Dopo le risposte di Riccardo Noury, Laura Quagliolo e Giovanna Procacci, sentiamo Giovanna Pagani della WILPF (Women International League for Peace and Freedom)
Ora che stiamo uscendo dall’emergenza Covid19 molti dicono: “Non vogliamo tornare alla normalità perché la normalità era il problema”. Questa dunque può essere una grande occasione di cambiamento.
Qual è secondo te la necessità di cambiamento più urgente in questo momento e cosa sei disposta a fare in quella direzione?
La necessità di un “dopo” coronavirus, radicalmente diverso dalla normalità del prima dovrebbe essere evidente ai più. Ma forse non è così, perché durante il lokdown la gente è stata mantenuta nella “paura” della pandemia, presentata come l’unico problema, senza uno sguardo critico sulla vera origine del fenomeno e sulla complessità dei problemi che continuano a minacciare l’umanità .
La gente ha percepito l’urgenza di trovare soluzioni, ma forse in modo circoscritto ai problemi salute e lavoro, però se ci fermiamo lì è troppo poco per arrivare a un dopo diverso. La fragilità degli attuali sistemi sanitari è dipesa dalle ciniche politiche neo-liberiste di privatizzazione e tagli di bilancio in settori di primaria importanza. Occorre comprendere che tali politiche sono strutturalmente connesse a un modello economico anti-ecologico e militarizzato, che non tutela le persone, ma unicamente i profitti.
Non è un caso che proprio grazie alla pandemia i super miliardari del mondo hanno fatto lievitare le loro fortune, soprattutto quelle legate ai settori dell’alta tecnologia informatica (Bill Gates- Microsoft, Amazon e altri mercati elettronici, Facebook ). Non è un caso se la guerra e le attività industriali e commerciali connesse sono continuate, nonostante l’accorato appello del 24 marzo del Segretario ONU Guterres che chiedeva il cessate il fuoco immediato e globale di tutti i conflitti nel mondo. Non è un caso se i poveri, gli emarginati e le fasce fragili della popolazione sempre in espansione, sono state lasciate in balia degli effetti devastanti delle politiche di austerity, dettate dalla logica del debito pubblico.
Ecco, per me la gente dovrebbe essere aiutata a comprendere queste interconnessioni tra i vari problemi. E’ tempo di interrogarsi sulle reali priorità della vita e questa domanda bisogna porla per sé e prima ancora per i propri figli e nipoti. Dovremmo sentire il rifiuto profondo di essere “giocati” come pedine di un sistema economico globale distruttivo. Dovremmo riuscire a rivoluzionare il nostro modo di pensare individuale e collettivo, per acuire la nostra empatia. Se manca la consapevolezza delle cause profonde del pericolo in tutte le sue molteplici sfaccettature e dell’urgenza di risolverle, niente succede.
Direi che la tabella di marcia di quello che dovremmo fare è già scritta nell’Agenda 2030 ONU per lo Sviluppo Sostenibile e in una forma ancor più contundente nel Bulletin of the Atomic Scientists. Nel gennaio 2020 gli scienziati hanno lanciato un SOS all’umanità, spostando la lancetta dell’apocalisse a 100 secondi dalla mezzanotte. Queste le ragioni: minaccia nucleare, minaccia climatica, fakenews, sviluppo incontrollato dell’intelligenza artificiale, possibilità di armi biologiche estremamente efficaci.
Ma questi documenti chi li conosce? Quanto spazio dedicano i “media mainstream” a diffonderli e farne oggetto di riflessione collettiva? Quanto se ne parla nelle scuole?
Cosa servirebbe per appoggiare quel cambiamento, a livello personale e a livello sociale?
Secondo me occorre agire a due livelli: sensibilizzazione sociale e azione per il cambiamento e la società civile ha un ruolo strategico in entrambi.
Con il coronavirus la vulnerabilità dell’umanità è sotto gli occhi di tutti. Dobbiamo fare in modo che non si spenga questa scintilla di allerta e consapevolezza; da una parte occorre allargare la visuale della gente alla gravità globale del problema e dall’altra spingere la politica ad agire per risolvere le minacce globali. Ed è proprio qui che entra in gioco la capacità di sensibilizzazione e mobilitazione della società civile, in alleanza con gli operatori sensibili dell’informazione.
A partire dai territori si può innescare un circolo virtuoso che coinvolga anche gli enti locali. Contemporaneamente i movimenti, a partire da quelli antimilitaristi, ambientalisti e per la giustizia sociale, dovrebbero trovare una forte convergenza sulle reali emergenze dell’umanità e confluire in un grande movimento nonviolento che sappia interagire con i lavoratori, i giovani e le donne.
Solo con questa compattezza di intenti io vedo la possibilità di premere sulla politica, esigendo un radicale cambio di paradigma. finalizzato a un nuovo modello di sviluppo ecologico in grado di garantire lavoro, salute e reale sicurezza umana.
Il nostro lessico comune dovrebbe includere: riconversione delle spese militari in spese sociali, disarmo nucleare e ratifica del TPAN, applicazione degli Accordi di Parigi e giustizia climatica, annullamento del debito e investimenti pubblici per la transizione ecologica.
Il contributo delle donne in questo processo lo vedo strategico per la loro capacità di essere attivatrici di energie sociali a partire dalla consapevolezza di essere i soggetti più colpiti, assieme ai bambini e ai giovani, dai gravi disequilibri e sconvolgimenti globali in corso.