La pena di morte è stata cancellata nel nostro sistema sanzionatorio con l’art. 27 della Costituzione che, però, la lasciava in vigore per le leggi militari di guerra: quest’ultima contraddizione interna allo stesso art. 27, comunque, è stata sanata con legge costituzionale 2 ottobre 2007, n. 1, ed oggi in Italia la morte come pena è completamente scomparsa.
La pena massima ora è quella dell’ergastolo che non si sconta mai interamente, dato che un ergastolano (o un condannato ad altra pena detentiva), dopo aver superato un percorso rieducativo, può essere ammesso ai vari benefici quali: l’assegnazione al lavoro esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione, fino alla liberazione anticipata. Tuttavia, una concatenazione legislativa riguardante i condannati per molti specifici reati (mafia e terrorismo in testa) ammette – però – la concessione dei benefici previsti solo se questi collaborano con la giustizia. In definitiva – così stabilendo con l’art. 4 bis dell’Ordinamento penitenziario – il legislatore ha reso l’ergastolo, per quanti non vogliono collaborare, “ostativo” – cioè perpetuo.
Ora è ovvio che questo tipo di ergastolo, che implica il “fine pena mai”, è in conflitto con l’art. 27 della Costituzione dove si stabilisce tra l’altro che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”, una rieducazione che dovrebbe logicamente portare prima o poi ad una liberazione di quest’ultimo.
L’ergastolo ostativo è stato concettualmente inquadrato nel divieto di cui all’art. 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, per il quale: “nessuno può essere sottoposto a torture né a pene o trattamenti inumani o degradanti”. Conseguentemente la Corte europea per i diritti dell’uomo (CEDU) da tempo ha stabilito la non conformità alla Convenzione dell’ergastolo ostativo.
Anche la nostra Corte costituzionale aveva rilevato la non conformità alla Carta di un divieto che poteva riguardare un condannato che, pur non collaborando, aveva seguito un percorso rieducativo e non aveva più nessun contatto con la criminalità organizzata.
Comunque, nell’inerzia del Parlamento, la Corte recentemente – con sentenza del 15 aprile scorso – ha dichiarato la incostituzionalità (condizionata) di quella disposizione per contrasto con gli artt. 3 e 27 della Costituzione, dando al legislatore anno di tempo per adeguarla alla Carta poiché “l’accoglimento immediato della questione rischierebbe di inserirsi in modo non adeguato nell’attuale sistema di contrasto alla criminalità organizzata”.
Un anno di tempo, quindi, ma la fine dell’ergastolo ostativo è segnata dato che l’inerzia eventuale del parlamento comporterebbe un ulteriore intervento della Corte che, a questo punto, ne sancirebbe la incostituzionalità immediata: c’è da rallegrarsi perché certi meccanismi istituzionali funzionano e riaffermano lo stato di diritto.
Ora rimane una ulteriore battaglia per una legislazione che rispecchi pienamente la necessità di avere pene non contrarie al senso di umanità: l’abolizione dell’ergastolo in sé, comunque attenuato. Alcuni stati hanno già iniziato a toglierlo dal loro sistema penali (Spagna, Svezia, ecc.) ma quello che dovrebbe impressionarci di più è l’abolizione dell’ergastolo nella legislazione del Vaticano, una pena che Papa Francesco aveva equiparato ad una condanna a morte dilazionata nel tempo e che dimostra, altresì (a partire dal discorso del 15 novembre scorso di Papa Francesco ai partecipanti al XX congresso mondiale dell’Associazione internazionale di diritto penale), l’adesione incondizionata di questo Papa ad una cultura delle garanzie.
Così come abbiamo avuto modo di osservare in altre sedi, in relazione al penoso contesto carcerario, con questo papato «c’è stato un salto di qualità dottrinale e, ferma restando la richiesta di pietà e perdono per i reclusi, si è passati ad esaminare le cause e i meccanismi dell’esclusione carceraria, con particolare riferimento al diritto penale strumento di controllo della legalità, funzione quest’ultima gestita in monopolio dagli stati moderni».
Insomma, concludendo, i tempi attuali sono foschi e non si vedono all’orizzonte – sulla scia di Francesco – forze politiche capaci di condurre una tale battaglia. Ma, purtuttavia, è un imperativo morale quello di provarci.