Gli investimenti di ENI in progetti di conservazione delle foreste sono solo una operazione di greenwashing. È quanto rivela “Cosa si nasconde dietro l’interesse di ENI per le foreste”, pubblicazione lanciata oggi da Recommon e Greenpeace Italia che analizza l’uso, da parte della più importante multinazionale italiana, dello strumento REDD+ (Reducing Emissions from Deforestation and Forest Degradation in developing countries) per compensare le copiose emissioni causate dalle sue attività estrattive, acquistando crediti di carbonio da progetti di conservazione delle foreste.
Negli ultimi anni ENI ha annunciato di aver siglato accordi per progetti REDD+ in vari Paesi dell’America Latina e dell’Africa, tra cui il Luangwa Community Forests Project (LCFP), in Zambia. I progetti in questione dovrebbero impedire l’emissione di anidride carbonica (CO2) evitando la deforestazione. Il funzionamento dei crediti di carbonio è simile a quello dei titoli azionari, ma invece di quote societarie essi rappresentano il diritto ad emettere CO2.
La credibilità degli schemi di compensazione risulta però compromessa dal fatto che si basano su un assunto impossibile da verificare: si presumono riduzioni di emissioni sulla scorta di ciò che sarebbe accaduto se tali progetti non fossero stati realizzati. Stime aleatorie, che si rivelano di importanza fondamentale per tenere in vita ancora per decenni il modello dell’estrazione dei combustibili fossili.
«Acquistando crediti sul mercato del carbonio o investendo direttamente in presunti progetti di conservazione, aziende come Eni possono presentarsi come protettrici della biodiversità, nonostante le loro attività estrattive continuino a causare la distruzione degli ecosistemi su cui ricadono le loro concessioni, come per esempio nel Delta del Niger o in Mozambico” ha dichiarato Alessandro Runci di ReCommon.
Grazie a questa tipologia di progetti, l’Eni – ovvero l’azienda italiana con il più alto livello di emissioni di gas serra – è in grado di scrivere nel suo piano di decarbonizzazione che il gas fossile costituirà una parte centrale del proprio business persino oltre il 2050, affermando al contempo che, per quell’anno, la società avrà raggiunto l’obiettivo di emissioni nette zero. Alla base di questo paradosso c’è proprio il controverso meccanismo di compensazione della CO2, che consente alle multinazionali del fossile di riportare un volume di emissioni molto inferiore rispetto a quello di cui è effettivamente responsabile.
Malgrado sia noto che l’efficacia di questo meccanismo in termini di riduzione delle emissioni sia alquanto discutibile, specialmente se utilizzato a compensazione di emissioni generate, in numerose occasioni il REDD+ si è rivelato estremamente efficace nel ripulire l’immagine delle industrie più inquinanti, consentendo loro di nascondere il proprio impatto climatico. Nel frattempo, spesso accade che comunità locali, tradizionali e popoli indigeni interessati dai REDD+ non vedano riconosciuto il proprio diritto alla terra e, anzi, vengano rappresentati come una minaccia per la biodiversità e per le foreste, a causa di pratiche culturali o di sussistenza. Oltre al danno la beffa, dal momento che spesso sono invece proprio queste comunità a difendere le foreste dagli attacchi della grande industria estrattiva e agro-alimentare, anche a costo della vita.
«Ancora una volta ENI cerca di gettarci fumo negli occhi provando a farci credere di aver intrapreso una seria svolta green», commenta Martina Borghi di Greenpeace Italia. «Ma la verità è un’altra: investirà solo lo 0,8% del suo profitto lordo in progetti che non vanno alla radice del problema della deforestazione, riducendo le emissioni solo sulla carta e per di più con cifre che appaiono gonfiate. Il tutto mentre, nei prossimi quattro anni, prevede di aumentare le estrazioni di gas e petrolio. Siamo insomma di fronte all’ennesimo atto di greenwashing da parte dell’azienda, ovvero comunicazione verdi e investimenti neri. L’unica soluzione per contribuire davvero a contrastare la crisi climatica in corso è abbandonare i combustibili fossili, investendo in rinnovabili ed efficienza energetica” conclude Borghi.