Il 1° agosto 2017 il ragazzo fu ucciso a seguito dell’attacco poliziesco alla comunità mapuche. Pablo Noceti, insieme alla ministra della Sicurezza macrista, avrebbe obbligato gli agenti a non rivelare quanto accaduto all’epoca dei fatti, ma l’inchiesta si è bloccata di nuovo e il caso è stato chiuso per la 2° volta.
Gli agenti che parteciparono all’attacco contro la Resistencia Ancestral Mapuche, conclusasi il 1° agosto 2017 con l’uccisione dell’attivista Santiago Maldonado, sarebbero stati sottoposti a torture, privati del sonno e sottoposti a minacce di ogni tipo affinché, nei giorni successivi all’omicidio del giovane simpatizzante della causa mapuche, dessero una versione dei fatti edulcorata e non corrispondente a quanto realmente accaduto. Il ragazzo argentino, di 28 anni, aveva partecipato alla manifestazione della comunità mapuche Pu Lof nella provincia di Chubut (dipartimento di Cushamen) per il diritto alla terra, repressa con violenza dalla polizia.
A rivelarlo al quotidiano argentino Página/12 è stata Rosa Alves, sottosegretaria alla Trasparenza istituzionale del Ministero della Sicurezza di Sabina Frederic, a seguito dell’indagine promossa dalle attuali autorità della Gendarmeria nei confronti di Pablo Noceti, ex capo di gabinetto di Patricia Bullrich, ministra della Sicurezza all’epoca della presidenza di Mauricio Macri.
Secondo quanto sostiene Rosa Alves, sono stati alcuni degli stessi agenti che avevano partecipato allo sgombero dei picchetti mapuche a denunciare di esser stati costretti a dichiarare il falso di fronte alla Giustizia “perché altrimenti il kirchnerismo e le organizzazioni per i diritti umani avrebbero accusato la polizia di aver creato un nuovo caso di sparizione”. Adesso, l’attuale ministero della Sicurezza vuol invece fare piena luce sull’omicidio di Maldonado (il suo corpo fu ritrovato 78 giorni dopo il 1° agosto 2017) e sulle violenze commesse dagli agenti.
Le accuse di Rosa Alves sono pesanti perché mettono fortemente in discussione l’operato di Noceti, ma soprattutto di Patricia Bullrich, dalla quale quest’ultimo dipendeva. L’indagine condotta da Felix Crous, attualmente titolare dell’ Oficina Antocorrupción, ha scoperto in breve tempo che l’inchiesta interna condotta dalla Gendarmeria era carente sotto molteplici punti di vista, tra negligenze ed errori che avevano permesso di mettere subito a tacere le responsabilità della polizia. Inoltre, è emerso che l’intento dei vertici della Gendarmeria era quello di “dare una lezione ad un movimento terrorista” (così era definita la resistenza mapuche). Senza un ordine proveniente dalle autorità politiche di allora, quell’operazione di forza per sgomberare i mapuche non avrebbe potuto avvenire. Ci fu, quindi, un mandato politico, proveniente da Patricia Bullrich, affinché gli agenti fossero autorizzati all’uso della forza.
Pablo Noceti è stato denunciato dall’attuale governo argentino per le sue responsabilità nella morte di Santiago Maldonado. Noceti impartì ordini “inefficaci e illegali” per organizzare la repressione contro la comunità Pu Lof di Cushamen. Insieme a lui, sono coinvolti nell’indagine anche Gerardo Otero, ex direttore della Gendarmeria, e coloro che dettero ordine di attaccare con violenza i mapuche, in particolare Diego Balari, Fabián Méndez e Juan Pablo Escola. “Prima di consegnare il mio cellulare agli inquirenti lo rompo in mille pezzi”, avrebbe dichiarato Pablo Noceti quando seppe che l’indagine su di lui e i suoi uomini era entrata nel vivo.
A seguito della denuncia presentata dal Ministero della Sicurezza (l’inchiesta si era aperta ufficialmente il 22 gennaio 2020), Noceti è stato travolto dalle polemiche.
Fu l’ex capo di gabinetto di Patricia Bullrich in persona a invitare gli squadroni della Gendarmeria, agli ordini di Diego Balari, Fabián Méndez e Juan Pablo Escola, ad aggredire la comunità mapuche in resistenza nel dipartimento di Cushamen, dove i mapuche avevano dato vita ad un picchetto e a blocchi stradali per chiedere la liberazione del lonko Facundo Jones Huala.
Lo sgombero del picchetto mapuche è stato ritenuto imprudente dalla giustizia sia perché metteva a rischio l’incolumità fisica dei manifestanti sia perché gli agenti coinvolti nell’operazione non erano preparati per realizzare un intervento di questo tipo.
Nonostante tutto, Noceti ha sempre rivendicato il suo operato, al pari dei militari della dittatura argentina, sostenendo che lo sgombero si era rivelato necessario per fermare la escalada violenta della Resistencia Ancestral Mapuche. L’obiettivo dell’azione era quello di arrestare tutti i mapuche della comunità di Lof de Cushamen. A 37 giorni dall’omicidio di Maldonado, Patricia Bullrich fu costretta ad ammettere che Noceti era presente sul luogo dei fatti, dopo essersi affannata a dichiarare, il 16 agosto 2017, che il suo braccio destro non aveva dato alcun ordine in relazione alla parte operativa dello sgombero, ma si era soltanto recato nella zona per sincerarsi di quanto stava accadendo. Nonostante la pubblica rivendicazione della repressione contro i mapuche, definiti da Noceti come “nemico interno”, Bullrich premiò il suo capo di gabinetto con una promozione.
Tuttavia Sergio Maldonado, fratello di Santiago, continua a rimanere molto scettico sulle possibilità che la coppia Noceti-Bullrich paghi davvero per i fatti del 1° agosto 2017. “Anche quando è stata indagata Patricia Bullrich poi non è accaduto nulla”, ha dichiarato in più di una circostanza.
Per molto tempo l’allora ministra Bullrich cercò di difendersi dichiarando di non saper niente del caso Maldonado, come facevano i militari con i familiari dei desaparecidos che chiedevano notizie dei loro parenti a seguito del colpo di stato del 24 marzo 1976. La stessa Patricia Bullrich, all’epoca dei fatti, accusò addirittura i mapuche di non voler collaborare. “I dreadlocks non sono un’arma, una barba non rappresenta una munizione e mio fratello non è un terrorista”, ha sostenuto più volte il fratello di Santiago Maldonado, ricordando che la sua unica “colpa” era stata quella di sostenere le battaglie delle comunità mapuche.
Tuttavia, solo pochi giorni fa, l’inchiesta si è bloccata di nuovo. La famiglia di Santiago ha chiesto di indagare per sparizione forzata, ma è arrivato il no dalla Cassazione.
(*) Fonte: Peacelink – 11 agosto 2020