Le parole che seguono sono frutto di scopiazzamenti vari e idee personali già espresse mille volte in queste pagine. Scopiazzamenti vari dei quali non riferirò l’autore né la fonte, perché andarli a cercare è un lavoraccio. Nessuno sa se le immagini divulgate su youtube si riferiscano a quello che è successo o invece siano avulse, senza nessuna relazione con gli incendi del Pantanal.
https://www.youtube.com/watch?v=BSVIP5AExWo
Il Pantanal continua a bruciare. Venti per cento del suo territorio è andato distrutto. I satelliti dell’Istituto di Ricerca Spaziale, sono capaci di individuare il punto esatto e il momento in cui il fuoco è cominciato, la Polizia Federale ha le prove per accusare cinque grandi proprietari terrieri di aver dato inizio all’incendio. E poi queste immagini di youtube: un trattore a trascinare un bidone di benzina in fiamme sulla sterpaglia rinsecchita da mesi di siccità. Non importa se il filmato sia inerente al fatto, ma questa è la tecnica usata per dar fuoco a una delle riserve ambientali più grandi del mondo. Il motivo è preparare il terreno per nuovi pascoli. Disboscare, uccidere fauna, flora, distruggere il micro e il macroclima legato al ciclo delle acque per preparare il terreno al bestiame. Una azione non solo tollerata, ma addirittura incentivata dal governo e dalle parole presidenziali, più volte riportate in queste pagine. Ma, a proposito di parole presidenziali, tra le tante, proferite in questi due anni di mandato, voglio ricordare una frase che, già di per se abominevole, col passare del tempo si è trasformata in una specie di slogan silenzioso, una dichiarazione di intenti, un cammino da percorrere. Era il 2016 e il paese attraversava un dei periodi più neri, il governo della presidente Dilma veniva deposto attraverso un golpe bianco, in cui le regole della politica erano sovvertite da quelle del lawfare. In parlamento si votava l’esonero della presidente, ogni deputato dichiarava a gran voce il suo voto, ma non solo, dichiarava il motivo del suo voto: il paese assisteva allo show di orrori, alla corte dei miracoli di una politica infame, di slogan da osteria, pacchie, pacche, parolacce da ubriachi, risate e improperi che si susseguivano, come quel bidone di benzina in fiamme e la sua scia di morte, moriva la democrazia. Venne il turno di Jair Bolsonaro, un oscuro deputato conosciuto più per le sue partecipazioni a programmi televisivi pomeridiani in cui inveiva contro il mondo, che per il suo lavoro parlamentare. Prese il microfono e disse; “Per la famiglia, per l’innocenza dei bambini, contro il comunismo, per la nostra libertà, in memoria del colonnello Carlos Alberto Brilhante Ustra, il terrore di Dilma Rousseff… il mio voto è Sì”. Il colonnello alla cui memoria Bolsonaro dedica il suo voto favorevole all’impeachment, fu uno dei più noti ed esecrabili torturatori brasiliani. La presidente Dilma era appesa a un palo, legata mani e piedi, nuda. Il colonnello la ridusse a un pezzo di carne. Abitualmente usava fili elettrici, topi, scarafaggi, serpenti e perfino un coccodrillo vivo. Faceva assistere i figli delle vittime alle torture dei loro genitori, violentava o faceva violentare i figli delle vittime davanti ai loro genitori. Faceva sparire i cadaveri bruciandoli in forni crematori o smembrandoli e gettandone i resti in fosse comuni. Il colonnello Ustra è morto qualche anno fa senza aver mai pagato per i suoi crimini, protetto dalla legge dell’amnistia che equiparava i militari assassini a chi a loro si opponeva, come fece Dilma Rousseff.
Il deputato Bolsonaro da quel momento in poi, da quel momento in cui dedicò il suo voto a un torturatore, cominciò a crescere nei sondaggi per la prossima elezione presidenziale. E venne eletto con 57 milioni di voti. Le sue parole contro l’ordine democratico, contro l’opposizione, le sue parole di disprezzo verso chi lavora per attenuare la pandemia, le sue azioni di incentivo alla propagazione del contagio e di dispregio verso i morti, vengono applaudite da legioni di fanatici, così come è stato applaudito il suo disastroso discorso di apertura dell’assemblea delle Nazioni Unite, qualche giorno fa. Nonostante molti giornalisti abbiano tentato di spiegare alla popolazione punto per punto ogni menzogna detta in quella sede, la popolazione continua ad applaudirlo, e la rivista Time lo ha collocato nella lista delle 100 personalità più influenti del mondo. La filosofa Marcia Tiburi dice che il Brasile vive la sindrome di Stoccolma. Io dico di più, Bolsonaro è il nuovo colonnello Ustra, è il torturatore nazionale. Bolsonaro usa la perversione come tattica e tecnica di governo. La antropologa Lilia Schwarcz scrive che “Bolsonaro non incentiva al golpe di stato, è lui stesso il golpe”.
Due anni fa, subito dopo le elezioni scrissi che in Brasile c’erano 57 milioni di persone pronte a torturarmi e ad uccidermi. E oggi lo ripeto. Il Brasile è a pezzi, gli organi di controllo sull’ambiente sono stati smontati sistematicamente attraverso la sostituzione dei dirigenti e il cambiamento delle loro funzioni, oppure, in molti casi, con la loro estinzione. Le università sono il prossimo bersaglio. La sospensione degli stanziamenti di fondi, la persecuzione sistematica ai professori, i rettori non più nominati dai loro pari ma dal governo, le associazioni degli studenti criminalizzate. Bolsonaro cominciò la sua campagna elettorale in parlamento elogiando a gran voce un torturatore. Invece di uscire dall’aula in manette, è stato applaudito da gran parte dei suoi colleghi. La perversione del potere si mostra oggi in tutta la sua potenza, e Bolsonaro può finalmente torturare personalmente un intero paese.