Soprattutto nei nostri territori tutti si lamentano dei cinghiali visti come “devastanti” e “pericolosi”, portando la popolazione a dare consenso a ingenti mattanze. Nessuno però vuole indagare le radici di questa “emergenza”, che in realtà è il risultato “strutturale” di una gestione sbagliata, antiscientifica e per niente ecologica. Di questo ne abbiamo parlato con Katia Impellittiere, Presidente della Lega Abolizione Caccia Brescia.
Quando nasce la cosiddetta “emergenza cinghiali”? Chi furono i responsabili?
La popolazione di cinghiali secondo alcune amministrazioni è arrivata ad un numero “troppo elevato”, ovviamente secondo parametri esclusivamente umani, perché in natura, la popolazione di fauna selvatica si regolerebbe da sola in un sistema che prevede un numero di nascite congruo rispetto alle risorse disponibili in termini di cibo, prede e predatori. Questo se non ci fosse l’intervento dell’uomo a squilibrare il tutto.
Quali sono stati i danni causati nei nostri territori da questa specie alloctona?
Iniziamo con il dire che non esiste praticamente più il cinghiale autoctono, ma quelli che troviamo in circolazione sono per lo più ibridi con specie provenienti dall’Europa dell’est, quando non sono addirittura ibridi derivanti da accoppiamenti fra cinghiali e suini lasciati al pascolo, ibridi definiti “porcastri”.
L’attuale cinghiale è discendente di quelli introdotti nel territorio dai cacciatori a partire dagli anni Sessanta. La specie autoctona era scarsamente diffusa e di dimensioni più piccole, quindi poco interessante dal punto di vista ludico per i cacciatori. Dal 2017 il ripopolamento a scopo venatorio è stato vietato, tranne che nelle aziende faunistico venatorie ed agrituristico-venatorie adeguatamente recintate, ma si registrano comunque casi di ripopolamenti abusivi.
Il cinghiale causa danni alle coltivazioni, perchè l’attuale specie è molto più grande e prolifica della specie che era originariamente presente in poche e ristrette zone in Italia e perchè, spinta dalle braccate, esce dalle zone boschive e finisce nelle zone coltivate.
Questi pretesti hanno, fin da subito, visto l’azione della lobby venatoria. La “caccia di selezione” o “la bracciata” sono diventate le uniche soluzioni tout court contro questi ungulati. Sono state veramente la soluzione? Quali interessi nascondono?
L‘attività venatoria non può gestire, perchè “spara alla cieca” su individui, senza discriminare se sono prolifici o meno, alterando i meccanismi della riproduzione dei cinghiali, le dinamiche della loro conservazione e dell’altra fauna. In circa 30 anni di cosiddetta “emergenza”, il continuare ad abbattere ha aumentato in modo esponenziale il numero dei danni da cinghiale. Le braccate, le fucilate in generale, hanno modificato la dinamica di popolazione per destrutturazione dei branchi, un aumento esponenziale degli individui, errantismo degli animali verso aree protette e urbane, aumento della famelicità e compromissione della biodiversità.
Le pubbliche amministrazioni e le associazioni degli agricoltori continuano a delegare la soluzione dei problemi di coabitazione coi cinghiali (e con gli animali selvatici in generale) alla stessa categoria che ha causato il “problema”: i cacciatori. Ma che interesse può avere un cacciatore, il cui obiettivo, la cui passione è ammazzare cinghiali, a fare in modo che il cinghiale non esista più? Chi ammazza dopo? Soprattutto se è un cacciatore che fa attività venatoria con finalità commerciale e soprattutto se le amministrazioni incentivano le filiere della carne di selvatici.
In questi anni, studi di etologia e psicologia animale hanno stabilito che la caccia al cinghiale è “antiscientifica”, anzi ha contribuito ad incrementare il problema. Per quali motivi?
Studiosi di questa specie hanno pubblicato diverse ricerche che lo spiegano.
I ricercatori hanno visto due diversi modi di sopravvivenza del mondo animale, dettati dalla reazione alle avversità: nella strategia K la popolazione invecchia e si stabilizza sulla base della disponibilità di risorse. La strategia R invece si innesca quando la speranza di vita è bassa e produrre molti piccoli può voler dire, per la specie, riuscire a sopravvivere.
Il cinghiale solitamente vive in compagnie formate da gruppi di femmine tra le quali vi è sincronizzazione dell’estro e del parto che, avviene solo una volta all’anno. Questa sincronizzazione è dovuta a particolari feromoni emessi dalla femmina anziana (la matrona) che inibiscono la riproduzione delle più giovani. È così che, nelle famiglie tradizionali, la matrona conserva il monopolio dell’accoppiamento e si accoppia con il salengano, maschio potente ma con bassa carica spermatica. Questo meccanismo di riproduzione avviene se non disturbato dalla caccia, la quale rompe il meccanismo di equilibrio, rimuove le matrone e i grandi maschi, poiché essendo animali più grandi è più soddisfacente per il cacciatore appropriarsene, portando la specie cinghiale, che solitamente ha una strategia riproduttiva K, a una strategia di riproduzione R.
Rimuovendo gli anziani dai branchi l’attività venatoria provoca l’anticipo e un aumento degli estri delle giovani femmine, che entrano in un regime da monoandrico a poliandrico, si accoppiano con più animali giovani e ad altissima carica spermatica. Aumentano, in questo modo, le nascite e, più in generale, un ringiovanimento della popolazione.
Tolta la matrona, tolti anche i feromoni. È un via libera generale, il cui risultato è un passaggio dai 4-6 cuccioli per stagione della capofamiglia, ai 20-30 di tutte le figlie assieme.
È una delle strategie riproduttive di tutti gli animali preda, come il cinghiale, che, spiegate in modo semplice, sono “creo tanti cuccioli, perché tanti ne moriranno”. Inoltre in caso di caccia al seguito, alcuni cinghiali si allontanano fino a 20 km, ed in seguito utilizzano maggiormente la foresta e le colture e meno i luoghi aperti, arrecando maggiori danni ai coltivi e un maggiore rischio di incidenti stradali. Gli animali, per trovare scampo dalle braccate, finiscono sulle strade e in zone urbanizzate.
Quali sono, ad oggi, le soluzioni alternative approvate da ISPRA per il contenimento efficace ed ecologico del cinghiale?
Iniziamo con il dire che i metodi ecologici che sono certificati da ISPRA funzionano al 100% .
Per prevenire danni alle colture funzionano bene le recinzioni, fisse ma anche mobili. Fra queste, se fatta una buona manutenzione, le recinzioni elettriche. La Regione può darle in comodato d’uso gratuito all’agricoltore (alcune già lo fanno) e i costi possono essere davvero bassi, e assorbiti dal benificio dell’azzeramento danni in pochi anni, i nastri elettrici sono garantiti 10 anni.
Andrea Marsan, un biologo, zoologo, docente all’Università di Genova, che lavora in Liguria a stretto contatto con agricoltori e collabora con gli stessi cacciatori per la messa in opera, ha in questi anni messo in campo chilometri di recinzioni e constatato la loro efficacia pari al 100%. Le recinzioni elettriche vengono alimentate a pannelli solari, quindi autonome.
Marsan, sempre in Liguria, ha posato una recinzione di 3 chilometri e mezzo che protegge un’area di 150 ettari, che comprende 20 aziende agricole e una cinquantina di coltivazioni private. Nel Parco Nazionale delle Cinque Terre il professor Marsan ha realizzato una recinzione comprensoriale di circa 7500 mt, costo complessivo dell’impianto Euro 6.636 (0.88 € al metro lineare). Le Regioni quindi, possono spendere meglio per la prevenzione anziché spendere per fucilare che non fanno altro che peggiorare il problema e rimandare la soluzione. Uccidere un branco infatti, non impedirà a qualche altro animale, di entrare nel campo la volta successiva. Oltre alle recinzioni, ci si può affidare alla tecnologia. La NANTECH ad es., è un’azienda italiana, produce e distribuisce dissuasori che funzionano.
Questi emettono un suono, udibile solo dagli animali, che non viene emesso in continuazione ma solamente quando un animale di una certa dimensione è nel raggio d’azione della macchina, sempre diverso, così l’animale non si abitua e si allontana. È già stata usata con successo in Toscana a protezione di vigneti pregiati in territori in cui non si voleva alterare il paesaggio con recinzioni elettriche. È stata sperimentata con successo in parchi naturali, orti, campi da golf etc. La ricarica avviene con pannello solare ed è quindi autonoma. Per la prevenzione degli incidenti stradali, invece, funzionano benissimo dissuasori luminosi e sonori.
“Safe crossing” AD ES.(ex progetto Life Strade) è stato testato ed ampiamente utilizzato nella Comunità Montana Valli del Verbano, nelle province di Perugia, Terni, Grosseto, Siena e Pesaro Urbino, installato nei punti in cui si era registrato il maggior numero di incidenti. E’ importante sapere che gli animali tendono ad attraversare in alcune zone, nei cosiddetti corridoi ecologici, e non dappertutto.
Safe Crossing si attiva solo quando serve. Utilizza sensori che rilevano la presenza di animali collegati a cartelli stradali luminosi, che avvisano il conducente se un animale si sta avvicinando alla carreggiata. Se il guidatore non rallenta e l’animale non si allontana, emette un suono, anche in questo caso sempre diverso, che spaventa e fa fuggire lontano dalla strada l’animale. Anche questo sistema è a pannelli solari, quindi autonomo.
Oltre a questo, a basso costo, si possono utilizzare, installare, catarifrangenti a bordo strade, che raccolgono e convogliano la luce dei mezzi in arrivo e li converge verso la parte esterna della careggiata, spaventando e allontanando gli animali. Ottima tecnologia per prevenire incidenti, che funziona non solo con i selvatici, ma anche con gli attraversamenti di randagi.
Vanno inoltre, realizzati e previsti specie con le nuove infrastrutture, sottopassi e sovrappassi, che portano anch’essi il numero di incidenti prossimi allo 0. Solo nei Paesi Bassi ad esempio, sono stati realizzati ben 66 ecodotti che consentono agli animali l’attraversamento in sicurezza delle vie di comunicazione e la drastica riduzione degli incidenti stradali. In Italia si spende tanto per infrastrutture, ma si spende male. Basterebbe inserire nei nuovi progetti questi accorgimenti, ne avremmo beneficio noi e la fauna selvatica.
Quali sono ad oggi le battaglie e le conquiste delle associazioni ambientaliste e animaliste su questo fronte?
LAC impiega il suo tempo ad informare, con articoli e raccolta e diffusione di pubblicazioni scientifiche. Dovremmo dare ascolto alla Scienza e non a lobby venatorie.
LAC è impegnata in ricorsi verso le tante delibere illegittime delle Regioni d’Italia, che ogni anno, contrariamente a quanto prescritto dalla normativa, non richiedono per la gestione della fauna selvatica i pareri ISPRA o non li rispettano; non utilizzano i metodi ecologici in via prioritaria; autorizzano da subito i piani di controllo/abbattimenti e non come extrema ratio come dispone la Legge e illecitamente concedono ai cacciatori di partecipare ai piani di controllo.