Tra le nuove esperienze di questi ultimi mesi dobbiamo annoverare quella che per molti è stata la più grande limitazione della libertà individuale mai provata. Non sono mancate le polemiche e le denunce, ma la maggioranza degli italiani si è adeguata alle disposizioni del governo.
Nonostante qualche scivolone paternalistico dei nostri governanti (di cui il discorso di Conte del 26 aprile e tutta la storia dei congiunti è stata una vetta speriamo ineguagliata), la narrazione è stata, nella maggioranza dei casi, quella della responsabilizzazione di tutti i membri della comunità e della temporanea sospensione di qualche libertà individuale per il bene collettivo. Abbiamo avuto modo di saggiare l’impatto che possiamo avere se scegliamo tutti di accettare le disposizioni statali per il bene comune. E di riflesso, questo ci può aiutare ad immaginare il potenziale di una disobbedienza collettiva.
Che valore può avere oggi la disobbedienza civile? Il tema è stato al centro di un’animata videoconferenza svoltasi il 9 maggio 2020 e organizzata da Extinction Rebellion di Milano, il movimento sociale che ha fatto proprio della disobbedienza civile uno strumento privilegiato di impatto e coinvolgimento sociale.
Erano presenti all’incontro molte realtà milanesi e non solo per riflettere sulle strategie da adottare per affrontare la crisi ecologica e climatica: Casa per la pace di Milano, FFF, Legambiente, I Verdi, Centro Studi Systasis – Mediazione per l’ambiente, Lato B, Resilient Gap, Milano per il clima, Hug Milano, Hubzine, il gruppo studentesco Diciassette e altri, tra cui Pressenza. Ospite d’onore Gianfranco Mormino, professore di Filosofia morale alla Statale di Milano che negli ultimi anni si è occupato di etica ambientale, animal studies e disobbedienza civile.⠀
Il termine “disobbedienza civile” nasce da un saggio di Henry David Thoreau pubblicato nel 1849, dove il filosofo americano sosteneva la necessità di trasgredire a una legge contraria al senso morale. Egli stesso si rifiutò di pagare delle tasse destinate a finanziare la guerra contro il Messico, diniego che gli costò una notte in cella, ma solo una, perché il giorno dopo una zia saldò provvidenzialmente il debito. La disobbedienza civile non nasceva sotto il migliore degli auspici, ma da allora ha fatto davvero molta strada.
Oggi come allora, si definisce la disobbedienza civile come un atto politico di dissidenza nonviolenta. Disobbedendo si rifiuta di aderire alla legge in vigore ma, a differenza della resistenza, che è spesso clandestina, il rifiuto è per sua natura esplicito e pubblico. Il professor Mormino ha evidenziato che la disobbedienza civile è un’azione nonviolenta di rottura che deve collocarsi nello spazio comune, aspirando a scuotere gli animi, suscitando disagio, testando la sopportazione della comunità e soprattutto contagiando altre coscienze. Agendo “a carte scoperte” , le possibilità che un atto di disobbedienza si propaghi aumentano, ma allo stesso tempo si facilitano eventuali atti di repressione. Questa è una conseguenza inevitabile che il disobbediente deve preventivamente accettare. Infatti, esponendosi sulla pubblica piazza,egli o ella si pone in dialogo con il potere e implicitamente riconosce che il potere, anche se reticente, sarà in qualche modo obbligato ad ascoltare. Non è cosa da poco. Riceviamo quotidianamente le notizie del drammatico esito delle proteste nonviolente in paesi dove la democrazia è solo un guscio vuoto.
Come ricorda Mormino, fin da bambini siamo abituati a considerare l’obbedienza un valore. Ma da adulti dobbiamo imparare a sostituire l’obbedienza con la consapevolezza: obbedendo abbandoniamo la nostra volontà e ci collochiamo in una gerarchia dove un altro essere umano è superiore a noi in virtù non di una specifica competenza o abilità, ma aprioristicamente. Ergendo l’obbedienza a somma virtù (come vogliono i fascismi passati e presenti) finiamo necessariamente per mettere il valore umano in secondo piano.
Riflettere sull’obbedienza e la disobbedienza ci porta dritti all’eterna domanda sulla giustizia e la legalità: all’interno di una democrazia, fondata su un contratto sociale tra i cittadini, sulla base di quale fondamento morale possiamo recedere da questo patto? “Io non mi ricordo di aver firmato un contratto sociale” ironizza il professor Mormino. Non ha torto: nascere dentro uno stato non significa rimettere completamente alla legge il nostro arbitrio morale, anche perché le leggi si limitano a dirci quello che non dobbiamo fare, ma non parlano delle nostre responsabilità, quello che dovremmo fare in tantissimi casi, per esempio, per la tutela dell’ambiente.
La disobbedienza civile viene a volte paragonata alla legge di Antigone, contro quella di Creonte. La legge del “cuore” contro la legge dello Stato. Ma non è semplicemente così: spiega Mormino che una delle forze di un movimento di disobbedienza civile non è appellarsi a una legge non scritta. ma appellarsi a una parte del discorso della legge, contro l’altra parte: quando Martin Luther King compiva un atto di disobbedienza verso le leggi della segregazione razziale, lo faceva appellandosi ai fondamenti della dichiarazione d’indipendenza americana. Allo stesso modo oggi, la disobbedienza civile al Decreto sicurezza , praticata dalle Ong che prestano soccorso nel Mediterraneo centrale è suffragata dalla famosa “legge del mare” (termine con cui sono indicate una serie di convenzioni, tra cui la più famosa la Sar di Amburgo sottoscritta anche dall’Italia nel 1979) che garantisce il diritto di ogni naufrago a sbarcare in un “luogo sicuro” (place of safety).
C’è un’astuzia nella disobbedienza: quella di rivoltare la legge contro se stessa. Disobbedienza non è sovversione: nella disobbedienza la legge dello Stato non viene screditata o abolita, ma riappropriata dalla comunità.
In particolare riguardo alla crisi ecologica e climatica, a cosa può servire la disobbedienza civile? Mormino sottolinea la limitatezza degli orizzonti della democrazia moderna, in cui si vota ogni 4 o 5 anni, rispetto alla grandezza e all’urgenza del cambiamento climatico. Di fronte a questa crisi, gli strumenti della politica, e soprattutto di questa politica che non guarda al di là del suo naso, non possono bastare. C’è ancora più bisogno della spinta di chi disobbedisce, avendo in mente una visione che va al di là della contingenza politica, ma guarda al futuro dell’umanità.