In Serbia, domenica 21 giugno, si terranno le elezioni parlamentari, inizialmente programmate per l’aprile di quest’anno e rimandate a causa dell’emergenza sanitaria COVID-19. Poco meno di 7 milioni di elettori saranno chiamati alle urne per scegliere fra le 21 liste approvate dalla Commissione elettorale repubblicana. L’esito è scontato, mentre sarà da valutare l’efficacia e la portata del boicottaggio di gran parte dell’opposizione.
I progressisti di Aleksandar Vučić
La prima lista che figurerà sulle schede elettorali è Aleksandar Vučić – Za našu decu (“Per i nostri figli”), guidata dal Partito Progressista Serbo (SNS) del Presidente della Repubblica, al potere dal 2012. La formazione gode inoltre del sostegno del Movimento Socialista del Ministro dell’Interno uscente Aleksandar Vulin e del Partito Socialdemocratico.
Si tratta della lista favorita nel prossimo appuntamento elettorale, che nel 2016 ha raggiunto il 48%, guidata dal maggior partito della Serbia e sponsorizzata dallo stesso Vučić, l’uomo che ha dominato la politica serba negli ultimi anni, portando la Serbia verso un ambiguo avvicinamento all’Unione europea, condizionato dai forti legami mantenuti con Russia e Cina.
L’attiva partecipazione di Vučić alla campagna elettorale, tramite spot pubblicitari diffusi in televisione, è stata oggetto di critiche da parte dell’opinione pubblica. A queste si sono sommate le proteste dell’opposizione, dovute al controllo del governo sui media e all’impossibilità di promuovere i propri programmi al pari delle forze di maggioranza. Molte sono anche le perplessità riguardanti la gestione dell’emergenza sanitaria, giudicata da più parti insufficiente per un evento elettorale.
I socialisti
La seconda lista candidata è quella del Partito Socialista di Serbia (SPS), padrone del Paese fino al 2000 durante il regime di Slobodan Milošević, oggi guidato dal Ministro degli Esteri uscente Ivica Dačić, alleato di Vučić dal 2012. Nonostante il partito sia formalmente schierato a sinistra, si connota per un’ideologia apertamente nazionalista, che si riflette anche nel programma presentato per queste elezioni, focalizzato sul rafforzamento dell’unione nazionale e della difesa degli interessi dello stato.
La lista è sostenuta anche dal controverso Dragan Marković Palma, condannato nel 2014 per discriminazione contro la comunità LGBT. Il SPS (11% nel 2016) è uno dei principali candidati a entrare in un futuro governo a guida SNS, sulla falsariga di quanto avvenuto nei due cicli precedenti.
I radicali di Vojislav Šešelj
Fra le liste presentate figura anche il Partito Radicale Serbo (SRS), guidato da Vojislav Šešelj, protagonista di lunga data della scena politica serba, condannato nel 2018 dal tribunale dell’Aja per incitamento all’odio riguardo i crimini di guerra commessi in Bosnia-Erzegovina e Croazia e per la persecuzione della popolazione croata in Vojvodina. Il SRS si configura come una forza di opposizione, pur condividendo diversi punti con i progressisti, che sono nati da una scissione interna ai radicali, e ai socialisti, con i quali sono stati alleati in passato.
Šešelj è tornato a sedere in parlamento nel 2016 (8%). Anche in questa tornata elettorale dovrebbe superare la soglia di sbarramento, abbassata dal 5% al 3%, all’insegna di un programma violentemente nazionalista. Il partito si propone di realizzare “l’unione di tutto il popolo serbo all’interno del completo territorio etnico serbo”, ossia di dare forma al progetto della “Grande Serbia”, uno dei principali motori delle violenze e dei crimini perpetrati nelle guerre degli anni Novanta.
L’opposizione e il boicottaggio
Nel febbraio 2020, una parte dell’opposizione aveva annunciato l’intenzione di boicottare le elezioni, a causa della mancanza di libertà d’espressione. Fra coloro che sembravano propensi a non partecipare figurava anche Sergej Trifunović, attore e nuovo protagonista dell’opposizione, che alla fine si è candidato con il Movimento dei liberi cittadini (PSG). Trifunović punta a raccogliere, attraverso un progetto moderato, il malcontento emerso con le proteste antigovernative e antiautoritarie che hanno segnato la Serbia nell’ultimo anno e mezzo, “Rumore contro la dittatura” e “Uno di cinque milioni“.
Insiste invece sul boicottaggio l’Alleanza per la Serbia (SZS), guidata, tra gli altri, da Dragan Djilas e Vuk Jeremić. Questa formazione, composta da partiti di orientamenti molto diversi, è attiva dal 2018, in opposizione al potere di Vučić. Ne fanno parte sia formazioni di centro-sinistra, come il Partito Democratico, sia formazioni nazionaliste di destra, come Dveri. Il fronte insiste sul boicottaggio sia poiché ritiene che non vi siano le condizioni per una competizione elettorale libera ed equa, sia poiché considera l’emergenza sanitaria non ancora sotto controllo.
Infine, hanno qualche chance di passare la soglia anche l’Alleanza patriottica serba (SPAS) dell’ex campione di pallanuoto Aleksandar Šapić, la coalizione “Metla2020” di Miloš Jovanović e “Dosta je Bilo” (DJB) di Saša Radulović, oltre ai partiti rappresentanti le minoranze bosgnacca, ungherese e albanese (per i quali non si applica la soglia del 3%). Da segnalare che andrà al voto anche la minoranza serba del Kosovo: proprio riguardo il Kosovo, dopo le elezioni, il nuovo esecutivo dovrà affrontare una probabile ripresa delle trattative con il governo di Pristina.
La Serbia si appresta a vivere una tornata elettorale che non dovrebbe generare sorprese, confermando la direzione politica di questi anni. Il vincitore è annunciato, come dimostrano i sondaggi (si veda il grafico di Europe Elects su dati Faktor Plus). Ciononostante, sarà interessante osservare e l’affluenza e gli eventuali effetti del boicottaggio dell’opposizione, che potrebbero dare un’immagine dell’effettiva consistenza della voglia di cambiare dei cittadini serbi.