È stato pubblicato il report dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani sul tema dell’ «Impatto della pandemia da coronavirus (COVID-19) sul godimento dei diritti umani nel mondo, comprese le buone pratiche e le situazioni di preoccupazione» (documento A/HRC/46/19, accessibile a questo link).
Si tratta di un documento, sia detto senza enfasi, la cui importanza è cruciale e la cui lettura è necessaria: intanto per i decisori pubblici, nel senso di mettere in evidenza le gravi situazioni di crisi e le aree di debolezza sulle quali è oltremodo necessario intervenire, per evitare una drastica compressione dei diritti umani e un ulteriore, drammatico, peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro di milioni e milioni di uomini e donne sul nostro pianeta; e poi per l’opinione pubblica, i circuiti intellettuali, la società civile complessivamente intesa, in quanto fornisce degli elementi di allarme che non possono essere sottovalutati e richiama l’attenzione su contenuti di policy e di intervento su cui è non di meno necessario focalizzare l’attenzione.
L’aspetto che immediatamente si afferma alla lettura del documento è la sua chiarezza: facendo riferimento, in particolare, alle sue parti I (Introduzione), II (Impatto della pandemia sui diritti umani nel mondo) e III (Impact of the pandemic on groups, cioè, si potrebbe dire, Impatto della pandemia su specifici gruppi sociali), il report rivela tutta la sua fondamentale importanza, dal momento che fornisce – per la prima volta – ai massimi livelli delle istituzioni internazionali e alla luce di un retroterra storico-politico più solido (un anno, dall’inizio della emergenza pandemica, in cui è stato possibile accumulare dati e raccogliere evidenze) un quadro chiaro e completo delle gravissime conseguenze del “governo della pandemia” sui diritti umani.
Ovviamente, non si tratta del primo documento di un’organizzazione internazionale attento a mettere in risalto gli effetti della pandemia e le conseguenze del “governo della pandemia”, sulla tenuta dei diritti umani e sull’andamento delle condizioni materiali di esistenza delle persone, degli uomini e delle donne, sul nostro pianeta. Le pagine di Pressenza, ad esempio, hanno già illustrato i contenuti di un altro documento ufficiale di estrema importanza, vale a dire il rapporto sulle «Popolazioni a rischio. Implicazioni del COVID-19 sulla fame, le migrazioni e lo sradicamento. Un’analisi delle tendenze inerenti alla sicurezza alimentare nei punti focali dei processi migratori», che ha costituito la prima pubblicazione congiunta del genere del Programma Alimentare Mondiale (WFP) e della Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM) a livello globale.
Già in quel report, ad esempio, si metteva in chiaro, tra le altre cose, che «gli sforzi per contenere la pandemia hanno portato a restrizioni senza precedenti sulla mobilità, sul commercio e sull’attività economica, innescando una recessione globale. Secondo stime recenti, l’economia globale si contrarrà tra il 4,9% ed il 5,2% nel 2020. La Banca Mondiale prevede che la pandemia potrebbe spingere fino a ulteriori 150 milioni di persone nella povertà estrema entro il 2021. Mentre il COVID-19 presenta rischi significativi per la salute umana, è possibile che le conseguenze economiche della pandemia siano perfino più devastanti della malattia stessa, specialmente nei Paesi a basso reddito o a medio reddito ove sono carenti le capacità di risposta alla crisi e di protezione dei gruppi vulnerabili. […] Blocchi (lockdown) e restrizioni alla mobilità hanno avuto conseguenze economiche disastrose in tutto il mondo. Ad es. le ore lavorate nel secondo trimestre dell’ anno sono diminuite del 17,3%, che corrisponde alla perdita di 495 milioni di posti di lavoro a tempo pieno».
Tuttavia, per quello che riguarda l’attuale report, oggetto della nostra lettura, dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, si tratta di un documento importantissimo essenzialmente per tre ragioni: la completezza del quadro che viene delineato, con un corredo, come si diceva, non solo di dati e di evidenze che ormai si sono ampiamente accumulate in un anno intero in cui il mondo è stato, nessun Paese escluso e nessun popolo risparmiato, alle prese con la pandemia da COVID-19, ma anche di documenti e di rapporti di varie fonti; l’esaustività della rappresentazione di tale quadro, con una analisi più specifica delle conseguenze della pandemia rispetto a diverse condizioni e diversi gruppi sociali; la drammaticità della situazione che segnala, con il gravissimo deterioramento dei diritti umani legato non solo alle conseguenze della pandemia, ma, nello specifico, agli effetti del “governo della pandemia”, quell’insieme, cioè, di provvedimenti e di misure (di limitazione e di blocco, in alcuni casi oltremodo duri e condizionanti) che hanno pesantemente influito, spesso in modo drammatico, sulle condizioni materiali di esistenza di milioni di uomini e di donne.
Sin dall’Introduzione, il report evidenzia che «l’attuale crisi multidimensionale ha svelato il forte collegamento tra dimensione etnica, condizione socio-economica, e risultati in termini di salute»; «buona parte dell’impatto negativo della pandemia è stata aggravata dal fallimento nel sanare le cause strutturali pre-esistenti di disuguaglianza, esclusione sociale e deprivazione, nonché dall’incapacità di molti Paesi di corrispondere ai bisogni fondamentali di parte considerevole della propria popolazione». Di conseguenza, «le misure di emergenza intraprese dagli Stati nel tentativo di arginare la diffusione del virus, talvolta comportando restrizioni alla libertà di movimento di persone, di beni e di servizi, hanno determinato serie conseguenze sui diritti umani, a volte sproporzionate rispetto ai miglioramenti effettivamente conseguiti nella salute pubblica». E quindi, come in un quadro sinottico, «la perdita di vite umane e mezzi di sussistenza, l’interruzione dell’istruzione e dei servizi sanitari e l’aumento della violenza – in particolare la violenza contro le donne e i soggetti vulnerabili – hanno minato i diritti umani e la dignità di milioni di persone in tutto il mondo».
Come si diceva, il report è fondamentale anche per la ricognizione sugli impatti della pandemia. «Al 1 gennaio 2021, più di 81 milioni di casi confermati di COVID-19, compresi 1,8 milioni di morti, sono stati segnalati alla Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO)»; allo stesso tempo, «la capacità di molti Stati di rispondere ad una pandemia di tale portata è risultata compromessa da anni di disinvestimento (under-investment) nel servizio sanitario pubblico e dalla mancanza dell’accesso universale alle cure sanitarie», come mostra, citata nel report, la piattaforma di monitoraggio della WHO. Di conseguenza, «l’impatto sanitario della pandemia ha mostrato l’importanza di un forte sistema sanitario pubblico universale, basato sui principi di solidarietà e di protezione per tutti e per tutte», e oggi «la sfida principale è di garantire un’equa distribuzione dei vaccini di nuova generazione contro la sindrome respiratoria acuta grave coronavirus 2 (SARS-CoV-2), il virus che causa il COVID-19, alle popolazioni di tutte le nazioni, sia ricche sia povere, senza discriminazione alcuna» (in questo senso, in Europa, è attiva una ICE, una Iniziativa dei/delle Cittadini/e Europei/e, allo scopo di rendere i vaccini e le cure anti-pandemiche un bene pubblico globale accessibile, gratuitamente, a tutti e tutte).
Quanto agli impatti sulle condizioni materiali di esistenza, il report prosegue ricordando che «la pandemia ha esacerbato le pre-esistenti disuguaglianze nel mondo. Secondo stime della Banca Mondiale, la pandemia e la crisi economica ad essa associata hanno costretto in condizione di povertà estrema tra gli 88 e i 115 milioni di persone al mondo, invertendo la tendenza di un decennio di progressi negli sforzi di riduzione della povertà». Non solo: secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), solo tra l’Aprile e il Giugno del 2020, ben 495 milioni di posti di lavoro a tempo pieno sono andati perduti, e, in particolare, «i lavoratori e le lavoratrici dell’economia informale, la maggioranza dei quali sono donne e che comprendono oltre i tre quarti dei giovani lavoratori e delle giovani lavoratrici al mondo, hanno profondamente sofferto a causa dei lockdown».
Per questo, il report non è reticente nel segnalare, poco più avanti, che «sebbene la pandemia abbia messo in risalto l’importanza delle protezioni sociali in tempi di crisi, il diritto umano alla sicurezza sociale e alla protezione sociale non è ancora una realtà effettiva per la maggior parte delle persone. In tutto il mondo, circa il 71% delle persone, inclusi quasi due terzi dei bambini e delle bambine in tutto il mondo, non ha una copertura in termini di sicurezza sociale o solo una copertura parziale e inadeguata». Analogamente per quello che riguarda gli impatti sull’istruzione, sul futuro delle giovani generazioni: «la chiusura delle scuole su larga scala ha colpito quasi 1,6 miliardi di studenti in più di 190 Paesi. Per coloro che non hanno contesti familiari capaci di supportarli e dotati di risorse sufficienti … l’impatto potrebbe essere catastrofico».
Come si diceva, le stesse misure di emergenza, il cosiddetto governo della pandemia, come opportunamente mette in risalto il report, hanno causato impatti gravissimi. «Molte misure prese dagli Stati per controllare la diffusione del COVID-19 hanno avuto un impatto negativo sui diritti umani. Misure di lockdown e restrizioni alla libertà di movimento delle persone hanno aumentato i rischi di isolamento specie dei soggetti vulnerabili […] e un incremento della violenza domestica di genere ad opera di partner o familiari durante i lockdown». Per quanto riguarda le limitazioni alla agibilità democratica, il report riferisce come «la pandemia ha avuto un impatto considerevole sulla partecipazione pubblica … con il trasferimento online di molti canali di attività, escludendo quei segmenti della popolazione che hanno accesso solo parziale, o nessun accesso, a Internet».
Tutto ciò, evidentemente, enuclea anche una sfida per il post-pandemia. Per questo il report, nella sezione IV (Risposta dell’Ufficio dell’Alto Commissario alla pandemia), richiama le cinque priorità della strategia dell’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (OHCHR): 1) supporto ai soggetti vulnerabili; 2) accesso alle informazioni e partecipazione nelle iniziative di risposta alla emergenza; 3) integrazione di un approccio basato sui diritti umani nei meccanismi di risposta delle Nazioni Unite a tutti i livelli; 4) impegno nell’ambito delle conseguenze economiche della pandemia sui diritti umani; 5) monitoraggio, documentazione e iniziativa per affrontare le sfide in materia di diritti umani durante la crisi. L’elenco delle Raccomandazioni, di conseguenza, è particolarmente nutrito: a) affrontare le diseguaglianze e le discriminazioni; b) assicurare il libero flusso delle informazioni e una partecipazione effettiva; c) definire un nuovo contratto sociale e trasformare le economie, anche prevedendo «nuove forme di tassazione progressiva per massimizzare gli investimenti nel campo dei diritti economici e sociali, anche preservando la spesa sociale durante le recessioni economiche; misure per combattere l’evasione e l’elusione fiscale; maggiore trasparenza delle misure di bilancio»; d) infine, costruire risposte globali. Con l’auspicio, aggiungiamo, non di una ristrutturazione, bensì di una trasformazione.