Le proteste che hanno nuovamente attraversato il Guatemala durante gli ultimi mesi hanno radici molto profonde. Sono il risultato di secoli di oppressione e persecuzione che si traduce nell’impellente esigenza di porre fine al cosiddetto “patto dei corrotti”, alle vessazioni, alla criminalizzazione e agli attacchi omicidi contro chi difende i diritti umani, la terra, i beni comuni. Molte delle persone che scendono in piazza chiedono una rottura definitiva con il modello neoliberista estrattivista e con quel sistema politico e istituzionale che lo sostiene e lo protegge. L’unica alternativa possibile, dicono in molti, è quella di un’assemblea costituente popolare e plurinazionale.

Lo scorso 13 agosto, spiega in un articolo Prensa Comunitaria, le autorità indigene e ancestrali di diversi territori hanno consegnato un ultimatum al presidente Alejandro Giammattei, fissando al 18 agosto il termine per presentare le dimissioni. Lo stesso hanno fatto con la procuratrice generale Consuelo Porras. Nulla è accaduto e le proteste sono continuate.

Dalla rimozione del titolare della Procura speciale contro l’impunità (Feci), Juan Francisco Sandoval, si sono registrate più di 250 manifestazioni di protesta in tutto il paese. Le ultime il 29 agosto scorso.

Anabella Sibrián è la direttrice di Protection International Mesoamerica. Con lei abbiamo parlato della situazione attuale e delle prospettive future per il Guatemala.

[Leggi qui la prima parte del reportagePer un Guatemala senza corrotti e plurinazionale”]

 

Qual è la sua analisi delle mobilitazioni delle scorse settimane?

È evidente che non si tratta solo di proteste per la cacciata del titolare della Feci, anche se è innegabile che sia stato un fattore detonante. Quello che sta accadendo è piuttosto la risposta della popolazione a un accumulo di stanchezza, sfinimento, indignazione, in un contesto di profonda disuguaglianza che vive il paese.

In Guatemala stiamo assistendo a una controffensiva del settore privato, in collusione con la politica e i corpi repressivi dello Stato, per prendere il controllo di tutte le istituzioni. L’hanno già fatto con il potere esecutivo e il legislativo e ora hanno lanciato l’attacco a quello giudiziario.

L’allontanamento di (Juan Francisco) Sandoval da parte della procuratrice generale (Consuelo Porras), una funzionaria che ha ricevuto forti critiche sia per il suo operato che per i presunti legami con interessi criminali, è stata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso. La gente ha quindi detto ‘basta’.

Da qui la richiesta sempre più forte di una trasformazione del paese, di una rifondazione dello Stato. È un tema su cui si discute e si insiste da decenni, soprattutto da parte di quelle fasce della popolazione maggiormente discriminate ed escluse da questo sistema ingiusto.

Deve essere però una rifondazione dal basso. Si tratta di cambiare profondamente quelle regole del gioco che favoriscono sempre e solo le élite predatorie e meschine, quelle stesse che tanto danno hanno fatto al paese e ai guatemaltechi.

Se qualcosa si è appreso dal 2015 (proteste che hanno portato alle dimissioni e all’arresto dell’allora presidente Otto Pérez e della sua vice Roxana Baldetti ndr) è che le mobilitazioni quando si prefiggono solo obbiettvi riformisti non fanno altro che consolidare e rafforzare le stesse élite imprenditoriali.

È quindi molto interessante che venga proposto il concetto di ‘sciopero plurinazionale’. Significa che si sta avanzando nella comprensione del fatto che l’ordine delle cose deve cambiare considerando, in primo luogo, la maggioranza della popolazione e cioè i popoli indigeni e il settore contadino.

Mi sembra che si stia cominciando a intravedere il seme di un progetto controegemonico che dovrà essere consolidato nel tempo. Si stanno costruendo nuovi ponti tra realtà diverse, tra organizzazioni e movimenti che si erano allontanati. Tutto questo è molto promettente.

Le élite di solito non accettano passivamente quei cambiamenti che vanno contro i loro interessi. Questo potrebbe tradursi in maggiore repressione?

Reagiranno in modo violento come sempre hanno fatto. Per il momento continuano a servirsi di strumenti come la criminalizzazione e la persecuzione di chi si oppone e protesta. Restringono anche certe libertà di associazione e di espressione. Tuttavia, nella misura in cui il movimento intensificherà la sua richiesta di cambiamenti profondi, è probabile che tornino a far uso della violenza di Stato.

In Guatemala c’è un forte deterioramento dei diritti umani e condizioni terribili per ciò che riguarda l’accesso all’alimentazione. Solo un quinto della popolazione ha accesso all’acqua potabile. Le poche fonti di acqua naturale pulita nelle comunità rurali vengono accaparrate per lo sfruttamento commerciale. Senza informare o consultare nessuno, le multinazionali arrivano con i loro presunti progetti di sviluppo e vietano l’accesso all’acqua.

Ti immagini cos’è successo durante la pandemia, quando avere acqua pulita a disposizione era vitale per migliaia di famiglie delle zone rurali? La macchina estrattivista qui non si è mai fermata, anzi, ha accelerato le operazioni approfittando delle limitazioni di movimento delle persone e i mesi di lockdown.

Abusano inoltre delle leggi per reprimere chi difende i diritti, in particolare chi difende la terra e i beni comuni. A El Estor (Izabal), per esempio, la società mineraria che estrae nichel ha continuato a lavorare, e questo nonostante il divieto della Corte Costituzionale. Gli effetti sulla popolazione e sull’ambiente sono disastrosi e parliamo di una delle aree più vulnerabili del paese.

L’Unità per la protezione dei difensori dei diritti umani in Guatemala (Udefegua) ha segnalato l’aumento esponenziale del numero di attacchi contro i difensori dei diritti umani: da 494 nel 2019 a 1.056 nel 2020. Ha registrato inoltre 15 omicidi e 22 tentati omicidi. Il Comitato contadino dell’altiplano (Ccda) ha denunciato la criminalizzazione di oltre 800 dei suoi iscritti.

È in questo contesto di saccheggio e repressione che le persone si indignano, si mobilitano ed esigono il rispetto dei loro diritti.

Lo Stato e le élite economiche adottano formalmente il discorso della difesa dei diritti umani, ma di fatto promuovono la distruzione di tutte le garanzie dei cittadini, la chiusura degli spazi democratici e una maggiore militarizzazione della società.

Come ho già detto, se non funzionasse la cooptazione delle istituzioni, né la strategia di criminalizzazione di chi difende i diritti, la cosa più probabile è che tornino a optare per la violenza di Stato, come negli anni ’70 e ’80.

[Leggi qui la prima parte del reportagePer un Guatemala senza corrotti e plurinazionale”]

Fonte: LINyM (spagnolo)