Mentre leggete queste righe, un colombiano sa di poter essere ucciso. Perché qui è così. Perché è stato avvertito come di un ultimo castigo. E ciononostante, nonostante le voci che parlano del loro imminente arrivo e i vaticini inappellabili, ogni assassinio è una sorpresa, ogni assassinio è compiuto alle spalle. Quando gli è stato sparato all’entrata del Ponte Aereo di Bogotà, quando si è visto finito, capendo che anche a lui poteva succedere quello che accade a un altro, il leader della UP Bernardo Jaramillo, disse a sua moglie “amore mio…non mi sento le gambe…questi figli di puttana mi hanno ucciso…abbracciami e proteggimi perché sto morendo…” Affinché dal 1990 fosse chiaro che nemmeno i martiri si rassegnano alla nostra violenza.
Lo scorso febbraio, il relatore dell’ONU Michel Forst, ha dichiarato che la Colombia è uno dei Paesi più pericolosi del mondo per la difesa dei diritti umani. E, poiché le cifre non descrivono il dramma rappresentato da ogni singolo caso, un gruppo di giornalisti -fra i quali anche io- si sono proposti di raccontare le vite dei leader uccisi. È necessario raccontarle, una ad una, affinché sia chiaro che tanto i carnefici quanto le vittime sono fra noi, e che sia ovvio che non c’è stato niente di soprannaturale -la mera possibilità permessa per ciascuno e per tutti, di danneggiare irrimediabilmente l’altro- in questo orrore che ha preso le sembianze di una tradizione.
Bisogna raccontare che lunedì 7 gennaio 2019, quando è stato fucilato in casa propria nel quartiere La Victoria del municipio di Cartagena de Chairà (Caquetà), davanti alla propria famiglia, da due sicari appartenenti a una banda di trafficanti della regione, il presidente della Giunta di azione comunale Miguel Antonio Gutierrez era un quarantenne in camicia a quadri, stanco di ingoiare sorrisi per colpa delle vessazioni degli ultimi sei mesi: “La comunità fa un appello al Governo affinché faccia sentire la propria presenza”, “offriamo una ricompensa di dieci milioni di pesos”, “riceveva minacce costantemente ma il suo lavoro non si è fermato un attimo”, è stato detto.
Bisogna raccontare che martedì 15 gennaio 2019, quando alcuni membri del Eln (Esercito di Liberazione Nazionale, NdT), seminatori di mine antiuomo, hanno interrotto la tregua per prenderlo e ucciderlo in una strada di Montecristo (Bolivar), il combattivo Victor Manuel Trujillo non solo era un ventenne che cantava di giustizia sociale senza peli sulla lingua e con lenti scure, ma era anche un rispettato leader comunitario che aveva addosso tanto le Forze di Autodifesa quanto i guerriglieri per aver partecipato allo sciopero del 2013: “Hanno offerto una ricompensa per chi mi avesse preso, volevano arrestarmi perché io li ho guidati”…canta, sorridente, nel ritornello della sua canzone sulle proteste “Vogliono aiutare o fotterci?”.
Bisogna raccontare che mercoledì 20 febbraio 2019, quando il suo corpo era già irrecuperabile, nell’ospedale di El Tunal a Bogotà, per i colpi che un delinquente confuso ha sparato nel polveroso campo di Los Guires del quartiere Cabanas del Rio (Arauca) contro la leader comunale Zaira Bellasmin Pereza, portavoce del settore, ma soprattutto madre di tre bambini e quattro bambine: “Siamo indignati per ciò che è accaduto- ha dichiarato un abitante del luogo a El Mirador -:”era una persona che aiutava in ciò che poteva, non aveva denaro, niente, ma si dava da fare per chiunque, ci sentiamo impotenti e frustrati perché questo è ciò che è diventato il campo de los Guires”.
Martedì mattina l’istituto Max Planck, ha rivelato la scoperta di un altro sistema solare, speculare al nostro, con un pianeta simile alla Terra; magari esistesse, sull’altra Terra, una Colombia al contrario, in cui uccidere non sia un bisogno fisiologico.
di Ricardo Silva Romero*
Traduzione dallo spagnolo a cura di Maria Vittoria Morano. Revisione: Silvia Nocera
*Per molti, il miglior romanziere vivente in Colombia. I suoi libri sono un successo editoriale garantito, e i suoi articoli sono pieni di contenuto sociale, di denuncia e linguaggio letterario. Giornalista de El Tiempo.
Questo articolo fa parte di una serie di articoli scritti da giornalisti colombiani in memoria dei leader sociali assassinati nel loro paese. Leggi le altre rubriche già pubblicate su Pressenza, a questo link.