Eros Tetti (Presidente Rete dei Comitati Toscani e fondatore di Salviamo le Apuane, candidato indipendente alle Elezioni Regionali 2020) risponde a Massimiliano Fuksas sul modello futuro della città di Firenze.
Parto dalla seguente frase di Fuksas nell’intervista su la Nuova Firenze: “Senza rifare l’errore che fanno in molti, e che ammetto di avere fatto anche io, di dimenticare il passato”. E’ una frase che condivido e da cui iniziare una riflessione sulla crisi oggettiva del modello “città”, che colpisce anche Firenze, e sulla necessità di trovare una via di uscita e di rilancio nuova ma che contenga vari elementi di vecchio ed antico (cioè di quel passato che si invita a non dimenticare).
Io sto lottando, con i movimenti che guido, per una interpretazione di una parola molto ambigua e di cui si debbono definire i contorni: la parola “sviluppo”. Essa è stata spesso erroneamente intesa come crescita/stravolgimento di un contesto (lo sviluppo economico, urbanistico, insediativo, turistico, ecc.) che sovente ha dato risultato negativo. Ma il suo significato letterale è “scioglimento di un nodo, di un viluppo”. Non significa nuove costruzioni ed opere ma cogliere i “nodi e viluppi” e le scelte per scioglierli anche con la diminuzione e il reset di contesti negativi che creano problemi.
E, dunque, a Fuksas dico che la prima cosa da fare è prendere coscienza che il modello di città storica, crogiolo di idee e discussioni progressive, contesto di sperimentazione dell’intelligenza umana in positivo, punto di incontro vitale del territorio rurale (il contado) e le sue produzioni con il mercato cittadino, luogo di elaborazione della cultura e delle innovazioni filosofiche e politiche non esiste più. Anzi sovente si è trasformato (sicuramente in interi quartieri) nel suo opposto divenendo un habitat inumano, insicuro, degradato, incolto e, dunque, negativo con sofferenza per chi ci vive (umani, animali e vegetali). La coscienza di una crisi irreversibile nata dalla rottura di un rapporto vitale con il territorio e dall’autoreferenzialità, tipica del modello americano e diffusa nel dopoguerra, dalla chiusura in case singole (e non in quartieri vivi) degli abitanti, dalla separazione delle famiglie, dalla fine del ruolo delle piazze e dei luoghi di incontro (quali erano i quartieri storici) che ha creato una falsa privacy che è, in realtà, solitudine.
Nelle città come Firenze non c’è più la “relazione” perché il modello creato ha distrutto quello antico e lo ha sostituito con uno che oggi è fallito. Dunque, il primo passo è prendere coscienza della crisi di Firenze dove non basterà ricucire urbanisticamente gli spazi ma andrà ripensato cosa sia l’habitat umano in città.
Tuttavia, la crisi della Firenze attuale non può che essere motivo di riflessione per quanti l’hanno voluta fare così e, in questo, è necessaria un’ampia autocritica tanto della politica quanto dell’urbanistica che ne ha dettato, nel dopoguerra, le linee. Senza questo passaggio, non è possibile fare una scelta alternativa.
Il soggetto che, però, dovrà, in parte, sostituire e, in parte, affiancare la politica nella costruzione di un pensiero e modello nuovo ed a misura d’uomo, non ideologico ma concreto e misurabile sui bisogni dei residenti sono proprio gli abitanti di Firenze. Serve dunque una vasta –e reale- opera di ricostruzione di quartieri e comitati di quartiere, ufficiali e riconosciuti come interlocutori dal Comune, con cui discutere –con tempo che ci vorrà- i connotati della città futura. Lo dico con chiarezza: questa non è più materia esclusiva né della politica né degli urbanisti che, nei decenni scorsi, hanno costruito modelli di città cui la gente si è dovuta con fatica adeguare. Quindi, in primo luogo, la politica deve ricreare una relazione reale con le persone residenti e cioè non con la solita “partecipazione” con qualche associazione e poche persone addette ai lavori ma andando a cercare, nelle case, in tutte le case, il giudizio, i bisogni, i desideri di chi ci vive.
Perciò Nardella, prima di incontrare Fuksas, un grande architetto, dovrà incontrare i fiorentini per capire quale città “serva” veramente a loro. Solo dopo aver fatto questo –e lotterò perché avvenga in tutte le città toscane- si deciderà che fare, ovviamente a quel punto con gli amministratori, gli urbanisti, i tecnici assieme alla gente e Consigli locali.
In attesa di quella fase partecipativa, avanzo quattro punti cardine su cui riflettere e che sono alla base del mio Programma per Firenze; punti cardine che hanno come obbiettivo la ricostruzione della “relazione”.
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La relazione fra la città e il suo antico contado, il territorio circostante, che si è interrotta eliminando una delle ragioni strutturali della funzione storica della città. La relazione dovrà essere, intanto, vitale e cioè tesa a riattivare un rapporto di scambio, soprattutto agroalimentare, fra la campagna che produce e la città che consuma, che è mercato, che è bottega di quartiere. Una relazione da cui dipende la fiducia nella qualità del cibo e la sovranità alimentare; da cui dipende la sicurezza –problema centrale per la Firenze futura in tempi di cambiamento climatico – dalle alluvioni prodotte da un territorio rurale e montano malato, abbandonato e in vasta parte incolto; da cui dipende, in parte, anche la decongestione della città, spostando in smartworking, nella campagna/montagna molto lavoro e persone e diluendo la pressione turistica firenzecentrica in un ambito ben più vasto dato da Firenze e suo contado ed altre parti rurali della Toscana.
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La relazione fra Firenze, la gente di Firenze (ma su cui avvezzare i turisti) e il Buon Vivere Toscano che è l’identità e l’immagine che, nel mondo, si ha della Toscana. Il Buon Vivere Toscano –mio cavallo di battaglia- è quell’abitudine tutta toscana di amare il buon mangiare, il buon bere, il vivere all’ara aperta, lo stare in compagnia, il burlare e stare allegri, il godere di bellezze rare altrove. La relazione, in questo caso, va recuperata con un passato fiorentino di quartieri/paesi vivaci, pieni di scambi, amicizie, incontri (dalle finestre sui cortili) e di una rete di luoghi di Buon Vivere nelle osterie e fiaschetterie (non “ristoranti”), mangiando in strada cibo toscano e non fast food per turisti disperati. E’ una relazione con la Toscana di 100 anni fa, non oltre. Bisogna ristrutturare i quartieri affinché la gente torni in strada, di sera e di notte, aumentando così, con la presenza popolare dei residenti, anche la sicurezza da aggressioni. Si deve favorire la riconquista dei residenti dei loro ambiti di vita: dal lockdown si è imparato a guardare la porta accanto e il balcone di fronte e a scambiarsi sorrisi e bicchieri di vino e questa esperienza va ripresa e potenziata. Certamente, richiede che il Comune accetti di avere molti interlocutori, con cui rapportarsi con lealtà, nei Comitati di Quartiere.
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C’è, poi, invece la relazione fra Firenze e il suo passato più glorioso, sia per rafforzare l’identità e il senso di appartenenza dei fiorentini, ma soprattutto per rendere Firenze ancor più unica per chi viene a visitarla, aumentando (ed è possibile!) il livello culturale dell’offerta turistica a Firenze. Dunque, una rivisitazione, anche dei luoghi della cultura, dei monumenti, dei musei, che non esalti solo la città che si vede, cioè quella dell’arte e dell’architettura visiva, ma anche la Firenze che si sente, che si immagina, che ti entra dentro e dà sostanza alle bellezze e cioè quella degli Autori di quelle bellezze. A Firenze –se non nei musei…ma non nella via- non si trova Dante, Leonardo, Michelangelo, Botticelli, Machiavelli, ecc. e cioè quell’umanità straordinaria che ha fatto l’Umanità. Il turista deve incontrare fisicamente, per strada, Dante sia con una sagoma come con i tanti artifici tecnologici di oggi.
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Infine la relazione dei fiorentini con il loro genio e il lavoro. Oggi Firenze, sia fuori nei Centri Commerciali, sia nel centro storico, nei negozi di lusso, è uno show room e cioè una grande vetrina di vendita di prodotti realizzati altrove (le grandi firme). Eppure la manifattura toscana, nel tessile, nel cuoio, nella terracotta e ceramica, nella pietra e marmo artistici, nell’arte (come si vede plasticamente, nelle insegne delle Arti storiche) ha fatto scuola al mondo. Dunque, riaprire botteghe, riattivare la produzione e affiancare alle grandi firme la produzione manifatturiera di qualità e marchio fiorentino e toscano.