Mi appare strana tutta questa attenzione mediatica e politica sui boss mafiosi in disuso, da decenni in carcere, e la pochissima attenzione, invece, su quelli in libertà.
Ho letto in un noto giornale nazionale che 376 boss mafiosi sarebbero stati scarcerati. Se questa notizia fosse vera penso che ora dentro ne resterebbero ben pochi, perché stando in carcere duro per più di un quarto di secolo mi sono fatto l’dea che in Italia possano esserci all’incirca una cinquantina di boss detenuti, molti dei quali già rottamati dalle loro stesse organizzazioni, dopo pochi mesi dal loro arresto.
Ora invece scopro che nelle nostre “Patrie Galere” i boss sarebbero stati 376 e che sono usciti tutti. Ci vuole veramente tanto coraggio, sia da parte di alcuni politici che da parte di alcuni giornalisti, a dare notizie del genere, perché, a mio parere, si offende l’intelligenza degli italiani. A questo punto a quando la notizia che Salvatore Riina continua a comandare e a mandare “pizzini” dall’aldilà?
In tutti i casi penso che la galera non funzioni, se un mafioso in carcere non smette di essere mafioso dopo dieci, venti, trenta, quarant’anni, murato vivo fra sbarre e cemento. E forse, dico forse, non è colpa solo di chi sta dentro, ma anche di chi il carcere lo governa . Se detenuti anziani e malati, dopo decenni e decenni di galera, non possono morire fuori perché, nonostante il carcere, sono ancora pericolosi, abbiamo un problema. E lo possiamo risolvere solo con la pena di morte.
Ricordo che i rivoluzionari francesi, nel 1789, nella loro prima Costituente avevano abolito la pena dell’ergastolo e mantenuto la pena di morte. Forse, dico forse, se dopo decenni di lotta alla mafia lo Stato non è riuscito a sconfiggere questi fenomeni criminali, non sarà che una certa cultura deviante dell’antimafia produce mafia? E non sarà che una certa antimafia si occupa dei mafiosi in carcere per lasciare in pace quelli fuori? Non sarebbe meglio cambiare strategia? Sono convinto che non ci sia prezzo, né pena, e mai ci potrà essere, che possa ripagare i parenti delle vittime di un reato. Non a caso, alcuni filosofi affermano che la miglior vendetta sia il perdono.
Anch’io sono fortemente convinto che uno dei maggiori valori dell’umanità sia il perdono. Infatti, che soddisfazione potrà mai avere una persona a cui hanno ucciso il padre in una rapina, sapendo che il suo assassino starà chiuso in una cella 20-30 anni, o per sempre? Questa non è giustizia, è solo vendetta e la vendetta lascia solo uno strano sapore amaro in bocca. E questo lo dico per esperienza. Quale mai potrà essere una pena equa? Credo che qualsiasi pena non sarà mai giusta, né equa, in quanto pena.
Però, a mio parere, una pena giusta ci sarebbe: chi commette un reato è una persona socialmente o culturalmente malata, quindi basterebbe semplicemente curarlo con speranza e attenzione. La migliore vendetta per un figlio a cui hanno ucciso il padre sarebbe pretendere che la società o lo Stato facciano cambiare, migliorare, la persona che ha sbagliato, fino a fargli uscire i sensi di colpa, ma poi reinserirlo nella società. Sì, è vero, la mia è utopia, ma l’utopia è il motore del mondo. Cent’anni fa andare sulla luna era un’utopia, e io ora sono convinto che il carcere non sia necessario. Il carcere non è la medicina, il carcere è il male e pure il migliore è sempre un luogo di ingiustizia e sofferenza. È improbabile che le persone diventino buone chiuse in una gabbia. E per i forcaioli la certezza della pena potrebbe essere anche quella di far scontare la pena fuori dal carcere.
Una società è giusta se prima di pretendere che non ci siano reati, pretende che non ci siano luoghi di sofferenza e d’ingiustizia. L’art. 147 del codice penale, che permette a un detenuto vecchio e malato di morire fuori dal carcere, esiste fin dal 1931, in pieno regime fascista. E credo che uno Stato di diritto e democratico non dovrebbe essere peggiore di una dittatura.