“L’enigma della crescita” è un saggio chiaro, sintetico e meditato di Luca Ricolfi e prende in esame le varie modalità della crescita dei principali paesi più sviluppati (Mondadori, 2014, p. 263, € 19).
Il sociologo torinese ha analizzato l’andamento economico dell’Italia e dei paesi aderenti all’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), nel periodo 1995-2007 (i dodici anni prima della crisi).
La sua equazione della crescita rivela che “ogni diecimila dollari di reddito pro capite in più costano circa un punto di rallentamento del processo di crescita” e che ogni dieci anni c’è quasi un punto di rallentamento della crescita. Dalla crescita media del 4 per cento degli anni Sessanta si è passati a quella inferiore al 2 per cento degli anni Novanta e a quella inferiore all’1 per cento degli ultimi anni (il rallentamento era in atto già prima della crisi del 2008).
Quindi il tasso di crescita è inversamente proporzionale al reddito di partenza e dipende da altri quattro fattori fondamentali: capitale umano, investimenti, istituzioni e tasse. Di solito gli studi sulla crescita considerano il tasso di crescita come” l’incremento percentuale medio annuo del reddito pro capite”. Il reddito di partenza è stato molto vincolante per l’Italia e in genere incide per circa il 60 per cento sulla crescita. “Nei paesi euro la variabile cruciale per la crescita è la qualità del capitale umano, nei paesi non-euro la variabile chiave è la bassa pressione fiscale” (nota a p. 223).
Il benessere satura le attività commerciali e i posti di lavoro, fa crescere i salari e “i costi di produzione e riduce gli incentivi a migliorare la propria condizione”. La crescita è il vero nemico della crescita: prima rallenta e poi si arresta. Quindi negli ultimi due decenni i paesi più poveri sono cresciuti di più dei paesi più ricchi. In molti i paesi il reddito degli stranieri cresce più in fretta di quello dei nativi (sono i giovani più desiderosi di lavorare e di guadagnare bene i più motivati a emigrare). L’Africa è un continente dove il capitalismo di massa è solo all’inizio del suo cammino e gli Stati Uniti riescono a crescere bene grazie alle innovazioni apportate dai cervelli degli immigrati.
I paesi arretrati hanno il vantaggio di poter importare subito le tecnologie sviluppate in altre nazioni, possono attirare molti capitali esteri e possono monetizzare il nuovo lavoro operaio di innumerevoli ex lavoratori agricoli, i cui lavori di sussistenza non erano precedentemente calcolati nel Pil nazionale (l’eventuale contrazione del prodotto agricolo non può essere conteggiata).
Comunque “la teoria della crescita più che dai modelli matematici degli economisti, spesso stregati dal sogno di una crescita illimitata, ha molto da imparare dalla vastissima letteratura matematico-statistica sulla dinamica delle popolazioni”. Ogni popolazione prima o poi incontra un limite: “In alcuni modelli tale limite è costituito dal carattere finito di alcune risorse dell’ambiente”. Altri modelli valutano “l’interazione fra una popolazione di prede e una popolazione di predatori” (con l’aumentare dei predatori diminuiscono le prede, dopodiché diminuiscono anche i predatori).
La crisi finanziaria è nata forse per evitare il nocciolo duro della crisi della crescita delle società più sviluppate e probabilmente “c’è un tetto, diverso per ogni società, oltre il quale la crescita non può andare… Anche per i sistemi sociali, come per gli individui, più che gli ostacoli esterni sono i nostri stessi successi che possono raffreddare i nostri sogni”. Gli operatori del mondo finanziario hanno creduto di poter continuare a guadagnare interessi alti, anche se l’economia reale era in difficoltà.
In effetti i due paesi dell’OCSE con la crescita più bassa sono l’Italia e il Giappone, i due paesi con la prospettiva di vita più alta e con la maggiore incidenza della popolazione anziana. Gli anziani non sognano, possiedono tutto quello che serve per vivere e risparmiano molto, per poter affrontare le spese derivanti da malattie più o meno invalidanti. Infatti nei primi sei mesi del 2014 è aumentato il risparmio accumulato nei conti correnti in Italia, nonostante la grande crisi e le pesanti tasse.
Gli ambienti economici cambiano in continuazione e le grandi risorse riservate ai diritti acquisiti e alle pensioni riducono gli altri investimenti statali. Le persone mature e anziane incontrano molte difficoltà nell’affrontare i cambiamenti e le classi dirigenti accademiche, politiche e imprenditoriali troppo mature o troppo anziane sono meno formate e non possono capire quali sono i treni e gli aerei che portano nelle città dei nuovi business (quelli che garantiscono i tassi di crescita elevati).
Luca Ricolfi insegna Analisi dei dati all’Università di Torino. Editorialista della “Stampa”, ha pubblicato molti saggi (segnalo “La Repubblica delle Tasse” del 2011 e “Illusioni italiche” del 2010).
Nota – L’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico è formata da 34 paesi: i principali paesi dell’Unione Europea (tranne Lettonia, Lituania, Croazia, Bulgaria, Romania, Malta e Cipro), la Svizzera, la Norvegia, l’Islanda, il Canada, gli Stati Uniti, il Messico, il Cile, Israele, la Turchia, la Corea del Sud, il Giappone, la Nuova Zelanda e l’Australia. Questi paesi producono “quasi il 50 per cento del Pil mondiale, con meno del 18 per cento della popolazione” (p. 15).
Appendice – In genere il reddito medio per abitante aumenta quasi sempre in quasi tutti i paesi ed è maggiore di quanto ci si possa aspettare guardando all’andamento delle ore lavorate e dagli investimenti (la parte non prevista dipende da molti fattori e dal “residuo” di Solow, 1956). Il fattore principale è il progresso tecnologico, però esistono altri fattori che variano da paese a paese: i miglioramenti logistici, gli investimenti nella formazione, i miglioramenti manageriali, le politiche economiche azzeccate, la tutela dei diritti di proprietà, la scarsa tassazione delle imprese, la ricerca, ecc. Si possono identificare cinque fattori fondamentali: il primo fattore è la qualità del capitale umano, il secondo è la quantità degli investimenti diretti esteri, il terzo è la qualità delle istituzioni economiche (la giustizia civile chiara e veloce, la burocrazia semplice e rapida, l’apertura dei mercati). Il quarto fattore riguarda le imposte, in particolare “le tasse che frenano la crescita sono quelle che gravano direttamente sull’impresa e sui suoi utili”. Infatti “in Svezia e in Finlandia la pressione fiscale complessiva è molto alta, l’imposta sul valore aggiunto (IVA) è al 25 per cento, le tasse sul lavoro non sono certo leggere, ma le imposte che gravano direttamente sulle imprese sono fra le più basse d’Europa” (p. 48). Però è il quinto, l’alto reddito iniziale precedente il periodo esaminato, il vincolo più stringente per tutti i paesi (la ricchezza non stimola la produttività). Per crescere nel breve periodo l’Italia dovrebbe diminuire le tasse sulle imprese e sul lavoro.