Chiediamo che il Parlamento fermi le scelte del Governo italiano.

Ancora una scelta militare per l’Iraq: secondo le dichiarazioni alla Camera del Ministro Pinotti non solo mezzi e aerei ma anche l’intervento di oltre duecento uomini. Una scelta sbagliata e inaccettabile – soprattutto se non avrà un nuovo vaglio parlamentare – che spinge la Rete Italiana per il Disarmo a rilanciare la richiesta al Governodi  maggiori dettagli e una supervisione parlamentare e della società civile sull’invio di materiale bellico, e ora forse di militari, in Iraq.

Tutto questo mentre i recenti bombardamenti sulle postazioni della milizia dello Stato islamico hanno in realtà rafforzato la situazione sul terreno di ISIS piuttosto che indebolirla

 

Nel corso di un’audizione presso le Commissioni congiunte Esteri e Difesa della Camera la Ministro della difesa Pinotti ha annunciato ieri una importante accelerata quantitativa e qualitativa del supporto militare italiano alla coalizione contro l’Isis in Iraq. Nei prossimi giorni, secondo quanto riferito, nuovi mezzi (aereo per rifornimento, due droni Predator) e soprattutto uomini (circa 200 istruttori) saranno inviati nel teatro delle operazioni della coalizione internazionale a sostegno in particolare dei combattenti curdi. Il tutto senza un nuovo passaggio di voto parlamentare poiché, secondo quanto viene riferito in dichiarazioni dal Ministro, sia dai Presidenti delle Commissioni che dal Governo viene considerato sufficiente il voto avvenuto a metà agosto, in altro contesto e con tutti altri dati a disposizione.

L’audizione del Ministro Pinotti segue di soli pochi giorni il comunicato emesso a seguito del Consiglio Supremo di Difesa che, mancando di indicare le vittime reali delle azioni di pulizia culturale dell’ISIS, appare preoccupato solo dei ‘rischi rilevanti per l’Europa e per l’Italia’ a seguito della pressione militare dell’ISIS in Siria e in Iraq. Una dichiarazione tardiva ed inaccettabile che sarà seguita da un’azione militare illegittima ed inadeguata a proteggere le popolazioni vittime della violenza dell’ISIS. Ci saremmo invece aspettati dal maggior organo consultivo del Presidente della Repubblica un forte e chiaro richiamo sulla sottovalutazione della gravità della situazione per le reali vittime del conflitto e soprattutto per le gravi mancanze del nostro Paese e dei governi dell’Unione europea nel promuove una precisa azione in ambito delle Nazioni Unite secondo la “responsabilità nel proteggere”. Responsabilità che abbiamo chiaramente indicato già da agosto e che non è stata presa in considerazione da parte del Governo Renzi che ha scelto l’invio di armi senza mandato delle Nazioni Unite e una politica forte ad esso connessa.

La Rete italiana per il Disarmo ribadisce ancora una volta che non sarà certo un intervento militare a risolvere la situazione irachena. Anzi, come sottolineano diversi analisti internazionali (dettagli in calce), i recenti bombardamenti sulle postazioni della milizia dello Stato islamico hanno in realtà rafforzato la situazione sul terreno di ISIS piuttosto che indebolirla. Purtroppo oggi in Iraq si vedono i risultati negativi di uno sforzo prettamente militare, senza strategia politica e senza reale impegno diplomatico, della Coalizione internazionale: lo Stato Islamico continua ad avanzare in molte province, e le principali fazioni armate sunnite irachene hanno deciso di non schierarsi apertamente contro di esso. “Rimarranno neutrali tra il governo e l’IS – sottolinea la presidente di Un Ponte per Martina Pignatti – in quanto gli incontri diplomatici con il nuovo governo per dar vita a una coalizione nazionale contro ‘Daesh’ sono falliti. Se le parti accettano di incontrarsi e non trovano un accordo, buona parte della responsabilità va sempre all’assenza di un mediatore forte, capace e credibile: proprio quella è la sedia lasciata vuota dalla comunità internazionale”. In queste settimane il Governo iracheno non è riuscito nemmeno a mantenere l’impegno a fermare i bombardamenti sui quartieri civili di tante città sunnite, e mentre le armi proliferano il tanto auspicato dialogo nazionale si ferma. “Per individuare soluzioni politiche occorre ripartire dall’analisi dei problemi che stanno alla radice di questa guerra – continua Martina Pignatti – come hanno fatto recentemente tanti autori italiani e iracheni del volume “La crisi irachena. Cause ed effetti di una storia che non insegna” a cura di Osservatorio Iraq con la collaborazione di Un ponte per. Con l’intento di approfondire, analizzare e far conoscere l’Iraq al di là delle cronache fredde e immediate, questo volume cerca di tornare alla storia del Paese e dare voce all’altro Iraq che immagina un futuro democratico”.

Di particolare preoccupazione l’intenzione di inviare uomini, circa  200 come detto, nel teatro delle operazioni. Se è pur vero che si dovrebbe trattare di addestratori non combattenti è altrettanto chiaro come ciò renda ancora più diretto il coinvolgimento dell’Italia in un’operazione di conflitto, che dovrebbe essere decisa invece esplicitamente dal Parlamento sovrano. A tutto questo si aggiunge anche l’intenzione, annunciata sempre ieri dal Ministro Pinotti, di rinnovare il sostegno ai Peshmerga con nuove spedizioni di materiale d’armamento (eppure sino a pochi giorni il Governo riteneva il primo invio perfettamente sufficiente nonostante le critiche avanzate) proveniente sempre da vecchi sequestri di armi ai trafficanti sovietici di metà anni ‘90.

“Su questo particolare aspetto l’opacità è davvero grande – commenta Francesco Vignarca coordinatore di Rete Disarmo – perché non abbiamo ancora ricevuto tutti i dettagli necessari a monitorare il precedente invio eppure si pensa già ad una nuova consegna tramite ponte aereo militare. Ancora una volta ribadiamo la nostra contrarietà a questa spedizione insensata ed inutile, ma soprattutto sottolineiamo la necessità, se non si vuole solo alimentare un mercato nero pericoloso, di controllare con una forte tracciabilità tutti gli invii di armamenti”. Ad oggi tutte le richieste di chiarimento avanzate da Rete Disarmo non hanno sortito alcuna risposta, e non bastano le comunicazioni ufficiali di natura generale a colmare un gap informativo importante.

Non si sta ipotizzando un semplice “rischio”: la sparizione di armi in quella regione è un dato di fatto ampiamente documentato dai rapporti del Pentagono e di centri di ricerca autorevoli come il SIPRI di Stoccolma. Già nel 2007 un rapporto del Pentagono a fronte di oltre 13mila armi consegnate all’esercito iracheno se n’era persa traccia per più di 12mila: tra quelle armi figurano pistole, fucili d’assalto, mitragliatrici e lanciagranate. Una simile situazione si è verificata in Afghanistan. Non a caso una specifica ricerca del SIPRI definisce questi due paesi come “gli esempi più evidenti dei rischi collegati alla fornitura di armi a Stati fragili”. Senza adeguate misure e controlli vi è quindi l’altissimo rischio che anche le “nostre” armi possano finire nelle mani sbagliate. Aggiungendo problemi ad una situazione già drammatica.

In coda a questo Comunicato esplicitiamo le domande poste già da settimane all’attenzione del Ministro della Difesa e che non hanno ricevuto ad oggi alcuna risposta. La nostra Rete avanza ancora una volta la richiesta di poter essere parte attiva (anche contestualmente ad analoga iniziativa parlamentare) di un monitoraggio dell’invio di armi in Iraq che dimostri nei fatti la volontà di trasparenza espressa a parole dal Governo. “Chiediamo accesso a tutti i documenti per poter eseguire una registrazione del materiale inviato secondo gli standard impiegati in casi analoghi da organismi e nostri partner internazionali il tutto nell’ottica di una reale ed effettiva tracciabilità delle armi e delle munizioni che verranno spedite” conclude Vignarca.

Rete Italiana per il Disarmo ribadisce infine la propria richiesta affinché venga subito aperta un’inchiesta parlamentare considerato che una parte di quelle armi pare sia stata inviata nel 2011 agli insorti di Bengasi apponendo da parte dell’allora governo in carica (Berlusconi IV) il segreto di stato” (del quale la nostra Rete aveva chiesto conto al Presidente della Repubblica Napolitano senza ricevere alcuna risposta).