A luglio avevamo promesso che avremmo portato gli aquiloni davanti al consolato dell’Egitto a Milano e così abbiamo fatto.
Sfidando previsioni meteo minacciose e soprattutto un’attenzione politica che sembra sempre più concentrata sul nostro misero orticello, ce l’abbiamo fatta.
Varie associazioni e gruppi avevano aderito, alcune hanno anche partecipato e sono intervenute. Una quarantina di persone ben coscienti della violenza che il governo egiziano produce in quel paese, coscienti che conosciamo Giulio Regeni e Patrick Zaky solo perché italiano l’uno e perché ha studiato in Italia l’altro, ma quanti altri sono stati uccisi o incarcerati semplicemente perché oppositori o spiriti liberi che credevano di avere dei diritti? Blogger, videomaker, attivisti continuano a finire in carcere. Uno stillicidio.
E’ stata ricordata piazza Tahrir, la primavera egiziana, la piazza invasa da migliaia di giovani, la speranza, la repressione. La fatica a rialzarsi ora.
Laggiù, un governo che vorrebbe lavare i propri panni sporchi in casa e qui invece una piccola piazza che denuncia a migliaia di chilometri di distanza che noi sappiamo, ricordiamo, continueremo a dirlo. Si è ricordato e gridato a chi lavora nel consolato egiziano che si sappia, che lo riportino: che qui in Italia li guardiamo, ascoltiamo e raccogliamo le voci di chi viene incarcerato. Lo ha ricordato bene Amnesty International.
In piazza è stato disegnato il volto di Patrick su fogli e aquiloni, lasciati poi come monito a guardare dall’alto verso il consolato.
E poi la musica della Banda degli Ottoni che rende viva qualsiasi piazza, qualsiasi presidio, che unisce i nostri vecchi canti partigiani o anarchici alle lotte in paesi lontani.
Infine, visto che gli aquiloni non ne volevano sapere di volare, abbiamo fatto volare decine e decine di comete colorate.
Non è una strada facile.
Dalla “nostra parte” abbiamo un governo che non ha esitato a fare affari vendendo armi all’Egitto per miliardi di euro, una vergogna colossale che è stata ben descritta.
Ancora una volta Pressenza, insieme a tanti altri, ha fatto la parte di quel colibrì del racconto. Quel colibrì che col becco pieno d’acqua correva in direzione contraria alla gran parte degli animali in fuga di fronte all’incendio nella foresta. Il leone gli chiese al volo: “Cosa fai?” Lui, con l’acqua nel becco riuscì a bofonchiare: “Faccio la mia parte”.
La strada è lunga, in salita e i mezzi sono pochi, ma la direzione è quella giusta.
Libertà per tutti i prigionieri politici e le prigioniere politiche.
Foto di Andrea Colombo e Rosetta Penna