Due avvenimenti consecutivi – il ritiro della Turchia dalla Convenzione di Istanbul e la scomparsa della scrittrice e intellettuale egiziana, nonché medico, Nawal Al-Sa‘adawi – hanno suscitato diverse discussioni e tanti interrogativi.
Il primo avvenimento si riferisce alla decisione presa da Erdogan il 20 marzo che sancisce l’uscita della Turchia dalla Convenzione di Istanbul, un evento che ha scatenato aspre polemiche da parte della stampa e delle organizzazioni femministe e reazioni altrettanto dure a tali critiche da parte di componenti del mondo islamico. Molte delle reazioni erano delle prese di posizione difensive e poco argomentate, sovente espresse con un tono accusatorio nei confronti di coloro che avevano criticato il ritiro dalla Convenzione.
Il trattato in questione mira essenzialmente a sollecitare le autorità dei paesi aderenti a prendere provvedimenti a sostegno delle donne che subiscono violenze e discriminazioni. I suoi contenuti non sono quindi norme di legge che portano, come qualcuno vuole fare credere, alla distruzione della famiglia tradizionale. Chi lo afferma sorvola invece sul fatto che la famiglia spesso si distrugge proprio a causa della violenza che le donne subiscono da parte dei parenti.
Un’altra posizione dei sostenitori di Erdogan è quella di considerare la Convenzione come un incentivo a intraprendere altre scelte sessuali. In realtà il suo obbiettivo è quello di stimolare gli attori pubblici a garantire il rispetto di tutte le persone al di là degli orientamenti sessuali e a tutelarne la dignità.
Ma al di là di ogni polemica riguardante i contenuti della Convenzione, molte persone si sono chieste quale è la motivazione alla base di tale decisione, quando la stessa Turchia ormai dieci anni fa ne era stata promotrice, firmataria e uno dei primi Stati del Consiglio d’Europa a ratificarla. Non avevano letto attentamente i contenuti? Ci volevano tutti questi anni per fare il ripasso? O è stato piuttosto il risultato della “magia” dell’agire politico? Ciò non dovrebbe comunque scandalizzare perché in questo senso tutto il mondo è paese! L’ipotesi più accreditata da parte di diversi osservatori è quella legata all’esigenza di future alleanze politiche con settori conservatori, identitari e sovranisti.
Come ben si sa – la vicenda italiana lo dimostra – la politica ha spesso dei risvolti sorprendenti. In questa sede però non è il caso di addentrarci in una lettura dell’attualità politica turca. Ritengo opportuno invece soffermarci a riflettere in modo ragionevole sulle reazioni infervorate dei simpatizzanti di Erdogan nei confronti di chi ha criticato il ritiro dalla Convenzione di Istanbul, quasi si trattasse di un attacco all’Islam. La Turchia fino a prova contraria è un paese laico e il presidente Erdogan stesso ha giurato di rispettare le istituzioni laiche dello Stato. Non mi risulta che abbia la velleità di presentare la propria esperienza come fosse la costruzione di una nuova “Medina”. Del resto la Turchia e la Tunisia sono gli unici paesi islamici che hanno vietato la poligamia; in tutti i suoi anni al potere Erdogan non ha mai dato segni di volerla reintrodurre, come invece vorrebbero certi movimenti religiosi. Quindi perché tutta questa veemenza e queste esternazioni offensive contro donne e uomini che la pensano in modo diverso?
Criticare l’uscita dalla Convenzione di Istanbul non significa denigrare l’intero operato di Erdogan e del suo partito AKP, né lodare Al-Sisi e il principe saudita Mohammad Ben Salman, come qualcuno cerca di insinuare. Da notare peraltro che nell’ultimo periodo si sta registrando un miglioramento dei rapporti tra Arabia Saudita, Egitto e Turchia, un avvicinamento che desta non poche preoccupazioni tra gli oppositori egiziani ad Ankara e a Istanbul. La critica al ritiro della Convenzione inoltre non va letta come un servizio a Macron, a Biden o agli ayatollah dell’Iran. Quello che è certo è che qualunque spiegazione fornisca, a questo punto la Turchia non fa una bella figura.
Il secondo avvenimento che negli ultimi giorni ha provocato reazioni controverse si riferisce alla scomparsa dell’egiziana Nawal Al-Sa‘adawi, che ha dedicato tutta la vita all’impegno contro la violenza sulle donne e i tentativi di rendere inferiore e subalterno l’universo femminile. E’ stata una voce coraggiosa e temeraria conosciuta in tutto il mondo arabo e non solo. La sua scomparsa proprio il 21 marzo, giornata di lotta contro i razzismi, le discriminazioni e le segregazioni, la renderà sempre presente nella memoria in occasione di questa ricorrenza.
Nell’arco della sua lunga vita Nawal Al-Sa‘adawi ha condotto con fermezza aspre battaglie a favore degli emarginati, dei poveri e degli sfruttati. Ha dato un contributo eccezionale alla lotta al colonialismo e ha saputo riconoscere e denunciare le contraddizioni e le ipocrisie delle società arabe, pesantemente condizionate da visioni basate sulla classe, i clan e il razzismo. È vero che Al-Sa’adawi era contraria al velo e al significato che molti gli danno. Si è tuttavia impegnata come musulmana a contrastare i costumi e le tradizioni in cui vige una concezione tribale, il dominio di una casta mercanteggiante e lo schiavismo, tutte pratiche purtroppo ancora diffuse in diversi paesi arabi. Non era forse lo sradicamento di queste pratiche uno degli obiettivi principali della missione del Profeta Maometto?
Nawal Al-Sa‘adawi ha cercato di svelare con determinazione, nonostante molti ostacoli ed enormi difficoltà, le troppe storture mentali e i comportamenti aberranti radicati in molti settori delle realtà arabe. La sua personalità va quindi ricordata soprattutto per il coraggio e il pensiero libero che sono sempre stati un suo segno distintivo. Le sue battaglie rappresentano un insegnamento fondamentale anche per chi non condivide il suo intero percorso.