Pubblichiamo una delle lettere scritte da Carlo Cassola all’amico Angelo Gaccione, tutte contenute nel carteggio “Cassola e il disarmo – La letteratura non basta”, con la sua gentile autorizzazione.
Carlo Cassola è stato un noto romanziere nato nel 1917 che ha ottenuto un clamoroso successo con La ragazza di Bube, storia che verrà portata sullo schermo nel 1963 dal regista Luigi Comencini. La loro amicizia nacque nel 1977, quando anch’egli cominciò ad impegnarsi in ambito di disarmo e pace a cui dedicò ogni frangente della propria vita. Nel’78, con Treccani fondarono la Lega per il Disarmo Unilaterale. Continua tutt’ora l’impegno di Gaccione per la pace tra le pagine del giornale d’informazione da lui fondato Odissea.
BOMBE CANNONI E MISSILI
Ogni volta che uno comincia una cosa, sono portato a domandarmi se avrà il tempo di finirla. Così, davanti alla prima puntata del bel romanzo di Vincenzo Guerrazzi Bombe, missili e cannoni,171 sono portato a domandarmi se il vostro settimanale avrà il tempo di terminarne la pubblicazione. Non facciamoci illusioni: il mondo può saltare in aria anche domani. Davanti a questa spaventosa e quasi inimmaginabile eventualità, tutto il resto diventa secondario. Mi vien da ridere quando mi viene dato del violento. Da parte di chi? Da parte di persone che non sanno di essere sedute sull’orlo di un vulcano. Tutti i nostri scrupoli sono bruciati dalla situazione disperata nella quale ci troviamo. Non dobbiamo preoccuparci di nulla, perché in realtà nulla è importante davanti alla spaventosa prospettiva che abbiamo di fronte.
Possiamo chiudere gli occhi, come gli struzzi; ed è quello che fanno tutti, anche gli operai che lavorano nelle fabbriche d’armi, anche gli scienziati che le progettano.
Ma questo volontario accecamento non impedirà la catastrofe. Chiudere gli occhi davanti alla realtà non vuol dire che questa non produca i suoi frutti. Oggi sta per produrre il frutto più avvelenato: la fine del mondo. È iscritta nell’attuale ordine di cose, e non potrà non venire, se le lasciamo stare allo stesso modo. Bisogna assolutamente cambiarle prima che sia troppo tardi. La gente non ci pensa. A me dà
dell’apocalittico e del menagramo, solo perché faccio certe previsioni, assolutamente ragionevoli. Chi va a lavorare nelle fabbriche d’armi (come l’operaio protagonista del romanzo di Guerrazzi) produce ordigni di morte con la massima incoscienza. Tanto ammazzano solo negri e meticci: in altri continenti, non nel nostro. Eppure un proverbio dice: “Chi la fa l’aspetti”. E un altro, assolutamente simile: “Chi semina vento raccoglie tempesta”. Il male che facciamo esportando armi lo sperimenteremo anche noi, decuplicato. Naturalmente occorre una forza d’animo straordinaria (come quella dell’obiettore di coscienza) perché un operaio rinunci al proprio lavoro. Ma è necessario che lo faccia. Pur coscienti che l’alternativa è la disoccupazione, noi chiediamo a questi compagni operai di fare obiezione di coscienza. Il romanzo di Guerrazzi, fondato su un operaio che deve rinunciare al proprio lavoro in una fabbrica d’armi, e quindi al mantenimento della propria famiglia, mi sembra indicativo di questo contrasto e di questa necessità.
Naturalmente una certa morale lo condanna. La morale piccoloborghese, a cui s’inchinano anche i Sindacati. Per questa morale, la famiglia è la prima cosa. L’operaio di Guerrazzi, che ha abbandonato la famiglia per un’altra donna, è già per questo spregevole. Rifiuta anche di continuare a lavorare in una fabbrica d’armi: è proprio un fuorilegge, che diamine. La Lega per il Disarmo Unilaterale è un’obiezione di coscienza generalizzata, cioè un fatto politico: è il solo strumento di cui dispongono i lavoratori per superare la contraddizione di cui ho appena parlato. Per questo diciamo loro: rafforzatela e sostenetela. Non vi fidate di chi vi dice di fare il vostro interesse. Se vi dice di lavorare nelle fabbriche d’armi, va certo contro il vostro interesse. Quelle stesse armi che oggi ammazzano i negri, un giorno ammazzeranno i vostri bambini. Gli operai non devono fabbricare strumenti di morte: devono fabbricare solo strumenti di vita.
L’operaio è quasi il simbolo di un’attività che dovrebbe essere gioiosa perché volta a produrre beni di cui gli uomini hanno bisogno per vivere. Esistono due partiti solamente: quello della morte e quello della vita. Il partito della morte ha un solo nome: fascismo. Lo ha dall’altro dopoguerra, quando per la prima volta comparvero i lugubri gagliardetti col teschio; lo ha da quando un generale fascista spagnolo gridò: “Viva la morte!”, aprendo finalmente gli occhi all’umanista Unamuno e facendogli capire quale scelta sbagliata
avesse fatto. Lo ha dal tempo della prima e della Seconda guerra mondiale, dei bombardamenti e delle carneficine. Il partito della vita dev’essere il nostro. Ma non potrà sorgere finché l’attività umana continuerà a essere rivolta verso la guerra, come dimostra il caso di questi operai impiegati nelle fabbriche di morte. Non soltanto loro, tutti gli appartenenti a una società sbagliata come la nostra,
apparteniamo al partito della morte. Siamo infatti finalizzati alla guerra; cioè, tolleriamo la presenza delle forze armate. Noi della Lega per il disarmo unilaterale abbiamo deciso di uscire dal partito della morte e fondare il partito della vita.
Carlo Cassola
19 ottobre 1979