Per la prima volta nella storia della Turchia sarà possibile scegliere il nuovo Presidente della Repubblica con una votazione popolare. Grazie al referendum realizzato nel 2007 il Presidente della Repubblica non deve essere più eletto dai parlamentari, ma dai cittadini. Inoltre sono stati votati altri due punti: la riduzione dell’incarico da 7 a 5 anni e l’impossibilità di essere eletto per più di 2 mandati. L’attuale presidente, Abdullah Gul è stato eletto proprio il 28 agosto del 2007; il maggiore partito dell’opposizione CHP(Partito Repubblicano e Popolare) basandosi sull’esito del referendum ha richiesto l’annullamento dell’elezione parlamentare di Gul nel 2012, ma la Corte Costituzionale ha rigettato la richiesta e confermato l’incarico.
In merito all’esito del referendum del 2007 ci sono diversi pareri politici. C’è chi sostiene che una votazione del genere renda più partitica l’identità del Presidente della Repubblica, che invece dovrebbe essere super partes. E c’è chi sostiene che la volontà amministrativa per procedere correttamente e “per il bene del paese” debba godere del pieno sostegno del Presidente della Repubblica, per cui è essenziale la presenza di una persona in questa posizione che sostenga le scelte politiche, legislative ed economiche del governo di turno.
I cittadini residenti all’estero hanno iniziato già a votare. Sono circa 2.6 milioni di persone, ossia il 5% della popolazione nazionale. La prassi prevede prima di tutto la registrazione dell’indirizzo del domicilio all’estero attraverso un sito web dedicato, poi attraverso sempre lo stesso sito si prenota il giorno e l’ora del voto presso la rappresentanza diplomatica più vicina. Considerando che i cittadini residenti all’estero non possono esercitare il diritto al voto per le elezioni nazionali oppure comunali, se non negli aeroporti oppure in dogana, queste elezioni avranno un ulteriore significato. Le votazioni all’esterno hanno avuto inizio già il 31 luglio e dureranno fino al 3 agosto; nel caso di ballottaggio si ritornerà a votare dal 17 al 20 agosto. In Turchia sarà possibile votare il 10 agosto; se nessuno dei tre candidati supererà il 50% dei voti, si tornerà a votare il 24 agosto.
A gareggiare sono tre candidati, i cui nomi compaiono in quest’ordine nelle schede elettorali: Recep Tayyip Erdogan, Selahattin Demirtas ed Ekmeleddin İhsanoğlu.
Recep Tayyip Erdogan è l’attuale Primo Ministro e il leader del partito al governo ormai da più di 12 anni, il Partito dello Sviluppo e della Giustizia(AKP). Sin dall’inizio si sosteneva che sarebbe stato lui a candidarsi per la Presidenza della Repubblica, tuttavia sia Erdogan che l’AKP non hanno voluto fare dichiarazioni fino all’ultimo momento. A volte le sue risposte ai giornalisti facevano addirittura pensare a un altro candidato. Il Primo Ministro da anni governa con “successo” la Turchia secondo le linee guida del suo progetto/disegno politico ed economico, quindi la mossa di candidarsi alla carica più alta della Repubblica era prevedibile.
Due importanti elementi dimostrano il suo intento: il primo è il desiderio di trasformare la Turchia in un sistema presidenziale, unendo così i poteri del Primo Ministro e del Presidente della Repubblica. Il secondo è la dichiarazione rilasciata il 4 luglio, primo giorno di campagna elettorale, nella città di Samsun: “Anche da Presidente della Repubblica lavorerò come ho lavorato finora. Aiuterò la realizzazione di infrastrutture come ponti, strade e aeroporti”. Erdogan vuole portare avanti a tutti i costi la “sua” agenda, soprattutto per quel che riguarda lo “sviluppo” economico del paese, basato sulla realizzazione di infrastrutture quali dighe, ponti, strade, aeroporti, centrali nucleari, centrali idroelettriche, case popolari, grattacieli, centri commerciali, nuove zone turistiche, riqualificazione/distruzione urbanistica con tanto di privatizzazione/svendita del patrimonio dello Stato e introduzione di cambiamenti legislativi per mettere al servizio dell’investimento privato una serie di zone protette come aree verdi e siti archeologici.
Contro questa aggressiva politica di cementificazione e distruzione in diverse zone del paese sono nati dei comitati di cittadini e di contadini per difendere l’acqua (opposizione alle centrali idroelettriche Hes), le aree agricole/forestali e gli spazi abitativi e pubblici (casi Sulukule e Tarlabasi). Un altro esempio è la rivolta e la difesa del Parco Gezi, che ha coinvolto in meno di 2 mesi oltre 4 milioni di persone in più di 40 città della Turchia. Il governo guidato da Erdogan ha messo anche in atto una serie di cambiamenti legislativi per privatizzare le aziende statali svendendole al capitale internazionale, aumentando la dipendenza agricola dall’estero, diffondendo l’esternalizzazione del servizio in diversi settori e portando avanti una lotta giuridica e poliziesca contro la sindacalizzazione dei lavoratori. Per proseguire tutto questo l’elezione di Recep Tayyip Erdogan a Presidente della Repubblica sarebbe una mossa fondamentale.
In seconda posizione sulle schede appare il nome di Selahattin Demirtas. Nato nel 1973 a Elazig, nel 2006 Demirtas ha lavorato come presidente dell’Associazione per i Diritti Umani (IHD) nella sede di Diyarbakir, sfruttando la sua laurea in giurisprudenza. L’IHD è un’ong fondata nel 1986 da avvocati, giornalisti, intellettuali e parenti di detenuti politici. Nel 2005 uno dei suoi fondatori, Adalet Ağaoğlu, letterato di fama internazionale, si è dimesso criticando le posizioni vicine al Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), movimento politico armato che lotta per la rivendicazione dei diritti dei curdi in Turchia. Demirtas ha lavorato anche per Amnesty International Turchia e per l’Associazione dei Diritti Umani della Turchia (TIHV).
Nel 2006 durante un programma televisivo nel canale Roj Tv ha attirato l’attenzione sull’importanza del dialogo con il leader storico del PKK Abdullah Ocalan, dichiarazione che gli è costata la condanna a un anno di carcere per “propaganda terroristica”, poi convertita in 5 anni di libertà vigilata. Otto anni dopo la condanna di Demirtas, oggi lo stato porta avanti un dialogo con Ocalan e da più di un anno si preserva il cessate al fuoco tra le parti.
L’esperienza carceraria di Demirtas non è iniziata con questo episodio. Durante i suoi studi universitari, a 22 anni, è stato accusato con il fatello Nurettin di far parte del movimento giovanile curdo vicino al PKK Yekitiya Civaka Kürdistan. Selahattin Demirtas è uscito dal carcere dopo una settimana di reclusione, ma suo fratello è stato condannato a 22 anni di prigione. Divenuto avvocato, nel 1998 ha aperto uno studio a Diyarbakir, in un periodo caldissimo dal punto di vista della violazione dei diritti umani e ha seguito vari casi di persone scomparse, uccise e rapite, incontrando una serie di difficoltà politiche e giuridiche.
Dopo la chiusura del partito politico DTP (Partito della Società Democratica) da parte della Corte Costituzionale, Demirtas si è candidato con la lista del BDP e nel 2011 è diventato uno dei 36 parlamentari nazionali. Co-presidente della Confederazione dei Popoli del Kurdistan (KCK) nel 2010, ha portato avanti una serie di azioni di disobbedienza civile di massa per protestare contro gli arresti di membri del KCK e la detenzione di alcuni parlamentari nonostante l’esito delle elezioni del 2011. Nel 2013 ha visitato con altri parlamentari Ocalan nel carcere speciale dell’isola di Imrali, cercando di creare un ponte di dialogo tra il PKK, lo stato ed Ocalan per la soluzione definitiva della storica “questione curda”.
Durante l’attuale campagna elettorale ha lanciato l’Appello per una vita nuova, basata “sulla costruzione di una nuova società democratica, antisessista, antirazzista e libera. Una nuova società che lotta contro le politiche neo-liberiste, dove il controllo diretto dei cittadini avviene con la costituzione delle assemblee repubblicane locali”. Nel suo appello mette in evidenza la questione curda, la riforma del sistema giuridico, la libertà di culto, la conservazione delle zone verdi, la protezione dell’eco-sistema, il protagonismo lavorativo e politico dei giovani, il diritto all’istruzione gratuita, l’autonomia e la laicità del sistema scolastico ed universitario, i diritti delle donne e delle persone lgbt, la costruzione della pace in Medio Oriente e la libertà di organizzarsi e manifestare. Selahattin Demirtas è sostenuto da una serie di associazioni nazionali lgbt, dalle organizzazioni non governative, da diversi partiti politici extraparlamentari socialisti e comunisti e dal suo partito, il Partito Democratico dei Popoli nato nel 2012, di cui è parlamentare nazionale.
Il terzo e l’ultimo candidato è Ekmeleddin İhsanoğlu, sostenuto principalmente dal CHP (Partito Repubblicano e Popolare) insieme al MHP (Partito del Movimento Nazionalista) e da una serie di partiti extra parlamentari di destra e di centro. İhsanoğlu è nato al Cairo nel 1943 ed è uno storico ed ex segretario generale dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica (OIC). Si è laureato, ha completato il dottorato presso l’Università di Ankara, Facoltà delle Arti e delle Scienze nel 1974 ed è diventato professore nel 1984. La sua candidatura ha spiazzato alcune parti dell’elettorato dei due principali partiti; mentre i sostenitori del CHP si aspettavano un candidato giovane (forse anche donna) e più di sinistra, quelli del MHP non hanno accettato con facilità un candidato comune con un partito che si vanta di essere socialdemocratico.
L’intento di questi due partiti sembra sia quello di trovare un candidato conservatore, ma con un profilo diverso da Erdogan. Ihsanoglu è un personaggio poco conosciuto sia dagli elettori della sua coalizione sia dal resto della società, per cui nei giorni successivi all’annuncio della sua candidatura l’attenzione dei media si è concentrata su di lui.
In diverse interviste ha rivelato le sue posizioni su varie tematiche molto importanti ed attuali. In un’intervista rilasciata al quotidiano nazionale Taraf, ha dichiarato che la lingua ufficiale deve rimanere quella turca, un punto cruciale per un paese come la Turchia dove sono state portate avanti per anni politiche di assimilazione per le etnie non turche. Sempre nella stessa intervista in merito al riconoscimento del diritto dell’obiezione di coscienza ha dato una risposta che sconcertante: “Non so cosa sia, ma mi informerò per avere un’idea chiara”. In una Turchia in pieno conflitto armato per anni il mancato riconoscimento di questo diritto ha obbligato migliaia di persone ad abbandonare il paese e a chiedere asilo all’estero, mentre molte altre sono finite in carcere. Ha inoltre risposto così a una domanda sul diritto all’aborto, messo in discussione varie volte dal governo dell’AKP: “L’essere umano ha diritto di togliere a un altro essere umano la vita data da Allah?”, legando così il diritto all’aborto alla fede religiosa. In un’altra intervista, rilasciata stavolta al quotidiano nazionale Radikal, Ihsanoglu ha sostenuto che l’omofobia non è un problema universale e che se si vuole parlare di questo tema e dei diritti delle persone lgbt bisogna tenere in considerazione la struttura di una società conservatrice, rispettando i valori di tutti i cittadini.
In questo periodo elettorale ovviamente Erdogan ha avuto la maggior parte dello spazio mediatico e ha sfruttato il servizi messi a disposizione del Primo Ministro per fare la sua campagna elettorale, senza dimettersi dalla sua carica. Il canale televisivo statale TRT, vari canali televisivi e radiofonici vicini alla sua ideologia e una decina di quotidiani nazionali gli hanno dato ampio spazio. Secondo la giornalista Zeynep Gürcanlı del quotidiano nazionale Hurriyet il 3 luglio il canale televisivo statale TRT ha dato un’ora di spazio alle notizie riguardanti Erdogan, un solo minuto a İhsanoğlu e assolutamente niente a Demirtas. İbrahim Şahin, attuale presidente del TRT, ha risposto così alle proteste di Demirtas: “Se Demirtas continuerà a criticare TRT, interromperemo le trasmissioni che riguardano la sua campagna elettorale”. Io lo voterò sabato 2 agosto, presso il consolato turco a Milano.