Lo scorso 6 agosto, un sondaggio realizzato da M&R Consultores segnalava che il 50,2% dei nicaraguensi giudicava con favore l’operato del governo di Daniel Ortega e del Frente Sandinista de Liberación Nacional (Fsln).
A seguito delle rivelazioni, all’inizio di luglio, del programma “Sin Fronteras” diretto dal giornalista William Grigsby, che su Radio La Primerísima rese note le prove del finanziamento statunitense ai gruppi di opposizione (oltre 28 milioni di dollari tra il 2017 e 2018) e un piano dettagliato per far cadere il governo sandinista, oltre il 77% degli intervistati si dichiarava contrario ad un cambio di presidenza a Managua.
Eppure le contraddizioni attuali del sandinismo sono molteplici, nonostante l’adesione del Nicaragua all’Alba e la retorica antimperialista spesso ancora utilizzata da Ortega. L’orteguismo ha finito per fare un solo boccone degli ideali che avevano portato la lotta sandinista, tra fine anni Settanta e inizio anni Ottanta, a rappresentare una speranza per l’intera America latina. All’interno del Frente predomina una strategia verticale e coloro che si definiscono sandinisti, ma non orteguistas, sono stati progressivamente emarginati a seguito delle proteste per i legami tra la coppia presidenziale Ortega-Murillo e il grande capitale.
Chi si dichiara sandinista, ma contrario all’orteguismo, fa rilevare una situazione disastrosa a livello economico e sanitario, tanto da paragonare l’orteguismo al somozismo. Ad esempio, alcuni dei veterani delle battaglie antismoziste sono fermamente convinti che l’unico interesse di Ortega e Murillo sia quello di perpetrarsi all’infinito al potere. La situazione è talmente paradossale che Ernesto Cardenal, deceduto recentemente, dopo aver sperimentato sulla propria pelle la persecuzione da parte del somozismo, è stato costretto a guardarsi da Daniel Ortega, di cui aveva denunciato la vicinanza con l’oligarchia imprenditoriale e la “deriva messianica”, a cui ha contribuito la moglie, e vicepresidenta, Rosario Murillo, fin dagli anni Novanta. Nonostante i tre giorni di lutto nazionale dichiarati dal governo, sono stati in molti gli orteguistas che, in occasione della cerimonia funebre nella cattedrale di Managua, lo hanno accusato di essere un traditore e attaccato amici e conoscenti dell’ex ministro della cultura sandinista presenti al funerale. Tra le colpe principali di Cardenal, per le turbas orteguistas, vi era la denuncia di “autoritarismo” rivolta ad Ortega
Secondo Erika Guevara Rojas, responsabile di Amnesty International per l’America latina, l’attuale governo sandinista viola i diritti umani. A farne le spese, per Amnesty, quei campesinos che reclamano diritti e giustizia e che, una volta, avrebbero rappresentato le basi di appoggio del sandinismo, ma al giorno d’oggi denunciano la violenta repressione da parte dell’orteguismo, a partire dalla proteste di contadini e movimenti sociali contro il controverso progetto del canale interoceanico. L’esilio dei campesinos verso altri paesi, a seguito delle persecuzioni politiche, hanno rappresentato una costante negli ultimi anni della storia politica del Nicaragua.
Il Movimiento Campesino ha iniziato ad entrare in rotta di collisione con il presidente Ortega a partire dal 2013, quando il governo varò una legge che intendeva espropriare delle proprie terre almeno trecentomila famiglie contadine.
In occasione della crisi politica del 2018, quando Ortega sembrava sul punto di cadere, furono numerosi i contadini uccisi, ma nonostante tutto il Movimiento Campesino ha proseguito nelle sue battaglie “porquè no podemos quedarnos callados”.
Attualmente, alla “Coalición Nacional” contraria a Ortega-Murillo appartengono studenti, contadini, movimenti indigeni, collettivi femministi, vittime della repressione, ma anche partiti politici tradizionali, ex combattenti della contra e altri gruppi di ambigua provenienza. L’eterogeneità della coalizione anti-orteguista, che va dagli studenti fino alla destra nicaraguense, la quale, se giungesse al potere con il sostegno degli Usa, non si comporterebbe in maniera tanto differente dal cosiddetto frente danielista, è servito alla coppia Ortega-Murillo per delegittimare una volta di più l’opposizione, di fronte al paese e alla comunità internazionale, nonostante nelle sole manifestazioni del 2018, secondo la Comisión Interamericana de Derechos Humanos, abbia provocato almeno 328 morti e quasi 90.000 esiliati.
Se studenti, movimenti sociali, contadini e comunità indigene aspirano a democratizzare il Nicaragua, lo stesso non si può dire per altri settori della Coalición Nacional, ad esempio il Partido Liberal Constitucionalista (PLC), ancora oggi nelle mani dell’ex presidente Arnoldo Alemán, protagonista di un accordo politico che ha spianato la strada verso il potere allo stesso Ortega.
Il Centro Nicaragüense de Derechos Humanos (Cenidh) sottolinea che tra il 2008 e il 2017 sono stati assassinati 25 leader contadini fatti passare dal governo come morti dovute a scontri tra bande criminali rivali secondo una tecnica non troppo diversa da quella dei falsos positivos messa a punto dal governo colombiano. Accusati di essere legati al narcotraffico o alla delinquenza comune, alcune uccisioni di oppositori dell’orteguismo sono state giustificate in questo modo dal governo.
Anche il Grupo Interdisciplinario de Expertos Independientes (GIEI) ha espresso preoccupazione per la repressione messa in atto dal Nicaragua, eppure anche sotto questo punto di vista, come per molti altri aspetti, le opinioni sull’attuale sandinismo sono molto diverse. I sostenitori del governo nicaraguense, in patria e fuori, sostengono che a rendersi protagonista di azioni violente e criminali è stata la destra golpista e denunciano l’”industria dei diritti umani” promossa in Europa e negli Stati uniti per delegittimare Ortega, soprattutto a seguito della recente diffusione di un corposo documento in cui si gettano le basi per mettere nelle mani di un’azienda specializzata un piano volto a sovvertire l’ordine pubblico in Nicaragua e far cadere il governo tramite un colpo di stato.
“Chi dà il diritto agli Stati Uniti di contrattare qualcuno per sovvertire l’ordine pubblico di un paese?” si è chiesto Grigsby su Radio La Primerísima segnalando, sul libro paga dell’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (USAID), anche la presena del Movimento per il Nicaragua MpN, di Hagamos Democracia, della Fondazione Violeta Barrios de Chamorro, dello stesso Movimiento Campesino e di altre numerose sigle.
Preda di enormi contraddizioni, oggi il Nicaragua si trova stretto tra l’autoritarismo orteguista, i tentacoli di una parte, poco credibile, dell’opposizione, che vuol cacciare Ortega solo per esercitare il potere al suo posto (identificabile nei partiti della destra tradizionale), probabilmente con il sostegno degli Usa, e coloro che si riconoscono in quei valori del sandinismo che sembrano non albergare più, da tempo, sia al palazzo presidenziale di Managua sia tra i vertici del Fsln e rappresentano forse la maggioranza.
Il futuro del paese di preannuncia nebuloso e di difficile interpretazione, ma l’orteguismo non è il sandinismo.