Una vera e propria epifania questa della pubblicizzazione della CNAPI, Carta nazionale aree potenzialmente idonee ad ospitare il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi, ma più per la coincidenza con la festività religiosa che per l’apparizione di questo documento tenuto nel cassetto da cinque anni.
Per gli addetti ai lavori essa non presenta novità significative in quanto le aree individuate rispecchiano abbastanza la logica dei precedenti insediamenti nucleari: da alcune zone del Piemonte, alla bassa Toscana – Alto Lazio per finire alla zona di confine Puglia – Basilicata.
Le novità semmai stanno nell’inclusione della Sicilia e della Sardegna, che secondo i criteri di selezione individuati dal Gruppo di lavoro presieduto da Carlo Bernardini nel 1999 erano state escluse in quanto isole, cioè luoghi che presupponevano il trasporto via mare dei rifiuti radioattivi: ma chissà se questa new entri non si riveli un diversivo per aumentare il numero delle candidature, essendo più che consolidato l’orientamento a costruire il deposito sul continente.
Sia come sia, ora si scatenerà una querelle con le regioni interessate, mentre tutte le altre se ne terranno fuori (e volentieri!) a testimonianza del fatto che questa del deposito non è mai stata veramente una questione nazionale. Ma non è questo il punto (la collocazione geografica) che dovrebbe tutti preoccuparci, quanto l’atteggiamento riconfermato dalle istituzioni nel promulgare questo Avviso pubblico. Basta leggerne le prime righe: “La Sogin è il soggetto responsabile della localizzazione, realizzazione e dell’esercizio del Deposito nazionale” e in quanto tale “ definisce una proposta di CNAPI per ospitarlo”. Vale a dire che l’unico soggetto incaricato di gestire tutte le fasi inerenti a questa impresa (compresi i biglietti di ingresso per i visitatori del futuro parco tecnologico annesso al deposito!) è la Sogin, una e trina come il padreterno, che per definizione non risponde che a se stesso.
Neanche in questa fase, quella della consultazione pubblica, si è avuto il coraggio di presentare alle popolazioni interessate un altro interlocutore più istituzionale come il Ministero dell’ambiente o quello dello Siluppo economico per dare almeno quella assicurazione formale di trasparenza e vicinanza tra governanti e governati. No, la delega a Sogin è totale e per di più esercitata con modalità impossibili da soddisfare: la documentazione a disposizione del pubblico è enorme e di difficile consultazione perché molto specialistica; i luoghi dove consultarla sono 5 in tutto e cioè le ex 4 centrali nucleari (Trino, Caorso, Latina e Garigliano) più la sede della Sogin a Roma, ma soprattutto si hanno 60 giorni di tempo a partire da oggi per esaminare questi documenti e inoltrare i propri commenti!
Una vera farsa se consideriamo che si sono persi 5 anni per avviare questa procedura mentre si sarebbe potuto concedere molto più tempo all’istruttoria pubblica e dare così un segnale di cambiamento.
*Giogio Ferrari su Il Manifesto 6 gennaio 2021