Gli esseri umani amano i calendari e le feste, li amano da un tempo lontano che forse nessuno può decifrare con esattezza.
Gli antropologi ritengono che i calendari siano il frutto della sedentarietà e del passaggio a una cultura contadina e che le cerimonie e feste più antiche fossero legate più a eventi che a ricorrenze. D’altronde anche queste cose molto tipiche della cultura occidentale come i compleanni sono una pratica relativamente recente ed estremamente circoscritta a un certo ambito culturale, quello di origine occidentale, europeo, caucasico. I primi presidenti africani post coloniali dovettero attribuirsi una data di nascita, inessenziale nelle culture africane; in Vietnam la propria data di nascita è un geloso segreto condiviso tra te e tua madre e l’idea di celebrare un compleanno piuttosto scandalosa.
Così in quest’epoca di feste viene da chiedere quali potrebbero essere le feste della Nazione Umana Universale, cioè di quel mondo utopico a cui aspirano gli umanisti.
Tradizionalmente nelle attività ispirate all’Umanesimo Universalista si sono celebrati i cambi stagionali, la festa più laica e neutrale che si possa immaginare, anche se comunque legata al cambio di stagione che caratterizza solo una parte del pianeta. Un’altra pista interessante sono le Cerimonie del Messaggio di Silo che riguardano appunto eventi di rilievo della vita delle persone.
D’altra parte da molti lati, per esempio sto pensando alle riflessioni di Papa Francesco, si cerca di riportare il senso della festa a qualcosa di profondo e di sacro, contemporaneamente denunciando come la festa si sia desacralizzata ed esternalizzata nel riti dell’acquisto del regalo, del banchetto.
Quanto al Natale, mi è capitato di comprenderne la relatività culturale e l’aspetto di colonialismo culturale, se non commerciale, quando mi sono trovato in luoghi “non adatti” alla pittoresca versione con i colori della Coca-Cola, come Dakar o Santiago del Cile; l’albero di Natale che campeggia su una piscina a una temperatura superiore ai 35 gradi centigradi…
Così che dire di questo “Natale dove non puoi”, causa restrizioni? Come riuscire a respirare a pieno la retorica buonista che da tanto mi fa arrabbiare: perché essere “buoni” a Natale? E gli altri giorni? Il calendario è stato invaso di “Giornate” che celebrano ormai la qualunque cosa che si debba celebrare, come se i diritti umani, la pace, la nonviolenza, la solidarietà ecc. ecc. non si dovessero celebrare, e praticare, tutti i giorni.
Però perché e come sottrarsi dalla retorica degli auguri, dalle canzoncine, dal rituale dei regali? Perché abbiamo bisogno di riti, di cerimonie, di feste e in questo ritroviamo la nostra umanità. Il vecchio codice romano ricorda semel in anno licet insanire. Regola e controlla la nostra voglia di festeggiare e di prendere in contatto con la pazzia, cioè col divino.
Vogliamo insanire tutti i giorni, condividere la gioia che è vivere con gli altri. Risuonano le parole di Silo quando dice:
Non lasciar passare la tua vita senza chiederti: “Chi sono?”
Non lasciar passare la tua vita senza chiederti: “Dove vado?”
Non lasciar passare un solo giorno senza darti una risposta su chi sei
Non lasciar passare un solo giorno senza darti una risposta su dove vai
Nell’oscurità dell’inverno temperato molti popoli sentirono necessario celebrare la Luce. Quella Luce a cui aspira il contadino che aspetta la Primavera, il mistico che la incontra nel profondo della sua meditazione, il viandante che ha perso il cammino ma non la speranza, il bambino che gioca con le candele dell’Albero. In seguito gli sono stati dati molti nomi. Non è universale ma la possiamo, in questo momento, prendere come ispirazione per quella Rinascita che la crisi ha solo reso più evidente e necessaria.
Che possa essere un cammino pieno di pace, di forza e di gioia.