Organizzazioni nazionali e internazionali attive nella difesa dei diritti umani e familiari di Keyla Martínez, hanno nuovamente chiesto un’indagine seria e approfondita sull’esecuzione della giovane da parte della polizia.
La notte del 6 febbraio, Keyla Martínez, giovane studentessa di 26 anni del corso di laurea in Infermieristica, è stata arrestata nella città di La Esperanza per aver violato il coprifuoco imposto dal governo di Juan Orlando Hernández, come misura per combattere la pandemia di Covid-19.
La ragazza è stata fermata intorno alle 23.30, portata in commissariato e rinchiusa in una cella. Alcune ore più tardi, il corpo senza vita di Keyla veniva portato al pronto soccorso dell’ospedale dipartimentale.
Femminicidio di Stato
Secondo la polizia, la giovane si sarebbe suicidata impiccandosi alle sbarre della cella. Una tesi già scartata dall’autopsia, da cui risulta che la vittima è morta per asfissia meccanica, il che dimostra che si tratta di un femminicidio…di Stato [1].
I firmatari del comunicato hanno inoltre chiesto chiarimenti sul motivo dell’arresto e reclusione della studentessa e su chi fosse presente nella cella la notte tra il 6 e il 7 febbraio. Hanno anche preteso che si indaghi a fondo sulla trama dietro al femminicidio, chi e perché l’hanno fatto e che sia applicato loro tutto il peso della legge.
“Vogliamo sapere dalle autorità inquirenti cosa è stato fatto fino a ora, che prove hanno in mano e quali sono le linee di indagine”, hanno sostenuto i familiari di Keyla durante una conferenza stampa.
Per le organizzazioni che accompagnano la famiglia della giovane assassinata è inconcepibile e riprovevole che le autorità di polizia, invece di cercare i colpevoli, stiano adottando tutta una serie di misure di sorveglianza, persecuzione e intimidazione nei confronti dei familiari di Keyla.
“Siamo di fronte a uno scenario che più che dare risposte crea maggiore incertezza e difficoltà nella ricerca della verità e di giustizia. Chiediamo pertanto alla comunità nazionale e internazionale di accompagnare la famiglia di Keyla nella lotta contro l’impunità che in Honduras impera”, hanno infine chiesto le organizzazioni firmatarie del comunicato.
Nel 2020, il Centro per i diritti delle donne (Cdm) ha registrato 321 morti violente di donne, 229 delle quali durante la sospensione delle garanzie costituzionali nel contesto della pandemia.