È morto a Belgrado, lo scorso 31 Luglio, all’età di 93 anni, il grande scultore Miodrag Živković, uno dei più grandi della scena artistica serba e jugoslava, una delle figure di primo piano del panorama intellettuale della Jugoslavia Socialista, uno degli autentici campioni della «scultura monumentale in spazi aperti», la scultura, non vacuamente celebrativa, del «modernismo socialista».
Era nato a Leskovac, nel sud della Serbia, ma già a sedici anni, sull’onda della liberazione del Paese e della capitale dall’occupazione nazista, all’indomani dell’eroica vittoria delle formazioni partigiane guidate da Tito e della liberazione della Jugoslavia, all’insegna del socialismo e della ricostruzione federale e multietnica, si trasferì a Belgrado (1944-1945).
Il suo nome e la sua opera sono sempre rimasti legati tanto a Belgrado quanto all’intero scenario jugoslavo: a Belgrado studiò arti applicate a partire dal 1946, conseguì il diploma nel 1952, iniziò a lavorare ad alcuni importanti progetti e, per tutti gli anni Sessanta e Settanta legò indissolubilmente il suo nome a quella grande stagione del modernismo jugoslavo che intendeva significare, al tempo stesso, i tre grandi nodi estetici e politici della ricostruzione e del non-allineamento del Paese: l’affermazione della specificità e dell’autonomia della produzione creativa jugoslava, dopo la pur rilevante esperienza del realismo socialista e, specificamente, all’indomani del dissidio con l’Unione Sovietica; la rappresentazione dei grandi valori e dei grandi ideali del socialismo jugoslavo nei suoi caratteri di autonoma ed originale «via nazionale al socialismo»; e ancora la celebrazione dei miti costituenti della nuova Jugoslavia, federale e socialista, dalla sconfitta dell’oppressione e della barbarie dell’occupazione nazista alla ricostruzione del Paese su basi nuove ed originali, dalla celebrazione dell’epopea della resistenza e dei suoi caduti al mito fondativo della libertà, della fratellanza e della solidarietà dei popoli e delle nazionalità costituenti il singolare esperimento jugoslavo.
Per questo, i suoi capolavori, che dominano lo scenario artistico e sintetizzano il carattere estetico del modernismo jugoslavo, lungo l’intero periodo tra i Sessanta e i Settanta, sono così fortemente rappresentativi e visivamente impressionanti: uno stile complesso, in effetti, solo apparentemente semplice o riducibile, contraddistinto da forme geometriche, angolature ardite e sapientissima combinazione di forme e di pieni/vuoti, con una carica evocativa, concettuale, densissima, ed una sorprendente, modernissima, capacità di interazione con il paesaggio circostante.
Modernità, ed astrazione non idealistica; razionalità, e stilizzazione profondamente concettuale sono alcuni tra i tratti che, se da un lato meglio intervengono a connotare la sua arte, sono, d’altra parte, anche all’origine della sua fortuna, come intellettuale e come artista, e motivo saliente del riconoscimento tributato alla sua opera. Ed ancora avrebbe continuato la sua opera, dalla fine degli anni Novanta e più ancora nel corso dei Duemila, con la progettazione e la realizzazione di nuovi monumenti e memoriali, nel mondo culturale serbo, soprattutto legati ai tragici eventi delle guerre degli anni Novanta.
In una vicenda, umana e intellettuale, così lunga, non è facile condensare e sintetizzare non tanto i motivi narrativi, quanto soprattutto le diverse figurazioni espositive. Ma ci piace, in una specie di “gioco” di elencazione e di ricapitolazione, segnalare le “magnifiche cinque”, delle sue opere capolavoro, che tuttora è possibile ammirare, non sempre in buone condizioni, soprattutto tra Serbia e Bosnia, in alcuni tra i territori in cui più forti sono anche i motivi della memoria, e della memoria collettiva, legati alla tragedia della guerra mondiale e alla gloriosa epopea della resistenza antifascista e della liberazione del Paese. Il drammatico e commovente monumento alle «Ali Spezzate», in primo luogo, nel Parco Memoriale Šumarice a Kragujevac, nella Serbia centrale: si tratta del Parco Memoriale «Kragujevački Oktobar», luogo di brutale esecuzione di circa 2.800 tra adulti e bambini (centinaia di studenti e studentesse, letteralmente strappati ai loro banchi) ad opera delle forze di occupazione nazista il 21 Ottobre 1941; nel quale si staglia, tra gli altri, il Monumento al «Volo Interrotto», che simboleggia le vite innocenti cadute, le ali spezzate, di questi giovani e queste giovani, prima che potessero spiccare il loro “volo” nella vita.
Poi, il sorprendente «Monumento al Coraggio», ad Ostra (Čačak), in onore del distaccamento partigiano di Čačak «che fu colpito, ma che rinacque, e testimonia che la libertà può cadere in alcune battaglie, ma non può essere sconfitta», e la cui squadratura ed il cui slancio, completamente geometrici, segnalano l’intenzione di rappresentare, insieme, la sofferenza e il valore dei soldati caduti, che hanno dato la vita nella battaglia, non invano, per un successo più grande.
Quindi, il celebrato Monumento di Tjentište (Foča, altro luogo della memoria dell’epopea partigiana, oggi in Republika Srpska, Bosnia) nel Complesso Memoriale della «Valle degli Eroi» di Sutjeska, che commemora gli eroi della Battaglia di Sutjeska (Maggio – Giugno 1943) e che, in una complessa composizione geometrica, intende simboleggiare le «Ali della Vittoria» (Sutjeska, la Quinta Offensiva Nemica, è considerata un “punto di svolta” della guerra). Ed ancora Kadinjača (Užice, Serbia centro-occidentale), completato dall’artista nel 1979, quando furono aggiunti lastre-piloni che seguono l’andamento della valle, splendido nella sua concezione e nella sua composizione, culminante con il monolite “sfregiato” dai colpi dell’artiglieria nemica.
Per finire con il più volte richiamato «Monumento alla Fratellanza e Unità» (Monumento ai Partigiani Caduti), che campeggia nel cuore di Prishtina, capoluogo del Kosovo. Un monolite tripartito, in una composizione perfettamente regolare e simmetrica che, nel Kosovo diviso dalle odierne separazioni etno-politiche, ricorda l’unità e la fratellanza dei popoli costituenti (nel caso, Albanesi, Montenegrini, Serbi): un messaggio carico, al tempo stesso, di speranza e di futuro, che non deve smettere di fare sentire la propria voce e, con il linguaggio dell’arte, continua a parlare anche al presente.