“ Contro la miseria” è un saggio di Giovanni Perazzoli, che ci fa capire come il welfare europeo riduce l’ingiustizia della lotteria della nascita (c’è chi nasce figlio di ricchi, c’è chi nasce figlio di poveri, c’è chi nasce nel paese sbagliato). Il libro è stato pubblicato da Laterza (euro 12, 150 p.).
Nel 2000, prima della crisi economica, il 56 per cento dei giovani italiani viveva con i propri genitori, mentre nei paesi del Nord Europa erano solo il 10 per cento (in Francia erano il 20 per cento). Non è solo una questione di abitudini e di opportunità lavorative: in quasi tutti i paesi europei sono previsti alcuni benefit come l’alloggio gratuito e il reddito minimo garantito per i giovani che decidono di andare a vivere da soli e di partecipare ai corsi di formazione.
Ad esempio in Germania esiste un reddito minimo di 380 euro al mese per il disoccupato single, a cui va aggiunto il sussidio per pagare l’affitto (garantito anche ai lavoratori da 400 euro al mese). Ci sono poi altri sussidi in base alla grandezza della famiglia. In Irlanda esistono anche i sussidi per il gas, per il telefono e per l’elettricità. In Italia, la classe dirigente più o meno anziana, pensa solo al vecchio welfare: la cassa integrazione, gli infortuni, le pensioni e la sanità.
Comunque l’analisi dei risultati economici delle diverse nazioni europee dimostra che le più alte opportunità di lavoro sono correlate al vero welfare, “nonostante il margine di disoccupazione volontaria che produce”. Grazie alla disoccupazione volontaria retribuita i giovani hanno il tempo e la possibilità di scegliere il lavoro più adatto a loro, invece di accoppiarsi con il primo lavoro che passa, pur di racimolare un po’ di denaro. Così facendo riescono a trovare un lavoro in cui risultano più produttivi, risultando più remunerativi per sé e per gli altri. La storia del reddito minimo può spiegare il circolo vizioso della bassa produttività italiana e dei paesi del Sud Europa.
Il reddito minimo non è un reddito di cittadinanza, ma è un sussidio per chi cerca lavoro (le casalinghe e chi vive di rendita non vengono considerati). Purtroppo in Italia non riusciamo a pensare “che un diciottenne di famiglia medioborghese possa andare a vivere da solo grazie al welfare. Ma è questo che invece accade nell’altra Europa” (p. 6). Il forte bisogno di lavoro e di soldi crea dipendenza e clientelismo. “Le società autoritarie e paternalistiche difficilmente accettano l’universalismo del welfare che fa centro sull’individuo piuttosto che sulla corporazione” (ad esempio l’intermediazione dei sindacati che garantisce solo chi ha un lavoro).
In Italia esiste ancora la disoccupazione ottocentesca che impedisce di portare il pane in tavola e che umilia le famiglie con la violenza dello sfratto. In Italia non ci sono state rivoluzioni poiché in moltissimi casi ci pensano i familiari a sfamare le persone disoccupate, grazie ai risparmi accumulati durante gli anni di vacche grasse. Ma i risparmi hanno una durata troppo limitata. E bisogna considerare che è dal 1992 che l’Europa chiede all’Italia l’introduzione di un reddito minimo garantito, universale e di durata illimitata, cioè dai 18 anni fino all’ottenimento della prima o della nuova posizione lavorativa (raccomandazione 92/441 Cee, p. 6).
In definitiva l’istituzione del reddito minimo e degli assegni per l’alloggio in Europa ha dimostrato che “L’autonomia genera buone idee, e le buone idee generano benessere e libertà. Per dirla con Benedetto Croce, le civiltà fioriscono nella libertà” (p. 21).
Giovanni Perazzoli ha maturato numerose collaborazioni con “MicroMega” e Rai Educational. Cura il portale www.filosofia.it. Vive e lavora tra l’Italia e l’Olanda.
Nota costituzionale – La Costituzione italiana considera il principio generale per un vero sussidio di disoccupazione riservato a chi cerca lavoro. Infatti l’articolo 38 dichiara: “I lavoratori hanno diritto che siano provveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria”.
Nota storica – Nel 1948 il liberale William Beveridge concepì il welfare moderno. Economista e sociologo formerà molti uomini di governo grazie alla direzione della London School of Economics and Political Science (www.lse.ac.uk). Fortunatamente “Beveridge si libera sia del dogma del welfare legato al lavoro (un patto tra salariati), sia dell’idea che la disoccupazione sia una condizione colpevole da imputare all’individuo. La disoccupazione è connessa al sistema produttivo e alle sue avventure o disavventure… Inoltre, la povertà, vede giustamente Beveridge, non è solo un problema etico, essa riduce il benessere di tutti”, poiché il prolungamento di una crisi economica riduce il reddito di quasi tutti (p. 25).
Nota esterofila – Il giornalista olandese Rutger Bregman ha scritto un bellissimo articolo dove illustra i risultati di molti studi dimenticati che dimostrano che “Regalare soldi conviene”, ai poveri e a molti membri della società. Infatti lo Stato alla fine dei conti finisce per risparmiare soldi nell’assistenza sanitaria e nei controlli burocratici (www.rutgerbregman.nl è contattabile tramite LinkedIn, l’articolo è reperibile in lingua italiana nel settimanale Internazionale, 11/17 luglio 2014).
Nota esterofila e statistica – Nel 2001 la Francia ha speso il 3,1 per cento del Pil nei sussidi per l’alloggio, il Regno Unito ha speso ben il 5,5 per cento, mentre l’Italia si è limitata a un misero 0,1 per cento (Eurostat). In Italia le pensioni assorbono il 61,5 per cento della spesa sociale, mentre la media comunitaria si aggira intorno al 45,3 per cento. La pensione di un lavoratore italiano benestante può essere fino a quattro volte superiore alla pensione sociale, a differenza del doppio, come negli altri paesi europei. In Italia esistono pensioni da 90.000 euro al mese e pensioni minime da fame da 500 euro al mese (Relazione finale della Commissione Onofri, 1997).