Correva l’anno 1957 e l’Italia era attraversata da una lotta senza esclusione di colpi per il controllo di una nuova, potente, fonte di energia: l’energia nucleare. Due le fazioni in campo, quella statalista e quella costituita da 5 società private che da sole controllavano l’87% di tutto il mercato elettrico e volevano assicurarsi anche lo sfruttamento di questa nuova fonte.
Per contrastare il potere di questi ultimi, Felice Ippolito si servì del settore della ricerca di cui era a capo, per occupare posizioni strategiche nella corsa a realizzare la prima centrale elettronucleare. Fiorirono così gli accordi di collaborazione con diversi enti e paesi, fra cui quello che aveva liberato per primo l’energia dell’Atomo, “illuminando” i cieli di Hiroshima e Nagasaki: gli Stati Uniti d’America. Così, proprio nel 1957, fu firmato il primo accordo di collaborazione in campo nucleare tra Italia ed Usa, a cui ne seguirono altri di più specifici nel 1962 e, per ciò che riguarda questo racconto, il contratto firmato nel 1965 tra l’Atomic Energy Commission (AEC) statunitense e l’Italiano CNEN. In questo contratto si prevedeva il riprocessamento del combustibile misto Uranio-Thorio proveniente dalla Centrale di Elk River, Minnesota, dal cui ricavato in materiale fissile il CNEN avrebbe fabbricato per l’AEC nuovo combustibile per alimentare la centrale di Elk River o, qualora ciò non fosse stato possibile, il ritorno negli Usa del ricavato fissile ottenuto dal riprocessamento. La fornitura di nuovo combustibile da parte CNEN doveva essere equivalente al numero di elementi di combustibile ricevuti e sottoposti a riprocessamento e pari ad un intero nocciolo; il tutto da realizzarsi nell’impianto Itrec del neonato centro ricerche nucleari della Trisaia, in provincia di Matera.
Il trasferimento del combustibile irraggiato dagli Usa all’Italia sarebbe avvenuto sotto forma di leasing (affitto temporaneo) e tramite accordo da stabilire con l’Agenzia Europea per l’energia atomica (Euratom Supply Agency, ESA). Si trattava di un impresa all’avanguardia, mai tentata prima per quanto riguarda i combustibili al Thorio che implicava una lavorazione totalmente remotizzata (cioè effettuata in ambienti schermati attraverso pinze meccaniche manovrate a distanza da operatori) data l’elevata radioattività del materiale da trattare. Tuttavia, nel 1968, il reattore di Elk River fu messo definitivamente fuori servizio con conseguente abbandono da parte Usa del ciclo Uranio-Thorio, ed è a questo punto che la storia si carica di “mistero”. Il contratto AEC-CNEN infatti, non aveva più ragion d’essere, ciononostante 84 elementi di combustibile della centrale di Elk River arrivarono lo stesso in Trisaia. Sotto quale forma? Leasing o cessione definitiva? E se di cessione si trattò, chi ne fu il beneficiario, il CNEN o lo Stato Italiano? Ma soprattutto, l’ESA fu messa a conoscenza delle modifiche intercorse tra Usa e Italia nel trasferimento di questo materiale fissile?
A complicare le cose, nel 1974, il CIPE deliberò l’abbandono del programma Uranio-Thorio in Italia, per cui le attività sul combustibile nel frattempo giunto in Trisaia, furono orientate al solo riprocessamento per testare la funzionalità dell’impianto Itrec, cosa che avvenne tra il 1975 e il 1978, attraverso lo smontaggio, dissoluzione e recupero di materiale fissile per 20 elementi di combustibile di Elk River. Di questa attività, peraltro portata a termine con buoni risultati, restano ancora oggi 14.000 litri di soluzioni acide altamente radioattive immagazzinate in serbatoi “provvisori”, oltre a 64 elementi di combustibile allocati nella piscina dell’impianto che costituiscono la componente più pericolosa di tutto l’inventario dei rifiuti nucleari in Italia. Per questo combustibile non esiste una soluzione “tecnica” perché la presenza di Thorio comporta un trattamento separato e diverso da quello che normalmente avviene negli impianti di riprocessamento del combustibile, e i paesi in cui si pratica questo tipo di lavorazione (Francia, Inghilterra, Russia, Giappone ) non si sono dichiarati disposti a riprocessare il combustibile di Elk River, tant’è che la soluzione indicata sia nel Piano nazionale per la sistemazione dei rifiuti radioattivi che nel progetto del Deposito nazionale, è quella di sistemarli in appositi cask.
Ma se questi sono i vincoli “tecnici” che si frappongono ad una migliore soluzione del problema, resta comunque irrisolto il mistero della proprietà di questo combustibile, ovvero nel caso che fosse accertato che il trasferimento in Italia avvenne secondo la forma originaria prevista nel contratto AEC-CNEN del 1965 (cioè leasing), i 64 elementi di combustibile dovrebbero rientrare negli Usa. In questo senso, nel 1999, L’Enea (subentrato al CNEN) avviò una pratica legale nei confronti del DOE (Department of Energy degli Stati Uniti, subentrato all’Atomic Energy Commission) con il patrocinio dello studio legale Egan, Fitzpatrick, Malsch & Cynkar con sedi in Vienna e San Antonio (Texas), al fine di far valere i propri diritti, ovvero di ottenere il rientro negli Usa dei 64 elementi di combustibile irraggiato di Elk River, giacenti presso il Centro della Trisaia. Il 23 dicembre 1999, però, questa causa fu archiviata con ordinanza della Corte del Distretto di Columbia (Usa), per sopravvenuti contatti e/o accordi politici tra il Governo italiano e il Governo Usa. Cinque anni più tardi, nel 2004, fu il governo Berlusconi a tentare il rimpatrio di questo combustibile, tentativo che si protrasse fino al 2006 con ripetute sollecitazioni da parte del sottosegretario Gianni Letta presso il Governo degli Usa e presso lo stesso DOE, arrivando a “minacciare” che altrimenti l’Italia si sarebbe vista costretta a rivolgersi alla Russia! Ma la risposta del segretario all’energia Usa, Abraham, fu sempre la stessa: non esistono le condizioni né programmi in vigore che consentano di far rientrare negli Usa questo materiale. Nel giugno del 2006, presso il senato della Repubblica Italiana, fu presentata una interrogazione al Ministro dell’Ambiente da parte della Senatrice Anna Maria Palermo, al fine di fare chiarezza su tutta questa materia, ma la risposta non c’è mai stata.
Il mistero delle “barre” di Elk River, dopo circa cinquant’anni, non è ancora risolto e lascia dietro di sé una eredità pesante: 64 elementi di combustibile Uranio-Thorio e 14.000 litri di rifiuti liquidi altamente radioattivi che secondo i programmi della Sogin avrebbero dovuto essere cementificati e immagazzinati in un deposito temporaneo che doveva essere ultimato entro il 2013, ma così non è stato e in questo caso non si tratta di un mistero. Ma per sapere come sono andate le cose alla Trisaia e a Saluggia bisognerà aspettare ancora una notte.