Il riciclo dei rifiuti da imballaggi, che in Italia rappresentano il 25% del totale dei rifiuti urbani è in costante crescita e ha raggiunto il 70% del totale dei rifiuti da imballaggio. Nel solo 2019 sono stati riciclati 9 milioni e 560mila tonnellate di imballaggi sui 13 milioni e 655mila immessi al consumo. Per il Consorzio nazionale Imballaggi (Conai) si tratta di un incremento, trainato essenzialmente da un aumento nel riciclo dei rifiuti provenienti dalla raccolta urbana, del 3,1% rispetto ai quantitativi del 2018, che aveva visto l’avvio a riciclo di 9 milioni e 270mila tonnellate di imballaggi. “Il sistema nel suo complesso ha già superato gli obiettivi di riciclo che l’Europa chiede entro il 2025 – ha spiegato il presidente del Consorzio Giorgio Quagliuolo in agosto commentando i dati a consuntivo del 2019 – L’economia circolare in Italia funziona e si impone per l’efficacia del suo modello. Anche i risultati per i sei materiali di imballaggio che Conai gestisce sono molto positivi: per quasi tutti gli obiettivi al 2025 sono stati superati. Manca solo la plastica, che però resta indietro di pochi punti percentuali, serenamente recuperabili nel corso dei prossimi cinque anni. Per questo è importante continuare a lavorare sia sulla strada dello sviluppo di nuove tecnologie per il riciclo, sia su quella della prevenzione, incentivando eco design e design for recycling”.
Insomma sarebbe importante, per fare un salto di qualità, che i prodotti per l’imballo fossero per legge e quando possibile, sempre progettati per essere facilmente riciclati. Intanto lo scorso anno l’Italia ha avviato a riciclo 399.000 tonnellate di acciaio, 51.000 di alluminio, 3 milioni e 989.000 di carta, 1 milione e 997.000 di legno, 1 milione e 54.000 di plastica e 2 milioni e 69.000 di vetro, tutto grazie all’impegno di oltre 58 milioni gli abitanti e all’accordo con l’Associazione nazionale Comuni Italiani (Anci) per il ritiro dei rifiuti da imballaggio in modo differenziato. A stipulare convenzioni con il Conai, lo scorso anno, è stato più del 92% dei Comuni italiani permettendo nel 2019 di far crescere del 14,3% i quantitativi di rifiuti da imballaggio conferiti dal sistema dai Comuni italiani. “Un incremento notevole”, ha commentato Quagliuolo al quale ha contribuito anche lo sprint delle macro-aree geografiche del Centro e del Sud, che hanno messo a segno rispettivamente un +16,4% e un +16% di raccolta in convenzione. Crescono in particolare la raccolta della plastica, che al Centro passa da 237.000 a 268.000 tonnellate e a Sud da 362.000 a 442.000, e quella del vetro, che balza da 314.000 a 364.000 tonnellate nel Centro e da 472.000 a 541.000 tonnellate nelle Regioni del Sud.
Ma quanto ci costa questa virtuosa economia circolare? Nel corso del 2019 il Conai ha trasferito ai Comuni del nostro paese 648 milioni di euro. “Stiamo parlando di una percentuale significativa della spesa sostenuta per la raccolta differenziata degli imballaggi che, rispetto al totale dei rifiuti urbani, rappresentano una percentuale che oscilla fra il 25% e il 28%”, ha spiegato Quagliuolo. “Si tratta di risorse provenienti dalle 800.000 aziende che, aderendo al Consorzio, si fanno carico della responsabilità di una corretta gestione degli imballaggi che immettono sul mercato, quando questi diventano rifiuti”. Altri 421 milioni di euro sono stati invece destinati dal Conai alla copertura dei costi per attività di trattamento, riciclo e recupero. Nel complesso però, i costi effettivi della raccolta differenziata ammontano a oltre 2 miliardi di euro l’anno e secondo l’indagine condotta dall’AgCom nel 2016 “il finanziamento da parte dei produttori attraverso il sistema Conai dei costi della raccolta differenziata non supera il 20% del totale, laddove invece, dovrebbe essere per intero a loro carico”.
Che fare? Per rendere l’economia circolare italiana non solo efficace, ma anche sostenibile è tempo di incentivare anche la domanda di materiali riciclati, altrimenti il sistema non potrà reggere per sempre. I metodi posso essere diversi, tramite ad esempio l’Iva più bassa su prodotti da riciclo, crediti d’imposta ad hoc (molti già varati, ma non sempre operativi a causa di mancanza dei decreti attuativi) e soprattutto attraverso un’effettiva applicazione degli acquisti verdi. Il Green Public Procurement (Gpp), ovvero gli acquisti pubblici verdi della pubblica amministrazione, sono dal 2016 un vanto della normativa italiana e sono stati introdotti in tutte le procedure d’acquisto pubblico di servizi e prodotti. All’atto pratico, però, il Gpp rimane ancora legato a quote risibili sugli acquisti effettivi della pubblica amministrazione, limitando di fatto quello che potrebbe (e dovrebbe) essere uno dei principali motori della green economy nel nostro Paese. Eppure il focus Censis – Confcooperative “Smart&Green, l’economia che genera futuro”, lo scorso anno ha stimato che da qui al 2023 ogni 5 nuovi posti di lavoro creati dalle imprese presenti in Italia sarà generato da aziende attive in ambiti green. In termini assoluti si tratta di 481.000 posti di lavoro che non arriveranno da soli, senza investimenti e una riqualificazione anche della spesa pubblica. Per Confcoperative “Incoraggiare gli acquisti green fa bene alle imprese, all’economia e all’ambiente se pensiamo che nello scenario di riscaldamento globale le stime dei danni da disastri climatici nei paesi del G20 sono pari a oltre il 4% del loro Pil“.
Incoraggiare l’economia verde, quindi, è un investimento, non una spesa, così come prevedere dei meccanismi di incentivi e dei premi di produttività per le imprese più impegnate nella sostenibilità e nella creazione di occupazione green. In questa cornice la qualità della spesa pubblica deve essere un volano di sviluppo sostenibile. Un esempio arriva dalla plastica riciclata: secondo Confcooperative “La plastica riciclata può dare vita a oggetti green che possono essere inseriti tra gli acquisti della pubblica amministrazione, la cui spesa annuale ammonta a oltre 170 miliardi. Se di questi se ne destinassero 20 miliardi, attraverso gare di appalto, all’acquisto di prodotti nati da plastica riciclata, si genererebbe nuova occupazione, che tra filiera diretta e indiretta, creerebbe lavoro per circa 80.000 persone in meno di 3 anni”. Un bel modo di ripartire post Covid-19, no?