Per me la rivoluzione ambientale è un mosaico di molte cose; ci sono però delle premesse necessarie e a mio avviso quella principale è il sentimento, il sentimento di amore verso la natura, il desiderio di difenderla, di proteggerla, di volerla preservare. Specialmente per noi italian* che viviamo in ambienti naturali così belli è facile fin da bambine, fin da piccoli, provare un sentimento di comunione con la nostra terra, con la bellezza. Ho vissuto spesso all’estero, gli italiani sono rinomati per il loro senso del bello, per il loro senso estetico e ho sempre pensato che questo ha origine dall’abitare in un paese dove la bellezza è imperante. Ma c’è un altro aspetto altrettanto importante; chi non ha provato un senso di rigenerazione, di serenità in un ambiente naturale? Quanti di noi in momenti di difficoltà, di confusione si sono rifugiate in un ambiente naturale in cerca di pace per poi ritornare alla propria vita rinfrancate? Mantenere questo legame di comunione, di rigenerazione con la natura a livello personale è necessario perché le scelte politiche, le scelte economiche portano spesso a sacrificare gli interessi della natura, a non metterla al centro delle preoccupazioni. Tocca a noi allora riportarla al centro delle questioni e difenderla, forti del legame che con lei abbiamo nutrito negli anni.
L’altra premessa necessaria al consolidarsi della rivoluzione ambientale è affrontare il sentimento dell’impotenza che è molto diffuso oggi nella nostra società. Un sentimento paralizzante, giustificato dal fatto che viviamo in un mondo dove regna la complessità e questa consapevolezza, diventa un sentimento che paralizza ogni impulso che proviamo di rabbia, di sdegno che se lasciato a sè stesso ci porterebbe ad attivarci. Quelle persone che hanno avuto la fortuna fin da giovani di essere attivisti per il bene comune o per una causa, nel corso degli anni hanno imparato che essere goccia insieme ad altre gocce fa un mare, nel tempo con le loro esperienze hanno imparato a identificarsi non con la goccia ma con il mare.
Sei anni fa quando ho avuto l’occasione di intervistare brevemente Vandana Shiva le chiedevo come è possibile che una persona come lei una donna, indiana, che ai blocchi di partenza aveva dalla sua solo il sostegno della famiglia e un’ottima istruzione fosse riuscita ad arrivare ad essere considerata una tra le cinque persone più influenti in Asia? Vandana da 30 anni combatte senza mai tirarsi indietro, senza sosta, indomabile, contro le grandi corporazioni del cibo, la Monsanto, la Danone, la Dupont, la Bayer che l’hanno più volte non solo screditata scientificamente- perché calunniare è una pratica all’ordine del giorno- ma anche minacciata di morte. Vandana all’inizio era sola nelle sue battaglie ma via via negli anni, grazie alla sua instancabile attività di conferenziera in giro per il mondo, è riuscita a coagulare attorno a sé numeri sempre più grandi di persone. Quando poi ho riflettuto sulla mia domanda e sulla sua risposta ho capito che la sua forza le veniva proprio dal fatto di essere un’indiana, di appartenere a un popolo che aveva sperimentato nella sua storia recente che Davide può sconfiggere Golia. Il Davide della loro storia è stato Gandhi che da solo è riuscito a mobilitare un numero tale di persone che hanno portato alla scacciata dell’impero inglese dall’India dopo 30 anni di lotte nonviolente e di disobbedienza civile.
Quando sempre più persone usciranno dallo stato di impotenza potremmo assistere ad un cambiamento veramente importante: il risorgere, la rinascita della società civile. Una rinascita che abbiamo già potuto constatare da qualche anno, porto solamente due esempi. Quando in Italia un paio d’anni fa sono cambiate le politiche migratorie e il Governo si è rifiutato di attivarsi per salvare la gente a mare e poi quando si è rivolto ai paesi europei perché ci aiutassero ad accogliere i migranti e l’Europa cinicamente ci gira le spalle, molte persone e anche istituzioni si sono attivate perché non volevano essere complici di queste politiche ciniche e hanno raccolto fondi, dalla Francia alla Germania, all’Italia hanno comprato le navi che sono andate poi nel Mediterraneo a salvare i migranti.
Un esempio più recente del risveglio della società civile si è visto quest’estate; dopo l’uccisione di George Floyd gli afroamericani sono scesi per le strade e le proteste hanno attraversato l’America. L ’ingiustizia razziale è un male che va combattuto unendo le forze. Le proteste dei Black Lives Matter hanno visto molti bianchi unirsi alla gente di colore nelle città americane; da Minneapolis a Portland le proteste si sono protratte per giorni, settimane, mesi perché le disuguaglianze e l’ingiustizia sociale non colpiscono solo la gente di colore, di certo il razzismo non si limita al colore ma colpisce anche lo status sociale di una persona. Anche i poveri sono ghettizzati e discriminati, sono d’accordo con quegli autori che affermano che è in corso una guerra mondiale contro i poveri.
La società civile dovrà affrontare più nodi fondamentali: l’ingiustizia, la disuguaglianza, il razzismo che imperversano nel nostro sistema sociale. Il nostro sistema economico è tale che non può non produrre disuguaglianza sociale, fatto ben noto agli economisti e ai politici, ecco perché si danno tanto da fare per parlare di crescita sostenibile, crescita a lungo termine, crescita dolce. Nel 2012 ha fatto molto discutere il libro “L’economia della ciambella” di una economista di Oxford che si è dissociata dai suoi colleghi, sto parlando di Kate Raworth. Ha messo a punto un sistema economico in cui dobbiamo prendere in considerazione da una parte i limiti imposti dal nostro sistema ambientale, limiti che ci impongono di non gettare più di tot liquidi nei mari per contenere l’acidità, limiti che ci impongono di non versare nell’atmosfera più di tot carbon ossido per non aumentare il surriscaldamento e via dicendo. Dall’altra le politiche economiche devono garantire ai cittadini i loro diritti fondamentali : “ E’ tempo che gli economisti si scostino da quel principio che ha governato l’economia di questi ultimi 70 anni e che ha dato per scontato che tutti i progetti economici devono tendere alla crescita. Gli economisti devono accettare i segnali che vengono chiari da più parti, che ci dicono che si deve fare i conti con i limiti che il nostro pianeta ci pone e dall’altra bisogna fare i conti con le ingiustizie che il nostro sistema economico produce inevitabilmente. Bisogna assicurare che le persone, i cittadin* abbiano garantiti i loro diritti, il diritto a un’istruzione, a una casa, a un’assistenza sanitaria, diritto alla salute mentale, a una vita sociale, alla salute insomma”.
E’ per questo io credo che l’ultimo Nobel per l’economia è stato assegnato a tre economisti, Esther Duflo, una francese, la più giovane studiosa a ricevere un Nobel, insieme al marito indiano Bannerjee e un collega americano M. Kremer, insieme hanno messo a punto tutta una serie di strategie per affrontare la povertà partendo da presupposti completamente diversi da quelli che hanno animato le politiche governative negli ultimi 60 anni, che non hanno portato nessun risultato. Sono segnali questi per i nostri governi, per dare una direzione.
Io sono convinta che i movimenti ambientalisti di Extinction Rebellion e di Fridays for Future porteranno a un cambiamento epocale, esattamente come cinquant’anni fa nel ‘68 i movimenti studenteschi, gli operai, i movimenti delle minoranze etniche, i movimenti femministi hanno innescato un cambiamento sociale e culturale notevole. I movimenti ambientalisti di oggi sono nonviolenti e nelle loro proteste si attengono ad azioni di disobbedienza civile, non solo, si adoperano per mettere in pratica tra di loro una comunicazione che non sia violenta, nell’intento di creare oggi, prima possibile, la società del domani.
[to be continued]
Nota: nell’articolo ho alternato desinenze femminili e maschili ai sostantivi e aggettivi per ovviare alle ripetizioni e all’uso eccessivo dell *