giorno di giugno ero andata con mia madre in stazione a lasciare borse della spesa piene di cibo e vestiti. Dopo averli distribuiti mi sono fermata a chiacchierare con un ragazzo siriano, di Damasco, che viaggiava con la moglie e la loro bellissima bimba, Sarah, di solo un anno. Nel suo paese lui era architetto, viveva bene, aveva imparato l’inglese, aveva tanti amici e una bella casa. Quel giorno non aveva niente, se non la sua famiglia e due valigie che contenevano qualche vestito. La sua storia mi ha colpita molto; se non si viene a contatto diretto con queste persone non si può capire veramente cosa stiano passando.

C’è qualche altro episodio che ti ha particolarmente toccata?

Avrei moltissime vicende da raccontare, da quella di un giocatore di pallanuoto che si è salvato da un naufragio perché sapeva nuotare bene, alla storia di un ragazzo che ha perso l’uso di una mano a causa della scheggia di una bomba, a quella di una donna incinta sopravvissuta al naufragio, mentre il marito è disperso, a quella di un bambino che ha visto morire i genitori in mare.

Alcuni politici e molte persone prima di esprimere la loro opinione su questo tema dovrebbero venire anche solo un’ora in stazione, a vedere con i loro occhi cosa ha passato questa gente. Poi magari cambierebbero idea, avendo un minimo di umanità.