Che cosa possiamo imparare dagli alberi? Chi è “l’uomo radice”? Qual è oggi il nostro rapporto con la natura? Ne abbiamo parlato con Tiziano Fratus, scrittore, poeta e appassionato cercatore d’alberi che il nostro Paolo Cignini ha intervistato in una recente puntata di “A tu per tu”.
“C’è una grammatica che attende solo di essere ascoltata. Una lingua che abbiamo dimenticato allontanandoci dal cuore selvatico della nostra immaginazione. Qualcuno la chiama boschese, qualcuno la chiama naturalezza, qualcuno la chiama selvatichezza. Ma non importa il suono delle parole che adottiamo, conta piuttosto il nostro fare ritorno alla radice dell’esistenza, il nostro posarsi di una foglia al suolo, al levarsi del sole ogni mattina da dietro le montagne. Siamo parte di questo istinto al movimento, un dono immenso”.
Questo brano è tratto da “Il bosco è un mondo” di Tiziano Fratus, poeta e scrittore che ha messo gli alberi al centro della sua attività artistica ed esperienziale. Qualche settimana fa il nostro Paolo Cignini ha avuto il piacere di confrontarsi con lui in una lunga e interessante intervista di cui riportiamo qui alcune parti.
Perché l’albero è diventato il tuo spazio principale di ricerca e sperimentazione?
L’albero è importante per me, o meglio la dimensione del bosco e quindi il rapporto con gli elementi della natura, perché diversi anni fa mentre attraversavo le foreste della California mi trovai di fronte a una sequoia millenaria. Ho avuto modo di entrare dentro questa grotta vivente e ho potuto ammirare e contemplare la grandiosità di alcune manifestazioni naturali che sono lì da 2000 anni.
Nel tuo percorso di “artigiano delle parole”, come ti sei definito, hai coniato alcune espressioni. Tra questi vi è “homo radix”, ovvero l’uomo radice, al quale hai dedicato anche una poesia.
L’uomo radice è una persona che attraversa il paesaggio e cerca di creare una connessione emotiva, culturale, spirituale con i grandi alberi, le foreste, i boschi e quello che noi chiamiamo in maniera generica la natura. Ci sono diverse persone, credo molte, che invece di trovare queste energie all’interno di un rapporto umano con altre persone costruiscono una relazione intima con chi gli sta intorno ma non è umano.
Nel mio caso alberi e boschi, ma ci sono diverse modalità. Anche i viaggi a piedi per esempio sono atti formativi e ricerca di centralità di se stessi e perdita di rapporti disturbanti rispetto al trovare il proprio equilibrio.
L’uomo radice rappresenta un atto di scissione con la società. Da questo spacco è nata una radice, una identità nuova, su cui io ho lavorato per tutti questi anni. Sono molti anni infatti che cerco di capire chi è questo uomo radice; ho dato una definizione, ho scritto libri che indagano questa identità, questo rapporto speciale con boschi e foreste, ma non c’è ancora una risposta definitiva.
E cosa vuol dire il termine “dendrosofia”?
“Dendron” vuol dire albero in greco e “sofia” vuol dire conoscenza e, a lungo andare, saggezza. La dendrosofia quindi è un percorso di esperienza e conoscenza che mette insieme uomo e albero. Da non prendere alla lettera, è tutto ciò che rapporta la volontà di conoscenza delle persone a quella che è la natura. È un discorso specifico nella traduzione ma che può essere intesa in modo più ampio.
Diversi libri che ho scritto in questi anni tra cui “Il bosco è un mondo” e “Il manuale del perfetto cercatore d’alberi” sono dendrosofici, perché abbracciano esperienze, conoscenze di grandi alberi, misurazioni botaniche e anche emozioni che scaturiscono dall’incontro con questi luoghi e questi giganti. Pensiamo ai giardini storici o agli orti botanici dove una persona può incontrare i patriarchi, i così detti alberi monumentali che esistono in Italia e in giro per il mondo.
Negli ultimi anni ho potuto tastare con mano il rinnovato interesse nei confronti della natura. Credi sia reale, o pensi si tratti piuttosto di una moda?
Credo che ci siano entrambe le dimensioni: in parte è una moda, ma ci sono tante persone che nutrono un interesse reale e convinto nei confronti della natura. A tal proposito mi piace raccontare un episodio. Quando ebbi quella piccola illuminazione e scrissi quella definizione di “uomo radice”, cominciai i primi viaggi in Italia per andare a vedere gli alberi monumentali, soprattutto in Piemonte e Lombardia. Cominciai a misurarli, a scrivere e raccontare storie intorno a questi grandi alberi. Andai quindi dagli editori per proporre questo lavoro. C’era pochissimo ai tempi sul tema e tutti gli editori di larga diffusione mi dicevano che l’albero era un discorso di nicchia che riguardava pochi, sebbene nel mio quotidiano conoscessi tante persone interessate, appassionate e incuriosite. Oggi non c’è un editore che non abbia pubblicato un mio libro, ognuno a suo modo.
Qual è oggi il tuo rapporto con la natura?
Il mio è un percorso particolare e al limite. Ho scelto di vivere in un posto dove il rapporto con i boschi è prossimo. Non credo che riuscirei più a vivere in città. Per me il bosco è diventato sempre più importante, qualcosa di radicale e essenziale. Questo non vuol dire che io senta più degli altri; ognuno sente le cose e la natura nel suo modo ed è l’unico possibile.
Quali sono i benefici maggiori che una persona può avere dal contatto con la natura?
La scienza ha dimostrato che il contatto con la natura contribuisce al benessere fisico. Attraversare boschi e giardini può portare tranquillità. Questo è il motivo principale per cui le persone hanno bisogno di fare una camminata ogni tanto accanto agli alberi e in uno spazio verde. Io penso inoltre che siano tante le ragioni per cui le persone hanno piacere di camminare in un bosco o in qualunque posto gli alberi siano la presenza più magnetica e affascinante.
Oggi si parla di piantare un milione di alberi per le città italiane. Questo è un fatto positivo, ma solo se non si trascura l’importanza di pensare alla qualità della loro vita. Molto spesso infatti gli alberi nelle nostre città vivono una condizione drammatica e molti studi ci dicono che un albero piantato in città vive meno della metà di quelli fuori dal contesto urbano. Abbiamo sotto gli occhi tutti quei viali dove gli alberi sono dentro un pezzetto di terra e litigano con il cemento, con noi che ci parcheggiamo sopra. Tutti coloro che vogliono piantare gli alberi dovrebbero considerare questo aspetto.
Nella tua opera c’è spesso la musica. Quale è il tuo rapporto con la musica e come entra in connessione con i boschi e con la natura?
Per me la musica è sempre stata molto importante e la ritrovo nella natura. Quando vado nei boschi io sento molta musica: il passo che fa scricchiolare le foglie le mattina all’alba o l’airone che prende il volo. Tutti questi rumori naturali formano la voce del bosco, compongono questa piccola orchestra immobile che abbiamo la fortuna di poter ascoltare ogni tanto.
Musica e silenzio: secondo te tramite il silenzio si riscopre la musica? Che ne pensi?
C’è la tendenza a fare del silenzio una sorta di guaritore, di grande sciamano che uno usa come vuole. Ma il vero silenzio non lo tocchiamo mai: è qualcosa cui puntiamo, ma che non possiamo raggiungere. Ciò lo rende molto prezioso. Noi proviamo ad avvicinarci al silenzio, ma il silenzio ci sfugge sempre. Siamo circondati da molti rumori che non sentiamo solo perché siamo abituati a sentirli. C’è una forma intermedia di rumore, attutito, che non è silenzio.
È diffusa una visione taumaturgica del bosco. Tu ritieni che andare nel bosco possa risolvere i problemi?
Ogni viaggio che facciamo in natura è faticoso e la fatica è una cosa molto utile: il viaggio faticoso che ti stanca è educativo. Spesso abbiamo l’idea che tutto ciò che non è lavoro sia relax, ma tutto quello che è fatto bene richiede una dose di fatica, anche camminare e stare con i propri pensieri, o guardare una mostra per esempio. Tutte le esperienze richiedono disciplina e dedizione, e a seconda dell’impegno anche un po’ di fatica. Per fortuna non abbiamo le bacchette magiche, perché sarebbero una sciagura per gli uomini.
Pensi che in questo periodo stia aumentando il desiderio di scoprire luoghi naturali?
Non saprei dare una risposta precisa. Oscillo un po’. Da una parte c’è la speranza che quello che stiamo vivendo sia utile a migliorare la percezione che abbiamo di noi stessi e ci aiuti a ricalcolare le nostre vite ed i bisogni: siamo abituati a pensare di essere liberi, ma in realtà siamo consumatori molto condizionati. D’altra parte c’è l’allarme per i comportamenti eccessivi che ho visto. Quest’estate c’è stata una invasione incredibile di persone nelle montagne e abbiamo visto ben poco rispetto per la natura.
Ci sono alberi in particolare che ti porti dentro?
Ne ho visti talmente tanti che non saprei neanche scegliere. Tra i tanti alberi sono molto attratto dai faggi. Ci sono poi molti alberi che torno a visitare quando posso, quelli dell’ambiente alpino e pre alpino, in particolare. Ma anche tanti alberi esotici che ora sono abitudinari anche per noi, il platano per esempio che non è un albero italiano. Oppure il cipresso: siamo abituati a pensare sia il classico albero da cartolina della Toscana, ma in realtà è un albero importato nei millenni.
Io sono molto affezionato al ficus australiano, che ormai si vede facilmente in alcune aree del nostro Mezzogiorno, in particolare a Palermo. Penso poi all’ulivo che può assumere dimensioni e età vetuste di grande impressione, 2 mila-3 mila anni. Sono tanti gli alberi che mi ricordano viaggi e incontri straordinari.