L’istituzione di un tribunale penale internazionale per crimini di guerra e passi “finalmente concreti” per mettere fine alle violenze di esercito e gruppi ribelli, anche sostenuti da potenze straniere, che da oltre 20 anni provocano traumi difficili da rimarginare nella Repubblica Democratica del Congo. Sono le richieste rilanciate oggi dall’incontro ‘Rd Congo, crimini di guerra e impunità. A dieci anni dal Rapport Mapping: Quale via per la pace?‘, promosso dalla rivista dei missionari comboniani Nigrizia con la comunità congolese in Italia e ospitato dall’agenzia Dire.
Il documento delle Nazioni Unite, 550 pagine firmate da 33 esperti dopo due anni di lavoro, è stato pubblicato il primo ottobre 2010. All’interno, resoconti dettagliati dei crimini di guerra e contro l’umanità che tra il 1993 e il 2003 causarono la morte di circa sei milioni di persone e centinaia di migliaia di sfollati. A dieci anni dalla pubblicazione del rapporto le violenze non sono ancora cessate e la popolazione “è stanca”, ha denunciato l’attivista per la pace John Mpaliza, uno degli animatori dell’iniziativa. Solo nella notte tra venerdì e sabato scorsi, ha ricordato Vincenzo Giardina, giornalista moderatore dell’incontro, 20 persone sarebbero state uccise in scontri seguiti a un’incursione di ribelli nella città di Lubumbashi, nella regione del Katanga, una delle casseforti minerarie del Congo.
A pagare il prezzo della guerra sono soprattutto le donne. Stando a dati della Monusco, la missione di pace della Nazioni Unite in Congo, nel 2019 nelle regioni orientali di Nord e Sud kivu, Maniema e Ituri sono stati documentati 1.409 casi di violenze sessuali legate direttamente al conflitto, con un aumento di oltre un terzo rispetto all’anno precedente. “Sappiamo tutti che la donna contribuisce in modo unico alla realizzazione del bene comune, ma se è violentata, vittima di tratta e schiavitù, se la sua dignità è ferita, cosa le rimane?” ha chiesto Brigitte Kabu, rappresentante della comunità congolese in Italia.
La priorità, è stato sottolineato durante l’incontro, è mettere fine alle violenze. Per ottenere la pace però è necessario anche fare giustizia rispetto ai crimini del passato. Mpaliza, origini congolesi, una vita in italia, ha rivolto un appello: “Pensavamo che essere vittime sarebbe bastato ad avere giustizia ma non è stato cosi’. Dobbiamo svegliarci e pretendere l’istituzione di un tribunale penale internazionale come quelli già creati per il ruanda o i paesi dell’ex jugoslavia”. L’attivista ha rilanciato così il messaggio rivolto alla comunità internazionale da Denis Mukwege, ginecologo congolese insignito nel 2018 del Premio Nobel per la pace per via dell’impegno nella sua clinica a Bukavu e le denunce dello stupro utilizzato come arma di guerra.
A ribadire l’urgenza di istituire una corte internazionale la parlamentare Michela Montevecchi, membro della Commissione straordinaria del Senato per la tutela e la promozione dei diritti umani. Montevecchi ha riportato le parole del ministro degli Affari esteri Luigi Di Maio, “sollecitato più volte dalla commissione sulla situazione in Congo”. Il ministro, ha sottolineato Montevecchi, “ha manifestato il sostegno dell’italia alle popolazioni vittime di violenza nelle regioni orientali del Congo e il sostegno al presidente Felix Tshisekedi nel processo di pacificazione, stabilizzazione e miglioramento della situazione dei diritti umani nel Paese”.
Ad alimentare il conflitto in Congo è però soprattutto la competizione per le risorse minerarie, ha sottolineato Lia Quartapelle, deputata membro della Commissione esteri della Camera. Su questo aspetto, secondo Quartapelle, il Rapporto Mapping ha avuto un impatto “positivo”, spingendo “il Parlamento europeo ad adottare un regolamento per la tracciabilità dei minerali che provengono da terre di conflitto”.
Da’ speranza poi l’impegno della società civile congolese, ha evidenziato il direttore di Nigrizia, padre Filippo Ivardi Ganapini. “Nonostante l’acclamato tradimento da parte del governo – ha detto – molti attivisti e blogger, e penso anche ai giovani dei movimenti della società civile come Lucha e Filimbi, stanno dando la vita nella lotta”.