È da un anno che l’outdoor education ha avuto un boom esponenziale. La situazione di pandemia è stata un terreno fertile per l’argomento e molte realtà, scuole, istituzioni ne hanno fatto tesoro. Task force, riunioni on line, bandi su tutto il territorio nazionale, moduli formativi per docenti. Un bel movimento si è attivato ma niente di fatto ha preso il via in modo sistemico, tranne sporadici singoli progetti finanziati con un inizio e una fine, o docenti che hanno deciso di perseguire questa didattica con le proprie classi. Oggi ci ritroviamo nella stessa identica modalità da cui siamo partiti a marzo 2020.
La Garante per l’infanzia e l’adolescenza, Carla Garlatti, in questi giorni ha fatto un ulteriore appello al riguardo, visti anche i dati riportati dall’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, “per una scuola all’aperto contro il disagio dei ragazzi”. Nuovamente parole, positive e importanti ovviamente, ma solo parole. Parole, poiché dimostra come non vi è conoscenza degli interventi già avviati da diversi enti del terzo settore in collaborazione con scuole e istituzioni, o da dirigenti scolastici e docenti stessi, ancor prima della pandemia per molti e nati durante la pandemia, per altri. Parole, poiché basterebbe veramente poco per mettere a sistema tale approccio educativo nella scuola pubblica eppure stiamo ancora così. Fermi. È arrivato il momento di fare, di avere coraggio, e soprattutto di unirci, tutti, veramente, e non solo per incontri live sui social o task force elitarie, in cui ognuno parla di sé e della sua esperienza, di quanto sia bella e importante, senza mai però elaborare un documento condiviso da proporre al ministero, o ad ogni singola scuola, per esempio. I bambini, bambine, ragazzi e ragazze sono stanchi di ascoltare solo parole, di sentire adulti che si riuniscono e parlano di cosa sia meglio per loro, senza mai essere direttamente interpellati su ciò che li riguarda in prima persona.
La nostra associazione (“Io sono“) nasce alla fine del 2014 da educatrici/tori, psicologhe/gi, medici, assistenti sociali, ostetriche, docenti di ogni ordine e grado, artisti, fisiche/ci, nutrizioniste, che hanno sentito la necessità impellente di portare un cambiamento del paradigma educativo e culturale nella nostra società.
Nello specifico, il nostro progetto “Stiamo Fuori” nasce nel 2016, nel Municipio VIII di Roma dove abbiamo da sempre sede, e vede nell’educazione diffusa un nuovo modo di essere scuola. Al tempo (e forse anche ora) ancora poco sperimentata e conosciuta, come pedagogia e didattica educativa, l’outdoor education è stata vista spesso, e lo è tutt’ora, da molti, semplicemente come “fare lezione fuori dall’aula”. Ma non è così. Chi come noi decide di vivere e condividere una didattica outdoor e un’educazione diffusa vede il mondo come la scuola per eccellenza, e non ama molto la sua chiusura in uno spazio esclusivo, specifico, delimitato, con porte e cancelli, fuori dal resto. Il mondo, composto anzitutto da luoghi e relazioni, è esso stesso apprendimento attivo e partecipativo.
Una sperimentazione didattica condivisa
È stato quindi per noi molto difficile nel 2016 condividere con le istituzioni, le scuole e il territorio una co-progettazione di qualità, dedicata a una vera e propria sperimentazione didattica condivisa, nonostante la nostra continua collaborazione con il Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università di Roma Tre, consolidata non solo da un protocollo formale ma anche da una co-partecipazione alle attività messe in campo da entrambe le realtà, con cui ci occupiamo (sempre dal 2016) di ricerca e sperimentazione in ambito educativo. È stato difficile far comprendere che “andare a scuola” può voler dire anche semplicemente errare da un punto ad un altro del territorio in cui si vive, e a volte fermarsi. Il viaggio stesso è Scuola e durante questo viaggio giornaliero si possono sperimentare e apprendere tante cose, iniziando con l’ascoltare i bambini stessi, passando a un’educazione alle emozioni (in cui tutte e tutti sono partecipanti, anche gli/le insegnanti), alla matematica, all’educazione civica, alla scienza, alla botanica, all’educazione ambientale, all’arte, all’italiano, alla storia, alla geografia. È stato difficile far capire che essere un educatore o educatrice vuol dire avere una responsabilità enorme, come anzitutto prendersi dei rischi, avere coraggio appunto. Vuol dire sperimentare e mettersi veramente in ascolto dei bambini, bambine, ragazze e ragazzi senza intervenire, per includere realmente tutte e tutti, nessuno escluso. Ancora più difficile è stato far comprendere che il bambino, bambina, ragazzo e ragazze è il protagonista attivo, e non passivo, dell’apprendimento stesso. In quanto tale, egli deve essere al centro e non visto come un mero fruitore dell’attività stessa (o della lezione). Deve essere accompagnato nell’elaborazione di ciò che emerge durante il viaggio di conoscenza che egli sperimenta. I nostri figli vogliono imparare, sempre. È un istinto naturale che in fondo non muore mai, viene solo spesso messo a tacere dalle modalità di apprendimento in cui la nostra società si è rifugiata. Il bambino, bambina, ragazzo e ragazza, deve essere anzitutto mess* nella condizione di conoscere se stess* e le sue emozioni. Le sue emozioni devono essere ascoltate. La sua curiosità, la sua voglia di apprendere, è infinita e come tale va incentivata. È fondamentale sviluppare l’empatia. È fondamentale rinnovare anche la formazione dei docenti stessi, partendo anche qui dalle emozioni più che da tutorial o slide tecniche. È necessario comprendere che siamo tutti educatori ed educatrici. Tutti. Sempre.
Nonostante la difficoltà dei protocolli, tra normative e sicurezza, con cui la scuola si trova a dover combattere, non è impossibile portare a sistema un nuovo modo di fare didattica. Il nostro percorso portato avanti dal 2016 al 2018, e i percorsi che stiamo sperimentando oggi, ci permettono di poter dire che ciò che serve è anzitutto un desiderio reale, forte, di apportare un cambiamento. Se c’è questo desiderio, niente è impossibile. Quando abbiamo incontrato alcune insegnanti dei diversi plessi che hanno aderito alla sperimentazione, (IC Leonori Spizzichino, plesso centrale, plesso Via Berto e plesso Via Benedetto Croce – 20 classi, circa 400 minori dai 3 ai 10 anni e circa 45 tra docenti di ruolo e di sostegno) fin da subito con alcun* c’è stata quell’energia giusta che ci ha permesso di superare le difficoltà come, in primis, la visibile perplessità di altr* insegnanti. I passaggi sono stati: la collaborazione con una rappresentante dei genitori che ci ha aiutato ad organizzare il tutto fin dal primo incontro con la dirigente scolastica, la presentazione di un progetto di base, discusso e condiviso con i docenti, la sottoscrizione di un patto di co-responsabilità, la firma dei genitori che permettesse ad ogni singolo minore di partecipare alla didattica outdoor. E poi la programmazione dei giorni per ogni classe, il lavoro di sinergia con gli/le insegnanti, in particolare sull’affrontare argomenti che fossero in linea con gli obiettivi di apprendimento previsti dal ministero, trovando un punto d’incontro per iniziare, alla comunicazione con i genitori provenienti da altre culture e che avevano difficoltà nella comprensione linguistica. Un lavoro di co-progettazione enorme, importante, che solo un reale desiderio di cambiamento può portare a perseguire.
Gli spazi utilizzati sono stati la strada, i parchi, gli orti, i negozi, le chiese, le biblioteche, i mercati, ciò che il territorio aveva a disposizione. Il mondo. Quando camminavamo, era chiara la gioia delle persone nel vedere bambini e bambine, ragazzi e ragazze fuori. Le espressioni del viso cambiavano improvvisamente e un sorriso prendeva forma. Molti si fermavano, alcuni ci aiutavano ad attraversare le strade, anche se non era necessario. I passi rallentavano e le persone tornavano ad essere presenti, nel qui e ora, come se si dimenticassero per un attimo dei loro pensieri, i cuori si risvegliavano. Era molto papabile tutto questo, anche le stesse insegnanti intonavano canti e i bambini e bambine le seguivano. Per arrivare in un luogo ci si metteva anche un’ora, seppur la distanza era di appena un chilometro.
Alcuni hanno avuto paura
Ha preso forma una reale comunità educante formata da bambine, bambini, ragazze, ragazzi, docenti, educatori ed educatrici operanti nel terzo settore, cittadini, adulti e anziani formati specificatamente da noi prima dell’avvio della sperimentazione, per accompagnare ogni singola classe alla conquista di una conoscenza partecipata, condivisa, attiva. La presenza costante di adulti (non educatori né insegnanti) e anziani, anche essi cittadini del territorio, è stata fondamentale per la riuscita del percorso. Inutile dire che la risposta dei bambini, bambine, ragazzi e ragazze è andata oltre le nostre aspettative. C’era interesse, attenzione, curiosità, gioia. Questo però non è stato abbastanza. Non è stato abbastanza perché alla fine dell’anno scolastico, qualcuno ha perso il coraggio. Quel coraggio che serve per ottenere un ottimo risultato, in cui è necessario fare di più, rimodulare il modo, i luoghi, i tempi partendo dalle fondamenta. Alcuni, hanno quindi preferito rimanere nel sistema perché più semplice e conosciuto, nonostante di quel sistema ci si lamenta. Altri hanno invece avuto paura. Non una paura dovuta a problematiche emerse durante l’anno di sperimentazione, ma una paura dovuta alla partecipazione viva dei bambini, bambine, ragazzi e ragazze a cui culturalmente non siamo abituati. E infine anche un cambiamento di visione di uno dei partner che non ha più permesso lo svolgimento delle attività nello spazio da lui gestito. Troppe responsabilità e troppa vivacità, nonché una chiara paura di condividere quello spazio con altre realtà. Eravamo rimasti in pochi e, colpo finale, la dirigente scolastica cambiò. Ma il territorio è “rimasto”.
Alcune insegnanti, alcuni genitori hanno continuato il percorso iniziato insieme. Non abbiamo mollato e la nostra prima reazione negativa si è trasformata subito in una spinta a fare di più. Dal 2018 ad oggi quindi abbiamo attivato ulteriori protocolli d’intesa e percorsi dedicati all’educazione diffusa e all’educazione alle emozioni con altre Scuole ed Enti del territorio (Municipio VIII: Istituto Tecnico Agrario Statale G.Garibaldi, Scuola d’Infanzia “I Monelli”, Scuola d’Infanzia “Principe di Piemonte”, Istituto comprensivo Pincherle, I.I.S. CineTv Rossellini, Cooperativa sociale agricola G.Garibaldi, Comitato Parco Giovannipoli, Aps Parco della Torre di Tormarancia, Mareaperto Onlus, Agenda Tevere, Laboratorio 53; GSS Protezione Civile; Municipio V: IC Luca Ghini, IC Alberto Manzi, ODV La Tana dei Cuccioli; BeFree Cooperativa; Csv Lazio; CeTM – Centro per la tutela della persona del minore dell’Università La Sapienza di Roma), una collaborazione costante e sinergica con il Municipio VIII (in cui operiamo maggiormente), nell’Assessorato alle Politiche Sociali e Servizi Sociali, nonché una rielaborazione delle attività didattico-educative a cui mano mano apportiamo modifiche, grazie alla costante voglia di imparare ma soprattutto grazie a ciò che i bambini, bambine, ragazzi e ragazze ci mostrano e insegnano durante i percorsi.
Eravamo pronte a una nuova partenza, ma la pandemia è entrata nelle nostre vite e tutto si è fermato. Una nuova salita da percorrere. E poi il boom. Outdoor Education in ogni dove. Da maggio 2020 abbiamo quindi avuto una crescente domanda di formazione educativa e di sperimentazione didattica. Oggi lavoriamo in sinergia con diverse Scuole d’Infanzia, Istituti Comprensivi, Istituti Superiori, Enti del terzo settore, famiglie e Territorio. Il nostro obiettivo di dare vita ad una reale Comunità Educante, in cui l’educazione è al centro della Polis, sta diventando una realtà sempre più tangibile e visibile e ogni giorno questa comunità diventa sempre più grande.
Ma c’è ancora molto da fare e se c’è una cosa che i bambini e bambine, ragazzi e ragazze ci hanno insegnato in tutti questi anni è la perseveranza. Perseverare nell’obiettivo di portare un cambiamento didattico-educativo non solo nel sistema scolastico pubblico, ma ancor prima nella nostra cultura che vede ancora la scuola come un edificio in cui si va per imparare a vivere nella società (fuori). Qualcosa di distaccato dal resto, un mondo a parte. Tutto ciò che viviamo al suo “interno” è già strutturato, da tempi immemori. Forse è arrivato il momento di buttare giù queste vecchie strutture piene di crepe, renderle realmente aperte, inclusive e pubbliche, rivederne i contenuti, le modalità di svolgimento, iniziando con il toglierne i cancelli all’entrata. Chiaramente non è tutto negativo ma diciamolo francamente, è arrivato il momento di metterci nuovamente in cammino, questo lo sentiamo e vediamo tutti. Dal crescente abbandono scolastico allo stato psicologico e fisico dei nostri figli e delle nostre figlie, dobbiamo perseverare nell’obiettivo di creare una vera e propria sinergia tra scuola e territorio, in cui la scuola è il territorio stesso e tutti coloro che lo abitano. Basterebbe solo un po’ di coraggio.