Ci rivolgiamo ai conduttori del programma televisivo: “le Iene”, ai giornalisti, alle autorità e a tutti i cittadini.
Martedì 23 febbraio è andato in onda un servizio sul triangolo del crack a Torino, girato in luoghi conosciuti dalle associazioni attive nell’analisi del fenomeno e nella ricerca di soluzioni.
Come cittadini ci chiediamo che senso abbia mandare in onda servizi che inquadrano escusivamente gli aspetti di degrado e ignorano le forze positive che si stanno muovendo nel quartiere (unità di educative di strada, pastorale migranti, comitati di quartiere e via dicendo, tutte persone impegnate in lavori seri). Ci chiediamo a cosa serva proporre un servizio finalizzato a rafforzare i pregiudizi e ad aumentare la sensazione di rabbia dei residenti. La conflittualità sociale che nasce dalla contrapposizione indotta tra categorie di cittadini in questa città ha già causato scontri di piazza. Il ruolo dei media, del giornalismo è di straordinaria importanza e dovrebbe contribuire a non esasperare il senso di rabbia, impotenza, odio, compromettendo il difficile lavoro di mediazione sociale necessario in territori come quello da voi messo sotto i riflettori.
Come uomini e donne esprimiamo la nostra indignazione per le riprese a volto scoperto dei ragazzi africani (tra cui uno potrebbe essere minorenne e, pertanto, configurare violazione dei principi della Carta di Treviso, parte integrante del Testo unico dei doveri dei giornalisti). Ci domandiamo come mai non ci si è premurati di mostrare anche il volto dei bianchi italiani che vanno a comprare la droga.
Come donne e uomini troviamo indecente e offensivo aver ripreso una ragazza nell’atto di denudarsi per prostituirsi. Crediamo che il dovere di informare non possa ledere in nessun modo la dignità e i diritti fondamentali della persona. Crediamo che il giornalismo italiano necessiti di linee etiche di riferimento, visto come facilmente si oppone a processi di integrazione che faticosamente si stanno costruendo dal basso.
Vi chiediamo di poter integrare il vostro servizio con analisi che aiuterebbero lo spettatore a comprendere le dinamiche che sottendono al fenomeno che avete raccontato.
Molti dei ragazzi che avete ripreso hanno perso la regolarità grazie a vari decreti che non li hanno fatti sparire, ma li hanno relegati in una condizione di marginalità che vieta loro l’accesso a qualsiasi lavoro che non sia sfruttamento. Le mafie che si arricchiscono con la vendita delle sostanze sono sempre in cerca di manodopera facilmente ricattabile, perché in condizione di necessità. Il vostro servizio ha ripreso solo l’ultimo anello della catena, gli interessi che questo fenomeno muove sono numerosi e rendono la realtà molto più complessa della semplificazione da voi mandata in onda. Al nostro paese, che registra un bilancio migratorio negativo (sono più numerosi i giovani che emigrano di quelli che immigrano), tornerebbe utile rendere risorsa questa presenza di giovani ma, come si diceva, solo le mafie hanno questa “lungimiranza”.
I ragazzi che avete ripreso sono persone ferite e le loro storie sono piene di violenze.
Molti di loro sono arrivati in Italia minorenni o appena maggiorenni senza famiglia, senza prospettive.
La droga ha tolto loro quel poco di dignità che restava. Sono vivi, eppure cammino come morti. C’è chi prova la droga per noia, chi per sbaglio, questi ragazzi la provano in genere per disperazione.
Eppure dietro quei volti esposti al pubblico ludibrio ci sono delle persone. Chi riesce a vincere la paura e ad avvicinarsi scoprirà uomini e donne, qualche volta adolescenti, che sanno dire grazie, che sanno affezionarsi e che hanno mondi da condividere.
Alcuni di loro vivono la propria condizione con sofferenza, sapendo di essere lontani da Cristo o da Allah, in cui credono a seconda della loro religione.
Se non sono gigli son pur sempre figli
vittime di questo mondo
scriveva il grande Faber
Spacciare, drogarsi sono crimini e non vanno giustificati; parecchi di loro ne sono consapevoli, ma forse proprio da questa consapevolezza possono e devono aprirsi cammini di cura e di inclusione sociale.
Ci va di mezzo la nostra umanità e la vivibilità della nostra comunità, a meno che non vogliamo rinchiuderci nelle nostre case con il telecomando in mano a guardare la vita in televisione e a borbottare: “roba dell’altro mondo”.
Fr. Luca Minuto OFMCap