La lettera che riportiamo qui sotto è stata letta durante una manifestazione il 30 ottobre indetta per protestare contro la chiusura dei luoghi di spettacolo.
Eccone anche il video
Caro Presidente del Consiglio, Cara classe dirigente italiana,
ho un nipotino di quattro anni che la sera, prima di andare a dormire, mi chiede sempre che gli racconti una favola. Mi sono spesso domandata cos’è che lo muova, quale motore segreto si nasconda dietro la sua smania di ascoltare storie inventate, lette, sussurrate. Forse è la paura del buio o forse è il bisogno di rendere il sonno più lieto, più accettabile, meno spaventoso.
Cosa accadrebbe se, all’improvviso, io non rispondessi più a quella richiesta? Se i libri di favole scomparissero, se il canto di una ninna nanna non avesse più suono? Il mio nipotino piangerebbe a dirotto, niente basterebbe a calmarlo. A nulla servirebbe urlargli «Dormi! Dormi!», a nulla servirebbe spegnere la luce. Continuerebbe a piangere e si addormenterebbe per sfinimento. E le sere a venire, l’ora di andare a dormire diverrebbe sempre più odiosa e penosa, e il mio nipotino vedrebbe di fronte a sé soltanto un muro nero. Nient’altro.
Caro Presidente del Consiglio, con il suo ultimo decreto ha fatto esattamente lo stesso. Ci ha privati dei luoghi nei quali il dolore di questo tempo può essere compreso, mediato, rielaborato. Ci ha privati dei luoghi di divertimento. Non c’è nulla di svalutante nella parola “divertimento” come, purtroppo, ci hanno abituati a pensare. “Divertire”, infatti, significa “volgere altrove” e i luoghi di cultura fanno della creazione di un “altrove” la loro missione quotidiana. Perché è soltanto “altrove” che riusciamo a indagare la realtà, imparando a sostenerne il peso, a comprenderne la complessità, a filtrarne la violenza. Ci ha privati, inoltre, del lavoro, perché migliaia sono i lavoratori invisibili nel mondo della cultura e dell’arte – invisibili perché per lo più inesistente ne è la tutela giuridica. E in uno Stato che si proclami civile, è inaccettabile.
L‘art. 4 della nostra Costituzione, come lei saprà bene, prevede che “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”. Caro Presidente, dov’è il progresso spirituale della società, quando i teatri e i cinema sono i primi a chiudere? Si è mai chiesto cosa possa significare per una società vedere un McDonald’s aperto e un cinema o un teatro chiusi? Ha mai pensato all’idea che possa farsi un bambino o un ragazzo che si affacci alla vita, anche inconsapevolmente, anche nell’innocente ignoranza delle conseguenze? Si è mai domandato, prima di scrivere il suo ultimo decreto, che impatto abbia sulla collettività vedere che molte attività sono state ridotte, mentre cinema e teatri sono stati i primi a essere totalmente sacrificati, senza nemmeno tentare di rinvenire soluzioni alternative? È questione di immagine, Caro Presidente. In politica, la forma è la necessaria premessa del contenuto. In politica, la forma preannuncia la sostanza, ne è il preludio. Ma questo le forze politiche degli ultimi anni – nonché quelle dalle quali lei proviene – lo hanno dimenticato, insegnandoci a rifiutare in modo aprioristico e irrazionale i “contenitori”. Ma i contenitori servono a definire il contenuto, a circoscriverlo, per poter distinguere – proprio in tempi bui come questi – ciò che è conforme a diritto e democratico da ciò che non lo è.
Poteva adottare misure che imponessero di modificare le programmazioni, di anticiparle entro le 18:00 o, addirittura, provvedimenti ancor più restrittivi per l’accesso a teatri e cinema. Ma non lo ha fatto. E non lo ha fatto perché non ha avuto rispetto del lavoro e, dunque, della dignità delle persone e di un intero Paese. Come anche del loro futuro, perché questa nuova sospensione delle attività, lascia migliaia di lavoratori senza un futuro. Davvero pensa che molti teatri e cinema riusciranno a riprendere le proprie attività, dopo questa crisi? Ha idea di quanta fatica teatri e cinema abbiano affrontato per poter garantire nuovamente una programmazione già sospesa in precedenza? Si chiama “programmazione”, Caro Presidente, perché le stagioni nei teatri e nei cinema richiedono un lavoro di lungimiranza, proprio quella che manca alla nostra classe politica.
Non pretendevamo, di certo, che la cultura e l’arte fossero considerate priorità in un Paese come l’Italia. È un’amara realtà da constatare, ma siamo abituati alla precarietà e alla mediocrità che caratterizzano la nostra politica molto più che in altri Paesi. Pretendevamo, però, che le attività di cinema e teatri fossero considerate uguali alle altre, quantomeno in termini economici. E, invece, neanche questo, nonostante teatri e cinema siano stati i luoghi che più hanno osservato i decreti-legge da lei scritti. E sa perché? Perché questi luoghi erano consapevoli della loro fragilità davanti a una macchina statale e governativa che fa di tutto per emarginarli, erano consapevoli che sarebbe bastato un batter di ciglia per la loro chiusura.
Caro Presidente, non ci bastano i bonus, il reddito di cittadinanza, se poi non riusciamo a vivere dignitosamente con il nostro lavoro, se poi la nostra classe politica non è in grado di pensare al lavoro come espressione della dignità umana. Siamo narcotizzati dalla politica dei bonus, dei decreti-legge, dei “pacchetti”, delle misure estemporanee, dalla politica della contingenza, quando la politica avrebbe bisogno di lungimiranza, di programmazione e, soprattutto di studio, di pianificazione del futuro, non soltanto per il presente, ma anche per le generazioni che verranno.
Sinistra italiana, dove sei? È colpa tua se, in questo momento storico così difficile, la rabbia sociale viene mediata dalle forze di estrema destra. È colpa della tua assenza, se la violenza risulta l’arma vincente, se le classi più disagiate della popolazione non trovano in te un alleato ma nella “legge del più forte”, nel sopruso, in chi “sa parlare alla pancia degli italiani”. I fatti accaduti a Napoli ne sono l’esempio più recente. Non demonizziamo chi protesta. Non ce ne laviamo le mani dicendo che “sono tutti una massa di incivili”. Non confondiamo le persone disperate con i negazionisti, con i violenti. E se queste categorie si confondono nei cortei o nei seggi elettorali, è sempre colpa tua, sinistra italiana, che non sei in grado di mediarla quella rabbia sociale, di trasformarla in lotta per i diritti, per l’uguaglianza e per la dignità, lasciandola in pasto ad altri.
Se i deboli sono sempre più “inesistenti” è perché inesistente è la sinistra, che ha il compito di star vicino alla sofferenza delle persone e non di guardarla dall’alto dei suoi salotti. Arriva un momento, infatti, in cui quella sofferenza vorrà trovare un capro espiatorio. E il capro espiatorio le verrà fornito da forze populiste e autoritarie che negano i diritti e l’uguaglianza tra le persone, che escludono il “diverso”, che chiudono “i porti” e le porte ai diritti fondamentali di ciascun essere umano. E quel momento, ahimè, è già arrivato.
Ecco che sono tornata a parlare di “chiusura”. Non è un caso. È tutto collegato, Caro Presidente. Tutto. Molto più di quanto lei e la classe politica italiana siano in grado di prevedere.
Alessandra Catanzariti, 25 anni
Dottoressa in Giurisprudenza, Attrice e Cittadina italiana