Quando un giovane inizia a fare atletica l’allenatore lo fa correre e in breve nota se va bene per lo scatto o per una corsa di resistenza. Questa lotta contro l’apertura del Centro di Permanenza per il Rimpatrio a Milano ha tutte le caratteristiche di una corsa almeno di mezzo fondo.
In questi giorni in molti si sono sentiti dentro quelle gabbie, hanno ricordato le grida dei reclusi di anni fa, quando questi centri avevano altri nomi – CPT, CIE.
Molti giovani hanno colto l’ipocrisia di una città che da tante parti si dichiara “aperta e solidale”.
Mercoledì il sole aveva aiutato e il blocco immediato nei pressi di via Corelli aveva avuto effetto.
Oggi la pioggia battente fin dal mattino ha complicato le cose. Un presidio nei pressi della Prefettura, molta polizia, alcune centinaia di attivisti e attiviste. Grande fatica a riconoscersi tra occhiali appannati, ombrelli, cappucci e mascherine.
Dal microfono parole dure di denuncia per quello che è un carcere, dove si è privati di diritti solo perché privi di un pezzo di carta. Era importante esserci oggi, seppur per poco, perché si è capito che la lotta sarà dura e lunga, che oggi è solo un passo, ma bisogna riallargare il cerchio come si era riusciti a fare due anni fa alla formazione della rete Mai più Lager No CPR, con centinaia di adesioni.
Da domani bisogna tornare a tessere, a coinvolgere, a convincere.
In questo momento la maggioranza è silenziosa: va stanata, deve esprimersi, prendere posizione. E in questo caso sarà bene essere chiari: o si è favore o si è contro, non esistono mezze misure.
Martedì prossimo alla riunione della rete si decideranno i prossimi appuntamenti: partecipate, seguitela via Facebook, come credete meglio, ma la prossima volta bisognerà essere di più e crescere fino a quando questo frutto avvelenato marcirà e finirà nelle vergogne della storia.