Da oltre dieci anni Fabrizio Sulli vive in una casetta nel bosco nel parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga prendendosi cura del territorio e preservando le dinamiche naturali e le specie a rischio. Eppure da qualche tempo è finito sotto processo in seguito alla contestazione di alcuni illeciti. Ha deciso di reagire chiedendo delle leggi che tutelino il ritorno alla natura e le comunità rurali italiane.
Siamo nel Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, in una casetta nel bosco nella Contrada Rava del Comune di Castelli (TE), dove Fabrizio Sulli, 34 anni, si è trasferito undici anni fa per condurre una vita a stretto contatto con la natura.
«Avevo il sogno di vivere nei boschi fin da bambino. Crescendo, poi, la mia passione per la natura si è fatta sempre più forte e ho iniziato ad occuparmi di attivismo e a frequentare scienze ambientali. Due mondi, questi, da cui mi sono dopo poco tempo allontanato perché vi ho trovato una visione abbastanza limitata della conservazione, che non considerava l’uomo come parte integrante della natura e che non prevedeva azioni dirette per la cura del territorio», ci ha raccontato.
Così, ventitreenne, Fabrizio ha iniziato da solo la sua vita nei boschi, passando molto del suo tempo a coltivare cibo, costruire casette per gli uccelli e pozze per gli anfibi, eliminare le trappole dei bracconieri e scoraggiare chiunque volesse danneggiare l’ambiente. «Negli anni ho piantato centinaia di querce e vorrei mettere anche delle talee di frutti di bosco. Nel complesso ho sempre cercato di aiutare l’ecosistema forestale in cui vivo reintroducendo le specie che nel tempo sono scomparse. Qui infatti, fino a sessant’anni fa c’erano i campi, ed il bosco è tornato solo da poco».
Per sostenersi, oltre a dedicarsi all’orto e a raccogliere frutti, Fabrizio ha per alcuni anni avuto delle capre e si è dedicato a diversi lavori di carattere occasionale, come le potature e il giardinaggio, nelle campagne e nelle città limitrofe. Da poco più di un anno, inoltre, è diventata una guida AIGAE e accompagna le persone in escursioni didattiche e naturalistiche fra i monti abruzzesi. «Quest’estate ho fatto educazione ambientale con dei bambini, tutti del posto. È stata un’esperienza bellissima! Passeggiando assieme abbiamo trovato il gambero di fiume, che negli ultimi anni non avevo mai visto e pensavo essersi estinto. Questa scoperta mi ha commosso, come mi ha commosso la loro sensibilità. Quando ho chiesto loro di che cosa avessero bisogno per essere felici hanno risposto all’unanimità “amici, condivisione e natura”. E questo non può che farmi venir voglia di costruire sempre più occasioni di questo tipo».
Si potrebbe pensare che per chi compie scelte come quella di Fabrizio i problemi da affrontare siano legati all’isolamento, alla produzione del cibo, alla precarietà del lavoro, alla fatica, alla mancanza di comfort, alle stagioni avverse o alla fauna selvatica. Le vere difficoltà emerse nel corso degli anni, invece, sono tutte legate alla burocrazia e a delle leggi che minano la possibilità di vivere nella natura. «Mi sono contestati vari illeciti e reati, alcuni presunti, altri fatti per sussistenza o per aiutare la fauna locale, e in primavera sarò chiamato in udienza».
Fra questi vi è la costruzione di tre pozze scavate a mano o con pala e piccone nelle quali si sono già riprodotti con successo varie specie, alcune delle quali anche protette: rospi, rane appenniniche, tritoni e salamandrine perspicillate. «Sono opere semplici, che si possono trovare in ogni riserva naturale e che spesso, finiti i fondi di finanziamento vengono lasciati all’abbandono. È paradossale che in nome della tutela della natura non mi sia concesso svolgere questo tipo di azioni dirette. Se queste leggi fossero retroattive e tornassimo indietro nel tempo dovremmo incriminare tutti i pastori e gli eremiti per abusi edilizi», commenta Fabrizio.
Seguono le contestazioni per il possesso di due machete usati per spezzare la legna e di un arco con cinque frecce (portati da una ragazza ospitata alcuni giorni e usati giocosamente per tirare sulla sagoma disegnata di un vecchio materasso), attrezzi per l’autocostruzione di una rimessa attrezzi e di un fienile e per il ritrovo, durante la perquisizione per cercare le armi di cui sopra, di una cinghialetta. «L’avevo trovata agonizzante sul ciglio della strada pochi giorni prima dentro una cunetta alle porte del paese», ci ha raccontato Fabrizio. «L’ho soccorsa, portandola a casa e nutrendola con del latte e con dei mangimi per maiali. Nel giro di poco tempo si è ripresa, e ho chiesto alla veterinaria Francesca Di Bartolomeo, che lavora presso un centro di recupero fauna selvatica a Pescara e testimonierà alla mia udienza, come consegnare la cinghialetta presso una struttura adeguata.
Durante la perquisizione, nonostante esponessi la realtà dei fatti, gli agenti non hanno voluto sentire alcuna ragione. Mi veniva anzi contestato anche il reato di cattura e detenzione di fauna selvatica, alla pari dei peggiori bracconieri. E questo mi ha davvero ferito nel mio intimo, visto che per dieci anni mi sono battuto con varie segnalazioni e con controlli personali in zona, proprio contro il bracconaggio perpetrato comunemente dai locali». Infine è arrivato anche un verbale, con tanto di multa da pagare, per aver organizzato insieme ad un amico un “bagno di foresta”, evento gratuito consistente in una passeggiata con osservazione del bosco e meditazione.
Di fronte a queste accuse, Fabrizio, si è ritrovato con due possibili scelte: da una parte quella di accettare almeno 300 ore di servizi sociali, dall’altra quella di esporsi, cercando di aggregare persone, veicolare un messaggio e chiedere delle leggi che tutelino quanto concerne il ritorno alla natura. E, ovviamente, ha scelto la seconda via.
«Quando è stata istituita la legge sulle aree protette, nel ‘91, era un mondo diverso, che non considerava la possibilità di un ripopolamento rispettoso degli equilibri della natura. Capiamo la logica del tempo, ma adesso più che proteggere l’ambiente dall’uomo è necessario costruire un buon rapporto fra uomo e natura coniugando ecologia ed uguaglianza sociale, senza rendere queste scelte un’esclusiva per chi può permetterselo», hanno spiegato Fabrizio e Daniela, che da qualche mese lo ha raggiunto nella casetta nel bosco.
«L’idea di una protezione della natura solo entro determinati confini, al di fuori dei quali viene portato avanti qualunque tipo di scempio, il tutto legalmente con autorizzazioni, è palesemente fallace. Lo vediamo in pratica anche dalle iniziative che oggi dicono di voler proteggere la natura cacciando gli indigeni dai territori che abitano e custodiscono da tempo. Senza contare, poi, che con il potere del soldo è spesso consentito passare sopra a qualunque vincolo paesaggistico, costruendo ed urbanizzando come nel vicino Parco Regionale Sirente Velino, facendo approvare sette nuove piste da sci laddove vivono l’orso marsicano e il lupo. Siamo di fronte a dei grandi paradossi e credo che il mondo della conservazione, per come l’abbiamo finora concepito, vada ripensato, costruendo delle leggi ad hoc che consentano a chiunque ne abbia desiderio di tornare a vivere in natura».
In caso di sconfitta al processo, sommando tutti i reati contestati, incomberebbe la minaccia di oltre 20 mila euro di multa, dell’ipoteca della casa e del pignoramento dei terreni. Tutto ciò sta rendendo questi mesi particolarmente difficili per Fabrizio e per Daniela, che lo sta supportando con grande determinazione. È più che mai gradito, dunque, il supporto di tutti coloro che si sentano affini alla loro causa – spargendo la voce, sensibilizzando sul tema, firmando la loro petizione e fornendo un supporto morale prima e durante l’udienza.
«Finché potremo resisteremo, nella speranza che questa vicenda apra nuove possibilità perché tutti coloro che desiderino tornare a vivere rispettosamente nella natura possano farlo senza vivere nella minaccia costante di poter essere denunciati».