La zecca non ha il nostro apparato sensoriale. Concepisce il mondo attraverso il calore (sangue dell’ospite) o l’assenza di calore.

Noi pensiamo di essere organismi evoluti in grado di avvicinarsi, tramite la scienza, all’oggettività delle cose.

Ci concentriamo poco sul fatto che il mondo che indaghiamo è il mondo che noi stessi produciamo.

La zecca ha la “consapevolezza” di un mondo fatto di calore e non calore.

Non immagina che esiste un mondo pieno di colori, direbbe l’uomo.

Peccato che l’uomo si sbagli tanto quanto la zecca. Semplicemente perché i colori non esistono.

Sono interpretazioni che il nostro cervello dà a determinati impulsi elettromagnetici.

Sono soltanto delle microonde che colpiscono i milioni di cellule presenti nella nostra retina e che trasmettono un segnale al cervello che viene interpretato come luce e colori.

Un organismo diversamente evoluto rispetto all’uomo, probabilmente non vedrebbe i colori, ma coglierebbe dell’altro, diverso dal colore. Noi sappiamo, e possiamo indagare, soltanto ciò che produciamo quale rappresentazione del mondo che soddisfi alle esigenze della specie.

Non siamo particolari esseri evoluti al centro di un universo che solo noi possiamo esplorare.

Certamente siamo speciali. Speciali nel senso di attributo di specie.

Come lo è la zecca e qualsiasi altro essere vivente.

La zecca ha bisogno di succhiare del sangue tiepido (che per noi è sangue e tiepido ma chissà cosa sarà per la zecca), mentre l’uomo ha bisogno, tra le tante altre cose, anche di scrivere una poesia sui colori di un tramonto che, nella sua realtà esistono, ma che per vederli ci vuole un occhio e un cervello ben specifici, esattamente come quello di cui è dotato l’essere umano.

La supponenza della ricerca dell’oggettività è il grande fardello che l’uomo continua a trascinare con se’ sin dai tempi dei filosofi presocratici o di qualche altro filosofo ancora precedente ad essi.

Se si ricerca l’oggettività si presuppone che essa esista.

Si tratta dell’oggettività della zecca, di quella dell’uomo o di quella di un’altra ipotetica creatura diversamente evoluta, non dotata di occhi e cervello?

La ricerca dell’oggettività sembra produrre risultati simili alla ricerca della perfezione, che è nemica del bene e del buono…. Cerco di spiegarmi…

Se ci liberassimo della ricerca dell’oggettività, e facessimo un bagno di umiltà, potremmo, a mio avviso, volgere l’attenzione da un’altra parte.

Ammettere che non sappiamo nulla, che non abbiamo mai saputo nulla e che non sapremo mai nulla sulla realtà oggettiva che ci circonda, sarebbe un primo passo per poter aprire delle porte che finora abbiamo lasciato chiuse.

Non è operazione semplice, la nostra mente potrebbe opporsi a questo bagno di umiltà.

In tal caso è consigliabile aiutarla con esempi storici: tutte le nostre ricerche e scoperte verranno confutate tra 100 o 10.000 anni suscitando, probabilmente, anche ilarità o sorrisi di benevolenza tra i nostri successori. Esattamente come succede a noi quando leggiamo qualche testo di interpretazione del mondo del passato. Nulla della cosiddetta oggettività delle indagini è sopravvissuto: ne’ l’esistenza degli dei, ne’ le concezioni tolemaiche, ed ora assistiamo al confliggere della teoria della relatività con quella quantistica, prodromo di una transizione verso una diversa interpretazione della realtà. Ogni teoria stravolge e annulla tutte le conoscenze precedenti proponendo una chiave di lettura nuova.

Tutto ciò conduce ad una conseguenza ancor più irritante e fastidiosa.

L’ammissione che non sappiamo perché ci troviamo qui, e che non lo sapremo mai. Riuscire, serenamente, ad ammettere questo con noi stessi ci aiuterebbe ad impadronirci di quelle chiavi di accesso finora negate.

Se riusciamo ad accettare questo, cioè se siamo dotati della sufficiente libertà per poterci permettere di dirci che non sappiamo nulla e non sappiamo cosa ci facciamo qui, allora possiamo liberarci del fardello di cui parlavo e sentirsi più leggeri.

Più leggeri per andar dove? Per fare cosa?

Semplicemente per poter individuare non ciò che è (per natura sfuggevole) ma ciò che conta.

Avvertire, sentire, comprendere che non funziona ciò che è scientificamente dimostrato ma funziona ciò che ci fa sentire meglio.

Ciò che ci fa stare meglio con noi stessi.

(Se poi dovesse essere anche scientificamente provato, meglio, ma non è necessario in quanto il nostro benessere non necessita di validazione).

Ciò che realmente ci appartiene in questo mondo è soltanto una semplice domanda: sto bene?

Poi questa domanda può essere declinata in mille modi a seconda delle credenze di ognuno: sono felice? Sono sereno? Sono in connessione con il mio Dio? Con le energie cosmiche? Con i miei fratelli?

Poco importa la credenza di ogni singolo individuo ma il comune denominatore è sempre lo stesso: sto bene?

Ora vi chiedo pazientemente di seguirmi nella parte finale delle mie considerazioni.

Se volessimo declinare sul piano collettivo questa domanda cosa accadrebbe?

Proviamo.

Stiamo bene?

Limitiamo il campo della risposta al solo piano della salute e delle malattie non trasmissibili.

La risposta è no.

Mai, come in passato, la nostra civiltà ha vissuto una pandemia come quella attuale. Mai.

Decine di milioni di persone muoiono ogni anno, in fasce di età sempre più basse, di cancro, ipertensione, problemi cardiaci, diabete, malattie autoimmunitarie, malattie croniche. E ci si ammala sempre più frequente di malattie psichiatriche, depressione, attacchi di panico.

Nessuna differenza tra Paesi ricchi e Paesi poveri.

Decine di milioni di persone ogni anno muoiono, sempre più giovani, di malattie inesistenti 200 anni fa. Spesso dopo atroci sofferenze vissute all’interno del contesto familiare, privato, intimo.

Me ne accorgo solo io di questa pandemia? Mi accorgo soltanto io di tutto questo dolore che viene spezzettato, atomizzato, reso quasi segreto, vissuto dal singolo e dai propri cari in solitudine e in completa accettazione? Come se non si trattasse di una pandemia provocata dall’uomo stesso ma si trattasse di una maledizione del destino che fa sentire i singoli vittime e talvolta colpevoli come si sentiva lo storpio in epoche passate. Come se chi si ammala avesse torto in qualche modo.

Mi accorgo soltanto io del fallimento nel nostro modello di sviluppo che ha condotto a questa situazione ormai insostenibile? E del fallimento delle istituzioni deputate alla protezione della salute umana?

Mi si potrebbe obiettare una cosa molto semplice.

Dipende da che punto guardi la cosa.

Se la guardi dal punto di vista della ricchezza e del potere delle lobbies economiche, il modello di sviluppo non è un fallimento.

Anzi, i gruppi di potere non sono mai stati così ricchi, potenti e prosperi e non hanno mai utilizzato strumenti così sofisticati di manipolazione delle masse.

E poi mi si potrebbe obiettare anche che questo modello di sviluppo sta accompagnando le masse verso una virtualizzazione della realtà e all’interno di questa nuova realtà sempre più virtuale troverò un sacco di gente, probabilmente la maggioranza, che asserirà di stare bene.

E quindi tutto il mio discorso non tiene, perché i ricchi e potenti e la maggioranza del popolo mi dà torto. Ed accetto queste contestazioni perché nessuno può fare da arbitro in questa disputa e decidere chi ha torto e chi ha ragione.

E poi è vero.

I ricchi sono sempre più ricchi e potenti, quindi loro hanno ragione. Il modello di sviluppo per loro funziona.

Dall’altra parte, dalla parte di chi ricco non è, vediamo le persone assistere alla sofferenza e alla morte di amici e parenti, di cancro o altre malattie determinate da questo modello di sviluppo imposto, vedono i loro cari perdere il loro lavoro, si accorgono di non vedere più sorrisi nelle persone che incontrano per strada ma, dentro al loro cellulare, trovano il loro mondo compensativo. Forse non stanno bene ma trovano un loro personale conforto. Un equilibrio.

Dunque tutto questo percorso mi porta ad aver torto.

Il fatto che sia vero che, nel mondo reale, muoiono decine di milioni di persone ogni anno per malattie non trasmissibili e altrettante si ammalano di malattie psichiatriche e che sostanzialmente il tasso di mortalità non varia di molto tra Paesi ricchi, scientificamente progrediti, e Paesi poveri scientificamente arretrati, non produce una preoccupazione nel singolo individuo che sembra incline a considerare tutto questo ineluttabile, inevitabile.

Dunque, devo partire da un’altra domanda per provare a vedere se ciò che ho sostenuto finora possa, in qualche misura, reggere.

La nuova domanda è la seguente. È vero che tutto questo si può evitare?

Certo, si può evitare. La mia risposta, questa volta, esce dal terreno speculativo e trova linfa in una personale dimensione esperienziale: le campagne di modifica dello stile di vita, a cui ho dato il mio modestissimo contributo, negli ultimi quindici anni, nella realtà in cui vivo, iniziano a dare i loro frutti: diminuzione della progressione della curva di diabete e ipertensione. (Non ancora quella del cancro che si sviluppa in tempi più lunghi e richiede tempi più lunghi di prevenzione).

In generale, nel mondo, i poteri politici non danno alcun rilievo alla pandemia di cui sto parlando. Non è nella loro agenda di governo.

D’altro canto, invece, le istituzioni sanitarie mondiali e nazionali vi pongono particolare attenzione ed enfasi ma soltanto dal punto di vista della ricerca di nuovi farmaci e trattamenti. Una strategia che ha fallito.

Non lo dico io che ha fallito. Sono le stesse istituzioni sanitarie ad ammetterlo. I loro stessi dati pubblicati annualmente.

I risultati ottenuti tramite la prevenzione secondaria (check up, controlli) e tramite alcuni presidi terapeutici che hanno consentito la riduzione di certe neoplasie (esempio: stomaco, cervice) non compensano numericamente l’incremento di altre patologie tumorali.

Pertanto l’enormità di denaro e sforzi investiti nella ricerca dell’oggettività del male e dell’oggettività della cura non sta dando risultati. Se non quelli di eccessivo e totalmente ingiustificato arricchimento delle aziende produttrici di farmaci.

Guardate ai numeri di decessi. Non affidatevi alla narrazione scientifica “oggettiva”. Confrontate i decessi per cancro, ipertensione e altre patologie non trasmissibili nei vari anni e troverete la risposta.

Fate lo stesso con le malattie psichiatriche e le forme depressive.

Guardate i numeri, non affidatevi ai racconti trionfalistici degli scienziati “oggettivi”. Guardate i numeri, non le speranze che i mass media inoculano, ad arte, giornalmente spostando la vostra attenzione sulla scoperta X o sulla scoperta Y che sconfiggerà definitivamente il cancro. Guardate al vostro familiare o amico ammalato o deceduto non all’annuncio che esce dal vostro elettrodomestico che si chiama televisore.

Uscite dal virtuale per un attimo.

Controllate i numeri dei decessi e chiedetevi: davvero incideremo su questa pandemia col progresso tecnologico? Davvero scaricare un film in 6 secondi invece che in 6 minuti ci aiuterà a stare meglio?

Più semplicemente e realisticamente chiedetevi: è possibile che con una robusta, convinta campagna di prevenzione primaria (stile di vita: abitudini, attività fisica, alimentazione, supplementazione, attenzione alla sfera psichica e relazionale) possiamo incidere su questa pandemia?

Ponetevi semplicemente la domanda.

Non serve altro. Non serve che diate una risposta.

Se arrivate a porvi questa domanda vi si apriranno le porte. Tutte le porte finora rimaste chiuse.

Se vi ponete la domanda, “possiamo incidere su questa pandemia?”, avete automaticamente posto al centro della vostra esistenza il solo ed unico quesito che realmente vi appartiene: sto bene?

Se ponete al centro la sola cosa che vi appartiene diventerete dei rivoluzionari.

Perché non c’è nulla di più rivoluzionario al mondo che porre al centro sé stessi e le proprie esigenze senza lasciarci imbambolare e convincere che le nostre esigenze sono altre, che il dolore si accetta, che l’attuale modello di sviluppo ci porterà verso un futuro radioso, che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha a cuore la nostra salute, che i Governi hanno a cuore il nostro benessere. Se l’avessero, modificherebbero il modello di sviluppo. Inciderebbero sulla sola, vera, grande pandemia che l’umanità sta vivendo, coperta dal più totale, assordante, silenzio

Non esiste nessun futuro se non poniamo al centro la domanda: sto bene?

Come non esiste futuro per la zecca se non si pone la domanda: è tiepido?